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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
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I sentieri di Cimbricus / "Ci ritroveremo ancora"

Lunedì 19 Settembre 2022

 

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“Un addio nel ricordo di We’ll meet again”, la canzone della speranza che Elizabeth ricordava e che citò nei giorni duri del lockdown, uno dei simboli dell’Inghilterra che, come diceva Winston, resisteva e avrebbe resistito.

Giorgio Cimbrico 

Le cronache delle loro vicende sono diventate storia e riescono anche a proporsi con cadenze teatrali. All’ingresso nell’abbazia di Westminster, il nuovo re che è anche vecchio e la sua consorte (Camilla), seguiti dalla Royal Princess (Anna), da York (Andrew), da Wessex (Edward), dal principe di Galles (William, in divisa della RAF), da Sussex (Harry, in borghese), dai principini George e Charlotte. Pare l’elenco dei personaggi di una delle tragedie shakespeariane. 

Le cronache delle loro vicende scorrono anche sull’onda delle musica. Vecchi o nuovi, tradizionali o composti per la sua incoronazione o per la sua morte, quegli inni appartengono alla Golden Age della prima Elisabetta quando i cori liturgici degli adolescenti riempirono le navate della chiesa di stato, aprendo una tradizione che è arrivata sino a noi e che è preghiera della sera nei vecchi college. 

Un addio di note dolci: “Dormi, cara, dormi” è il lamento della cornamusa che ha trovato posto in alto, sopra il transetto: lei amava Balmoral, il luogo dell’erica bianca e dei cervi rossi, sovrani delle valli, dei monti tondeggianti, dei rii che corrono tra i sassi dove spesso trovano rifugio le trote. 

Un addio nel ricordo di Vera Lynn: “We’ll meet again”, ci ritroveremo ancora. La canzone della speranza che Elizabeth ricordava e che citò nei giorni duri del lockdown. Vera, uno dei simboli dell’Inghilterra che resisteva e che, come diceva Winston avrebbe resistito sulle spiagge, sulle colline, per le strade, sarebbe rimasta in questo mondo più di Elisabeth: 103 anni. I vecchi fusti e fuste della vecchia Inghilterra hanno sempre avuto vita lunga. Sarà questione di fibre, sarà questione di volontà. 

Un ricordo che passa anche attraverso “Last Post” che le trombe suonano al termine della giornata del soldato che ha fatto il proprio dovere e che possono essere udite sotto l’arco di Ypres dove, fitti fitti, sono elencati i nomi delle decine di migliaia che finirono nella terra di Fiandra. 

Un addio militare per la graduata che a diciotto anni, in tuta, dava una mano in officina e che montava uno dei cavalli amati, in giubba rossa da colonnello della Guardia, quando veniva celebrato “Trooping the colour” in quei giorni di prima estate che rendono Londra ricca di un verde leggero e allegro. 

Lunghe ore davanti alla tv, obbligato ad ascoltare, con audio al minimo, un chiacchiericcio in cui, ovviamente, irrompeva troppo di frequente Diana in un parallelo che non ha senso se non quello di compiacere lo spettatore ben addestrato. E così ho pensato che quella scorta di marinai, incaricati di governare l’affusto che servì anche per l’officio funebre di Victoria e di Mountbatten di Burma, fosse un omaggio che lei –, regista del suo addio –, aveva voluto in ricordo di Filippo, conosciuto da adolescente quando era allievo all’accademia di Dartmouth e che seguì, da giovane sposa e da fresca mamma di Charles, nella base navale di Malta. 

E ho pensato anche che Elizabeth è morta l’8 settembre, per noi una data famigerata: da loro un re rimaneva a Londra o si spingeva al fronte a discutere con Montgomery dei preparativi sull’offensiva nel deserto; la regina, di solida radice scozzese, escludeva di riparare in Canada e, in una visita all’East End, vantava di essere anche lei una sinistrata dai bombardamenti tedeschi e in Italia un re piccolo piccolo fuggiva lasciando che il paese e l’esercito si sfasciassero aprendo ad anni sinistri.    

A Londra il corteo ha lasciato l’Abbazia, ha percorso il Mall sino a Buckingham Palace – casa sua – e ha proseguito per l’arco eretto in onore delle vittorie del duca di Wellington: di fronte c’è Apsley House, dove il gigantesco Napoleone in veste di “Marte Pacificatore” di Antonio Canova ha trovato beffardo domicilio. Da lì è iniziato l’ultimo viaggio verso Windsor dove la aspettavano un long mile di folla e la cappella di St George. Ora sono tutti là (Giorgio VI, Elizabeth Mary, Elizabeth e Margaret) e di chi salutò dal balcone, il giorno della Vittoria: manca solo Churchill. Per lui solo una pietra e un nome nel grande prato di Blenheim Palace dopo un funerale altrettanto memorabile: lui ebbe anche il destriero che aveva perso il cavaliere. 

 

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