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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
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Duribanchi / Quella notte prima degli esami

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Martedì 8 Novembre 2022

 

scuola 


Niente “merito”. L'aurea mediocritas è la cifra del nostro orizzonte scolastico. Non si boccia, non si fanno esami di riparazione, non si fanno gli scritti alla maturità: si selezionano i programmi, così come viene, fior da fiore.


Andrea Bosco

Una cintura in vetro, pannelli neppure presentati e messi in funzione in fretta a furia, hanno protetto a Venezia la Basilica di San Marco dalla marea. Ci sarebbe da disquisire sul Mose, il sistema di barriere mobili che avrebbe dovuto salvaguardare la laguna da ogni assalto e che viceversa si sta rivelando un flop. Quando l'acqua non sale oltre il metro neppure viene attivato: troppo costoso. Quando l'acqua va oltre una certa quota, anche il Mose risulta impotente. Insomma: una vicenda molto italica della quale tralascio i costi, le ruberie della politica, gli errori in fase di progettazione, le quote assurde per garantire la manutenzione, anno dopo anno. Ma non è questo il punto.

Il “punto” questa settimana (mi spiace dare un dispiacere a Beppe Severgnini che detesta l'uso delle virgolette) è che per annunciare la notizia dei pannelli di vetro, una collega di un tg nazionale, si è spinta ad affermare che erano stati attivati “per proteggere i marciapiedi di Venezia sui quali si era riversata l'acqua alta”. Robetta, in fondo: c'è gente che pur confondendo il Libano con la Libia esercitava il mestiere di ministro degli Esteri. La collega può aver confezionato la grezza da sola. O magari (specie quando prima di andare in onda si passa troppo tempo al trucco, evitando di rivedere quanto dovrai leggere) il “lancio” era stato confezionato da qualche redattore ignaro (a sua volta) che a Venezia i marciapiedi, semplicemente, non ci sono. Ma neppure questo è il punto.

Il punto è il “merito”. Ne ha la collega del tg che ha dotato Venezia di marciapiedi? Non saprei e non spetta a me giudicare demeriti e meriti altrui. Il punto però è che di “merito” (dopo che il governo ha voluto sottolineare la sua visione in tema di scuola) si sta biascicando e sproloquiando. Lo ha fatto sul Corriere della Sera Paolo Giordano, autore del best seller “La solitudine dei numeri primi” e nomber one in tutti i premi che contano. E che piacciono alla gente che piace: Campiello, Strega e vai col giurato.

Incipt di Giordano: “parlare di merito, come ha fatto astutamente (Giorgia the Fox?) Meloni, assume una connotazione affascinante, ha il sapore dell'anticonformismo, dell'infrangere un'altra parete di cristallo (boh), questa in particolare fatta di ipocrisia di sinistra, di assistenzialismo pernicioso (boh), di discorsi vuoti sull'inclusività che mascherano in realtà l'immobilismo dei sindacati (boooh). Ma al cuore di questa affermazione, come dietro quasi ogni narrazione reazionaria, c'è un fantasma. Anzi una popolazione di fantasmi: generazioni (boh) di allievi ed allieve (immagino che Murgia and Company gli abbiano telefonato: prima le signorine) ‘meritevoli’ (Beppe, le virgolette sono di Giordano) il cui cammino sarebbe stato sbarrato dalla pochezza circostante, dal cammino al ribasso”.

L'articolo di Giordano è lungo: troppo per proporlo qui in toto. Ma sintetizzando, Giordano depreca i padri che rinfacciano ai figli la “loro” preparazione liceale, l'Eden perduto quando ti veniva imposto di imparare a memoria, Virgilio, Cicerone, Sallustio, Orazio, Dante e Petrarca: per quelli come il sottoscritto che hanno affrontato il greco, anche l'Odissea di Omero e l'Ifigenia in Aulide, tragedia di Euripide.

