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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Una 4x100 formato A2 fuori dalla finale

Venerdì 19 Agosto 2022

 

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Staffetta story, e non a lieto fine. I tre quarti della squadra, campione olimpico in carica, non riescono a raggiungere la finale. Esclusi dalla … Turchia che corre a cronometro, non dalla Giamaica o dagli USA. C’è qualcosa che non sappiamo?

Giorgio Cimbrico 

Strano ma vero. Marcell Jacobs dichiara alla France Press: “Fatemi gareggiare alla finale della Diamond League, datemi gli americani”. E Paolo Camossi arriva di rinforzo: “Il picco di forma arriverà a inizio settembre”. La finale al Letzigrund di Zurigo è il 7 e l’8 di quel mese, il secondo giorno in una data che noi italiani conosciamo bene. Almeno, noi di una certa età.  

Poche ore dopo, per quello che la FIDAL sbriga con un “problema fisico”, il campione di molte cose non corre la batteria/semifinale della 4x100 dando via libera a una Nazionale A2 (Patta-Polanco-Melluzzo-Ali) che, quinta, rimedia l’ingresso in finale in 39”02 per esserne poi esclusa dopo la prova a cronometro richiesta e ottenuta dalla Turchia, danneggiata, dicono loro, dalla Finlandia. La A2 corre un secondo e mezzo abbondante sopra il tempo vincente della A1 di Tokyo. A questi livelli fanno almeno 15 metri. 

Jacobs è un personaggio nuovo, in tutti i sensi e per una somma di fattori: primo italiano in una finale olimpica dei 100 e subito campione, in un tempo che lascia sbalorditi; primo campione olimpico a sparire dalla circolazione per lunghe vacanze per poi tornare alla fine dell’inverno e sbaragliare due americani che ritenevano loro il terreno di caccia dei 60 metri al coperto.

A seguire, la caccia a un tempo a sensazione a Nairobi (cancellata per disturbi intestinali), la doppia gara di Savona da cui esce con un infortunio alla parte alta del bicipite femorale; la rinuncia al Golden Gala di Roma (vinto da Kerley, pietra tombale sul remake della finale di Tokyo all’ombra del Colosseo) e ai Bislett Games, il ritorno così così agli Assoluti di Rieti, altri problemi, altri esami, altre risonanze, la partenza anticipata per Portland, sulla strada di Eugene, la batteria in 10”04 a un bel metro dal nuovo giamaicano Oblique Seville, la corsia lasciata vuota in semifinale, la mancata disponibilità alla staffetta, che finisce fuori in 38”74, in questo caso a una dozzina di metri dal trionfo giapponese, il rientro a Monaco di Baviera, il 10”00 con vistosa frenata per rimarcare la sua superiorità, il 9”95 della finale, con un palmo concesso negli ultimi metri a Zharnel Hughes. E ora quest’altro forfait che mutila la squadra già priva di Faustino Desalu, due volte in pista sui 200 il giorno prima, e di Filippo Tortu, impegnato nella finale di stasera. 

In breve, e senza esprimere giudizi o evitando i sentieri dell’etica – o forse solo del sentimentalismo, Marcell Jacobs che – basta guardarlo – è governato da meccanismi perfetti – gareggia soltanto quando può correre molto forte, vincere? E’ un’evoluzione della specie? E’ un professionista che guarda al suo interesse? O avverte il timore che nel sofisticato sistema che lo spinge possa saltare qualche sartia, qualche controvelaccio? Sono domande che rimangono senza risposta. Nelle ultime apparizioni pubbliche, né lui né il suo allenatore sono scesi in particolari. Parole, parole, come diceva Amleto. O Mina. 

Nuove evoluzioni dell’atletica: la gara a cronometro. Si era già vista nel decathlon quando al vecchio Artus Abele (che ha l’aspetto di un veterano, di un carrista con la cicca all’angolo della bocca) è stato accordato di correre un 110H in solitaria. Ora è toccato ai turchi che in una prova asettica, lontana dalle naturale concitazione della staffetta, hanno centrato quel che volevano ottenere. Chi studia le possibili evoluzioni dell’atletica, ha materiale su cui lavorare. Se nella radicale metamorfosi subita dal ciclismo su pista, il chilometro da fermo ha resistito, perché non inserire anche qui una prova del genere? 

Giudicavamo alla bavarese. Qualche “panne” del collegamento tra la pistola e i blocchi, qualche falsa partenza che rientra nel grottesco (una nei 5000, una nei 10.000), qualche perdono e qualche condanna via cartellino, qualche improvvido intervento per l’impatto sul fermapiede. Comunque, meglio impacciati che di parte: nell’albo dei sospetti datati 1972 il calcio assestato ai sacconi mentre l’asticella superata dalla Blagoeva vibrava ancora, il centimetro tra Rosendahl e Yorgova, i due centimetri tra Wolfermann e Lusis. E poi si continua a buttare la croce sui giudici sovietici di Mosca ’80 …  

 

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