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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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Italian Graffiti / Tra Atletica e Nuoto, ... scegliamo Barelli

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Giovedì 11 Agosto 2022

 
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Inizia oggi con un doppio campionato europeo una sfida a distanza tra le due federazioni regine dell’Olimpiade. Ma soprattutto un confronto tra due strutture e la loro gestione, organizzativa e tecnica. Con qualche differenza.

Gianfranco Colasante

Il confronto tra nuoto e atletica, da noi parte da lontano. Dalle edizioni degli Europei organizzate in Italia: nel 1927 la seconda per il nuoto, piscina del Littoriale inaugurata per l’occasione; nel 1934 la prima per l’atletica, stadio Mussolini costruito per i Mondiali Universitari dell’anno prima. Era un'altra Italia. Liquidato il precedente storico, ad oggi il solo riscontro comune, le due maggiori discipline olimpiche hanno da allora marciato su binari paralleli e mai convergenti. E per una bizzarra casualità dei calendari, si ritrovano in queste ore ad affrontarsi a distanza tra le piscine del Foro Italico e l’Olympiastadion della fatale Monaco, più o meno sullo stesso numero di gare.

Un confronto che pende tutto a favore del nuoto. A partire dai risultati di quest’anno ai Mondiali di Budapest delle discipline acquatiche che hanno visto di azzurri dell’acqua portare complessivamente a casa 44 medaglie, terza potenza mondiale alle spalle solo di Stati Uniti ed Australia, 27 delle quali pescate in corsia (5/9/13), un record. Un deciso salto in avanti rispetto ai Giochi di Tokyo, chiusi senza ori e qualche rimpianto. Percorso inverso rispetto all’atletica che in Giappone ha vissuto l’irrepetibile settimana dei cinque ori, ma che ai mondiali di Eugene ha annaspato con il bronzo della Vallortigara e l’oro di Stano all’ultima giornata. E che soprattutto ha poche certezze per il futuro.

Inevitabili alcune considerazioni. Tutte a vantaggio dell’universo nuoto che oggi – da prima forza continentale – si appresta a dominare l’edizione n. 36 degli Europei, due finalisti previsti per ogni distanza. Qui non si parla tanto di Gregorio Paltrinieri che punta ai cinque podi, o dei due primatisti mondiali, l’ancora giovanissima Benedetta Pilato o l’estroso e polivalente Thomas Ceccon. Quanto di un gruppo mai così competitivo e con tanti atleti da medaglia, all’insegna di una continuità venata di importanti novità e ricambi (in squadra anche un quindicenne, Matteo Santoro): tanto per fermarsi al nuoto in corsia, dal gigante Alessandro Miressi a Simona Quadarella che dall’aria di casa si aspetta la terza “tripletta” europea dopo Glasgow e Budapest, dal ranista Nicolò Martinenghi alla coppia Arianna Castiglioni e Martina Carraro, a Margherita Panziera. E così nuotando.

Un gruppo vincente che è soprattutto, e si sente, una squadra molto coesa, per oggi e per domani. Proprio quello che sostiene il DT Butini quando segnala che tra i convocati ci sono “nove atleti nati dopo il 2000, che vuol dire pensare al presente e programmare il futuro”. Come dire non tanto tenere la barra su Roma ’22, quanto spingere le ambizioni fino a Parigi ’24. Dico gruppo vincente e coeso perché ne fanno parte ragazzi formati in ambienti societari privi di isterismi, di eccessi e di recriminazioni, in club che traggono dalla gestione delle piscine il necessario supporto economico per sostenere funzionamento e strutture tecniche, ma che sanno di poter sempre contare sulla Federazione per motivazioni e supporto.

In un rapporto reciproco di sostegno neppure intaccato dal temporaneo passaggio nelle società militari visto il consolidato istituto del doppio tesseramento che lascia i ragazzi nel rassicurante ambiente in cui sono cresciuti (dei 58 selezionati per la piscina, in 44 hanno anche le stellette). In estrema sintesi, dove ciascuno sa cosa fare e come farlo e con quali limiti e prospettive: ma dove è sempre della Federazione l’ultima parola nell’indicare gli obiettivi e la strada per raggiungerli. Dove nulla viene lasciato a casualità o improvvisazioni, con i centri federali aperti tutto l’anno e, soprattutto, attivi e frequentati. All’insegna di un indirizzo tecnico che, se non comune, ha poche varianti e frequenti verifiche.