“Ai nostalgici del proprio liceo, vorrei tuttavia far notare – continua Giordano – che la scuola di oggi cerca di includere il più possibile (come ogni scuola di ogni paese civilizzato), ma a una crescente tutela legale (anche quella di prendere impunemente per il culo i professori in classe, filmandosi con lo smartphone: la considerazione è mia) è corrisposto un crescente irrigidimento dell'istituzione stessa che ai nostri bei tempi (ironia giordanesca) non era tale. Una specie di inaccessibilità, sotto forma di burocratizzazione estrema e di una distanza aumentata tra docenti e famiglie. Il rapporto che dovrebbe essere alla base di un funzionamento virtuoso – prosegue Giordano – è stato disincentivato dalla sfiducia reciproca e trasformato in un processo pericoloso di schismogenesi”.

Il mio correttore automatico ha sottolineato la parola in rosso ad indicare un errore. Ma probabilmente l'ascesa sociale del mio correttore è stata bloccata fin dal primo server. Precipitando nella lieta ignoranza che a Giordano sembra premere più del merito. Schismogenesi deriva dal greco, parola inventata dall'antropologo (discusso) Gregory Bateson e più o meno significa “nascita di una divisione”. Giordano che la cita, detesta la “competizione”. Immagina che lo sport possa essere usato (anche) “per curare le devianze”. Non sopporta l'espressione stay hungry. Giordano non vuole che i suoi studenti siano “folli”.

Non sono previsti “bastoni da maresciallo” possibili negli zaini dei suoi allievi. Del resto Bonaparte era un dittatore guerrafondaio e fa niente se era nato come rivoluzionario. L'aurea mediocritas è la cifra del nuovo orizzonte scolastico. Non si boccia, non si fanno esami di riparazione a settembre, non si fanno gli scritti alla maturità: come decretato dal molto inclusivo ex-ministro Bianchi. Si selezionano i programmi, fior da fiore. Mica i tre anni di “tutto” sui quali sputavi, con notti insonni, l'anima prima dell'esame. In quell'Eden che era la scuola, rimpianta – secondo Giordano – da una “presunta élite culturale”.

Balle. Macroscopiche balle. Ho avuto la sorte di studiare in un istituto privato: una scuola cattolica. Mio padre era socialista ma la scuola pubblica non lo convinceva. Non era ricco ma ha investito su di me. L'istituto era a una cinquantina di chilometri da Venezia: i professori ricevevano i genitori due (dicesi due) volte l'anno. I genitori non mettevano becco nei programmi della scuola: non potevano. A me studiare, piaceva. Ma non mi piaceva la scuola. Non mi piaceva stare al chiuso. Non mi piaceva l'aula. Sognavo una agorà come quella nella quale insegnava Platone.

E detestavo la disciplina: un anno ho battuto, con 22 note di demerito, il record dell'Istituto. Una recitava: “Bosco è entrato in classe dalla finestra”. Benché la scuola nella quale studiavo avesse un indirizzo cattolico, a me non bastava. E allora la storia, come la filosofia, come la letteratura andavo a compararle con autori di “sinistra”. Meglio avere una seconda opinione. Il merito non è una cosa astratta. Non è un elemento sociale o peggio politico. Se uno ha capacità e talento, voglia di fare, desiderio di migliorare, ce la farà. Ai Giordano non piace la selezione: la scelta degli elementi migliori in base a caratteristiche oggettive di qualità e rispondenza. Ai Giordano piace l'omogeneità: quella degli insegnanti “pedagogicamente militanti”. La vera aberrazione della scuola non è il “merito”: è l'insegnamento militante. Perché alla fine della fiera quello che ha veramente fatto rosicare Giordano sono state le affermazioni del vecchio liberale Angelo Panebianco. Che aveva indicato gli intellettuali “e più specificatamente i vincitori dei premi letterari” come disinteressati alla scuola. Non ti permettere, Panebianco: che poi la gente immediatamente pensa che i vincitori di premi letterari alla scuola si dedichino per promuovere i propri libri.

