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I sentieri di Cimbricus / Qatar 2022: Ite, Messi est

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Lunedì 19 Dicembre 2022

 

messi 


Argentina campione del mondo senza percorso netto: prima partita persa con l’Arabia Saudita. Il Principe regnante è stato munifico e a ciascuno ha regalato una Rolls Royce che deve essere, per noi, come offrire un aperitivo. Ma la pulce ... 

Giorgio Cimbrico 

Ite, Messi est: se qualcuno ci crede, lassù qualcuno lo ama. Diego Armando Maradona è stato uguagliato da Lionel detto Leo, detto la pulga, la pulce perché quando era ragazzino non riusciva a crescere e a Barcellona riuscirono a dargli i centimetri necessari e vitali. Non era cresciuto molto anche neanche Diego Armando ma va bene così: i brevilinei hanno un controllo maggiore, una tecnica perfetta, idee sempre chiare. Kolo Muani, lungo lungo, ha avuto la palla che valeva tutto e l’ha sparata addosso a Martinez. Leo lo avrebbe scavalcato con un tocco leggero. 

Maradona viveva di eroici furori, di genialità improvvise e se c’era da frodare, frodava. Messi è diverso: sempre lucido, geometrico, capace di scovare i corridoi giusti o di essere al posto giusto nel momento giusto, di segnare con quello che non è il suo piede, il sinistro: è capitato quando la finale ha vissuto l’ennesima svolta. Sembrava quella decisiva e non è stato così. 

Qualcuno ha detto: Messi può ringraziare l’età del VAR. Può darsi ma che quella palla fosse entrata è limpido come un laghetto di montagna. Certo, è vero anche che in un’altra epoca, quando il mezzo tecnologico non era ancora stato adottato, qualche macro-errore sia stato perpetrato. Ad esempio, nel 2010, quel gol di Lampard: pallone entrato di un metro. Ignorato. 

Ma questi sono particolari, spigolature, piccole, trascurabili cose in fondo a tre ore di emozioni e a un match infinito che l’Argentina ha vinto e stava per perdere, e a Kylian Mbappé, compagno di squadra di Leo al Psg, non è servito uguagliare, 56 anni dopo, Geoff Hurst, l’attaccante del gol fantasma nella finale del 1966, Inghilterra-Germania (ancora Ovest) 4-2. Hurst, che non è più solitario triplettista, alzò la coppa insieme agli altri Ramsey’s Boys. Kylian, sintesi di Africa nera e Africa araba (padre del Camerun, mamma algerina della Kabilia) non c’è riuscito, anche dopo aver vibrato l’uno-due che ha fatto vacillare l’albiceleste. Gli rimane il titolo di capocannoniere, otto gol. A 24 anni, e alla seconda finale, non è poco. Normale per chi ha le ali ai piedi.  

Messi capitano, Messi miglior giocatore del Mondiale, Messi come Maradona, Messi ennesimo prodotto da esportazione della generosa Rosario, la città di Angel Di Maria che per un’ora ha fatto diventare matti i francesi e impallidire Didier Deschamps: a 35 anni Leo ce l’ha fatta, in fondo a una di quelle partite che una volta ricevevano l’etichetta: non raccomandata per i deboli di cuore. O decisamente vietata. 

Lui si è sempre mosso con i suoi piccoli passi, le sue occhiate furtive, la capacità euclidea di vedere triangoli da tracciare e da chiudere. E se l’uomo della prima coppa, quella conquistata durante gli anni orribili della Giunta Militare, fu Mario Kempes e della seconda Diego Armando (anche allora rimontati dalla Germania, prima che lui inventasse la strada giusta per inventare per Burruchaga), quello della terza è Leo, una vita in blaugrana prima di volare a Parigi. Leo, che ora ha vinto anche quel che gli mancava dopo la delusione vecchia otto anni e che ha dato gioia stordente a un paese alle prese con la solita inflazione violenta, con i soliti problemi. Don’t cry, non piangere Argentina se dai alla luce Di Stefano, Maradona, Messi. 

Argentina campione del mondo senza percorso netto: prima partita persa con l’Arabia Saudita. Il Principe regnante è stato munifico e a ciascuno ha regalato una Rolls Royce che deve essere, per noi, come offrire un aperitivo. Da quel momento, crescita. E Scaloni, Lionel anche lui, raggiunge Cesar Luis Menotti e Carlos Bilardo. Nessun milagro. Una squadra solida. E Messi. 

 

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