Questo, a grosse linee, il modello di riferimento che spiega la collana di crescenti successi delle discipline acquatiche nel nostro paese, modello impostato una ventina d’anni fa. Quando il timone di una Federazione commissariata e totalmente allo sbando, finì nelle mani di Paolo Barelli, padre padrone che in questi anni ha saputo dare una impronta e un’anima a tutto il movimento, innervandolo dell’orgoglio dell’appartenenza all'insegna della centralità della FIN. Se tra le doti del senatore Barelli – capo della pattuglia di FI al Senato, un seggio “sicuro” per il prossimo 25 settembre – non c’è quella della dirompente simpatia, gli va però riconosciuta a pieno la capacità di saper guardare lontano e con lungimiranza, e l’aver messo a punto una macchina federale che gira come un orologio di marca. Anche grazie a quel silente e fondamentale supporto che ogni anno offrono migliaia e migliaia di famiglie iscrivendo i loro figli più piccoli nella piscina sotto casa. Nessun altra federazione gode di tale vantaggio. Ma è anche vero che se di vantaggio si tratta, esso viene sfruttato al meglio e non disperso. Un piccolo segreto a monte del continuo ricambio, che si traduce in un potente motore per selezionare nuovi talenti.

Il vero raffronto con la Federazione di atletica è tutto qui. Non va conteggiato sulla base delle medaglie (che per l’atletica rischia di avere esiti drammatici), ma sul funzionamento dell’apparato e nel rapporto con le società, in Via Flaminia ormai limitato ai soli gruppi militari o assimilati, per lo più distaccati e silenti. In un rapporto difficile, se non impossibile, da dipanare. Per tacere del tutto dei risvolti tecnici e dei centro federali, ormai poco più che case vacanze (e pensare che la FIDAL era stata la prima a poterne disporre). Un ambito, non di rado, dove pare che la sinistra non sappia cosa stia facendo la destra e gli stessi atleti danno la sensazione di muoversi in totale autonomia. Per mio conto, sono rimasto colpito nel leggere sul Corriere della Sera di ieri che Jacobs e il suo tecnico siano partiti per Monaco “cogliendo di sorpresa la stessa federazione”. E chissà se anche la società, i poliziotti delle FFOO, lo avrà saputo. Cose impensabili nel nuoto.

La verità è che l’ultimo tentativo di dare un assetto funzionale alla struttura dell’atletica risale al 2017 quando Alfio Giomi, al suo secondo mandato, richiamò nella cabina di comando Elio Locatelli che – a quasi 75 anni – si rimboccò le maniche tentando di rivitalizzare un movimento desertificato dagli inconcludenti otto anni della presidenza Arese. "Quando sono arrivato ho notato che, nel tempo, si era data troppa autonomia a tutti. C'era il rischio dell'anarchia", le sue prime osservazioni. C'era?

Impresa titanica, si disse subito – “la mia ultima grande sfida”, la etichettò Elio affrontandola – avviata con la creazione di una stretta diarchia con Stefano Baldini il quale, in pochi mesi, riuscì a creare quel gruppo di giovani e U-23 che ancora oggi costituisce la sostanza della Nazionale. Si tentò di rivitalizzare anche i residui centri federali (avete presente Formia o Tirrenia?) con l’arruolamento di noti allenatori stranieri, il cubano Santiago Antunez, l’ucraino Vitalyi Petrov, il tedesco Werner Goldmann, tanto per citare. "Per dieci giorni al mese saranno di supporto ai nostri tecnici - lapidario Locatelli prima dei Mondiali di Londra - se vogliono imparano, sennò peggio per loro".    

Fatica sprecata. Come andò a finire, è storia fin troppo nota. Una chiusura sigillata dall’abbandono definitivo di Baldini e l'addio al suo lavoro di reclutamento: oggi Stefano commenta le gare su SKY mentre Locatelli ci ha lasciato da tempo. In ogni caso un po’ del merito per gli ori di Tokyo – per le percentuali, stabilite voi – va anche a loro. (“A Tortu e Jacobs ho detto: calma, non pensate di fare il record del mondo ogni giorno”).

Oggi la struttura tecnica federale è nelle mani del professor La Torre che tiene le fila e sostiene il peso di tutto il settore. Sarà o meno in grado di reggere la pressione fino a Parigi resta tutto da dimostrare. Per ora – comunque vada a Monaco (il precedente del 2002, con i nuotatori vittoriosi a Berlino, non incoraggia proprio) – non possiamo far altro che augurarcelo. Il nuoto è un altro pianeta. Lontano assai, per ora.

      

 

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