- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Un predestinato che si sente un cannone

PDFPrintE-mail

Lunedì 12 Settembre 2022

 

kovacs-j 


Sulle pagine che da da molti anni ci guidano – in gergo, il Matthews – è stampato che Joe sia nato a Bethelehm, altre fonti riportano Nazareth. In un caso o nell’altro, luoghi da predestinato, da atteso. 

Giorgio Cimbrico

Joe ha un cognome che più ungherese non si può, Kovacs. E come molti nipoti e figli dell’immigrazione dall’est europeo, è nato nella mineraria e metallurgica Pennsylvania. E’ sufficiente ricordare “Il Cacciatore” per cogliere la composizione etnica di quella zona che, prima, era stata popolata da irlandesi e gallesi. Fonti attendibili gli accreditano anche radici italiane per via di una nonna. Conosce qualche parola della nostra lingua e parlicchia l’ungherese.

Quando ha gareggiato a Szekesfehervar, è andato a far visita ai parenti. Per l’estate prossima – Mondiali a Budapest – conta sul tifo locale. Possono i magiari non parteggiare per uno che si chiama Kovacs? 

Non ha avuto un’infanzia facile: da ragazzino ha visto morire suo padre Joseph consumato dal cancro e dalla madre Joanna ha ricevuto un antidoto contro il dolore: l’atletica. Joanna di atletica e soprattutto di lanci ne capiva. Quella presenza femminile ritorna anche nel suo presente: dal 2018 è allenato da Ashley Muffeti, discreta pesista da 17 e mezzo e da 57 nel disco, tecnico dei lanci all’Ohio University e, soprattutto, sua moglie. 

“Io sono un cannone”, dice di sé: non è del tutto esatto. Joe è un mortaio, ne ha la forma, lo stampo: è alto 1,83, poco considerati i giganti che sono in circolazione, e quel corpo compatto, spesso, da 132 chili, sembra la canna corta e verticale da cui esce il proiettile destinato alla parabola. Già qualche anno fa venivano alla luce, in rete, filmati con certe sue botte terrificanti, esplose a fulminea velocità. Qualcuno le stimava in 24 metri e non badava troppo al fatto che Joe uscisse dal cerchio. Gli innamorati dell’esercizio – una tribù, una confraternita – le registravano come immaginette da infilare nelle carte più care o come sacre reliquie. 

“E ora che sono uno da 23, voglio diventare uno da 23 e mezzo. Perché, alla fine, quella che conta è la misura”. Joe è diventato, come dice lui, uno da 23 sulla Sechselautenplatz di Zurigo, in una di quelle kermesse extra moenia dello stadio così care a Sebastian Coe: sedici libbre, sette chili e un quarto, scagliate a 23.23, diventando il secondo di sempre e il padrone della terza misura di tutti i tempi dopo il 23.37 e il 23.30 di Ryan Crouser, alto a occhio un palmo più di lui e che con Joe battaglia ormai da almeno sette anni, sul filo dei centimetri, a volte dei millimetri. 

Campione del mondo nel 2015 a Pechino, secondo a Rio (“con un certo disappunto: pensavo di vincere”) e secondo a Londra 2017, Joe sembrava finito in retrovia quando nuovi modelli di artiglieria avevano preso il sopravvento. Tom Walsh, ex-muratore di Timaru, isola sud della Nuova Zelanda, provincia di rugby e di atletica (Lovelock veniva da quelle parti), è un poderoso cannone da campagna, un 149 a tiro rapido. Ryan Crouser, ultimo prodotto di una famiglia dell’Oregon impegnata a lanciare pesi, dischi, giavellotti, martelli, magari anche tronchi, per la lunghezza dell’affusto, oltre i due metri, è una Grossa Berta che bombarda con amplissime rotazioni e parabole altissime. 

A Doha 2019 questi tre uomini che, messi assieme, non vanno lontani dai quattro quintali, e che con il quarto, il brasiliano Darlan Romani (fuori dal podio con 22.53), puntano verso la mezza tonnellata) sono stati capaci di una recita lunga, con uno scioglimento che pareva immediato (Walsh 22.90 subito, primato dell’Oceania) e che è stato rinviato sino gli ultimi palpiti quando Joe ha affiancato Alessandro Andrei al terzo posto di sempre e Ryan ha rischiato di rovesciare quello che era stato rovesciato finendo a un centimetro. 

Joe, 33 anni, è uno che non si arrende: a Tokyo spara a 22.65, becca 65 centimetri da Crouser. I centimetri diventano solo cinque a Eugene – 22.94 a 22.89 – ma sempre a favore del maxi enfant du pays, il simpatico Ryan. Ma Kovacs è convinto di avere nella sua corta canna il proiettile che può scavare una profonda buca e lo spara sulla piazza zurighese, conquistando il Diamante e diventando il quarto uomo a superare la barriera dei 23metri dopo, nell’ordine, il DDR Ulf Timmermann, 23.06, il più che sospetto Randy Barnes, 23.12 e, appunto Crouser. Nei pressi, Alessandro Andrei 22.91 (l’azzurro ancora più in alto nelle liste di sempre), Walsh 22.90, Brian Oldfield 22.86, Werner Gunthör 22.75. 

I lanci sono così belli – e spesso dannati dalla tv – che propongo una secessione tipo Stati del Sud e la formazione di una ITL – International Throws League – che preveda meeting di soli lanci nei luoghi deputati: College Station, Tatabanya (o Szómbately), Sollentuna, Neubrandenburg, Adler, Kuortane e via con tutto il resto dell’atlante. Sono indeciso se ammettere il giavellotto. Peso, disco e martello sono un’altra cosa. Se le corse di mezzofondo sono le canne dell’organo dell’atletica, i lanci “pesanti” sono le percussioni profonde, i tamburi nella notte che spesso non vogliono farci udire.


Foto: trackandfieldnews.com

 

Cerca