In questo ha ragione Giordano. La scuola non serve: bastano e avanzano quei “marchettifici” che sono diventati i talk show televisivi, dove i vincitori di premi letterari vanno a parlare, inquadrati con accanto la copertina del loro ultimo libro. La scuola italiana non forma e non include. Non prepara agli studi che verranno. Non prepara, tranne gli istituti tecnici, ad un lavoro. Il Sessantotto è stato, con il 18 politico e l'ideologia galoppante, una jattura. Ha sfornato dal magistero e dalle università degli ignoranti che la propria ignoranza hanno trasmesso ai propri allievi e ai propri figli. E quei figli ai nipoti. L'idea di scuola inclusiva è una idea fantastica. A patto che tutti, allievi, genitori, insegnanti, accettino le regole. Accettino il merito. Lo coltivino. Lo promuovano. Come elemento fondante di una società che si migliora.

Se dobbiamo operarci, tutti desideriamo un chirurgo competente. Non uno che ti lascia il bisturi nelle budella. Se andiamo da un sarto, pretendiamo un vestito fatto con artigianale cura. Se andiamo al ristorante, ci sediamo dove si mangia bene, magari a prezzi ragionevoli. Non in una bettola lercia, con le mosche che volteggiano sul piatto e il vicino di tavolo che magari rutta. Questa storia del merito da mettere in discussione è diventata l'ultima frontiera di intellettuali divorati dall'utopia. Secondo una concezione militante che vede nei vari Panebianco, Ricolfi, Mastroloca, Galli della Loggia gente dalla visione classista: prospettiva ideale – si spiega – per allargare ulteriormente le disuguaglianze e lasciare indietro i più fragili.

Messaggio in bottiglia ai Giordano e ai Raimo (“L'ultima ora. Scuola, democrazia e utopia”): i più bravi dall'Italia se ne vanno. A causa delle paghe indecenti che non premiano il merito. E a causa della melassa ideologica che permette a “pippe” e raccomandati di abusivamente convivere con quanti si sono fatti strada grazie alle proprie capacità.

“La complessità a scuola e i miraggi del merito. E ridateci un po' di pedagogia. Titoli a nove colonne. La scuola italiana a lungo è rimasta quella pensata durante il Ventennio da Giovanni Gentile. Quando le materie “classiche” avevano maggiore dignità di quelle scientifiche. Ma oggi, abolito il latino (vero suicidio: lingua morta una mazza, imbecilli) la scuola italiana è un guazzabuglio: né carne, né pesce. Non è inclusiva, ma neppure selettiva. Adagiata su professori che chiamare insegnanti è temerario. Poi ti ritrovi all'Università con studenti che pensano (mi è capitato) che Himmler sia “l'ala sinistra del Bayern di Monaco”.

Facciano un test nelle scuole i Giordano e i Raimo: avranno bisogno della lanterna di Diogene per trovare il “merito”. Dovessero trovarlo, si imbatterebbero, come nel caso della studentessa laureatasi in medicina con un anno di anticipo, nell'invidia della mediocrità. Che ha sempre una scusa per giustificare i propri fallimenti. Uno non vale uno. Tante è vero che uno sconosciuto avvocato è diventato per ben due volte presidente del consiglio senza essere mai stato votato: neppure dalle sue zie. Il merito, del quale scriveva Schopenhauer in “Aforismi sulla saggezza della vita” (uno come Schopenhauer non gode dei favori dei Giordano e dei Raimo, ma fa niente, sopravviveremo): “Data l'impudenza e la stupida arroganza della maggior parte degli uomini, chiunque possiede dei meriti, farà bene a metterli in mostra, se non vorrà lasciare che cadano in un oblio completo “ . Che tipo, Schopenhauer : non era “ inclusivo “ .

 

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