- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Il nostro Giorno dei Giorni, un anno dopo

Lunedì 1° Agosto 2022

 

jacon-tamberi


“Gli archi in cielo di Tamberi, l’assetto di corsa di Jacobs, sono i canoni che fanno di queste vittorie quasi simultanee qualcosa di intensamente musicale, sino all’onda di quiete di quell’abbraccio. Giusto un anno fa.” 

Giorgio Cimbrico

Il giorno dei giorni. La tribù dell’atletica ne adora un paio. 25 maggio 1935, Ann Arbor, quattro record del mondo (sei, con le distanze imperiali), nel breve volgere di un’ora, di Jesse Owens che su una pedana che sembrava un sentiero di campagna saltò 8.13. 6 maggio 1954, Oxford, Iffley Road, prima discesa sotto i 4 minuti nel Miglio di Roger Bannister che avrebbe completato il suo anno mirabile vincendo anche i Giochi del Commonwalth e gli Europei. Le due imprese, specie la seconda, sono state tramandate da foto degne di un quadro storico. 


I giudizi possono essere diversi, ma per anni il giorno dei giorni dell’atletica italiana è stato ritenuto il 31 agosto 1978, quando, sulla collina praghese di Strahov, Sara Simeoni saltò ancora 2.01 e piegò Rosemarie Ackermann, che qualcuno aveva paragonato a George Horine per la frontiera che aveva raggiunto un anno prima. Ci fu chi paragonò quel duello al duetto tra Susanna e la Contessa o tra la Marescialla e il Cavaliere della Rosa. 

Il salto in alto ritorna in quello che è stato accettato e codificato come il “Giorno dei Giorni” azzurro, capace di sconfinare dall’atletica per proporsi come riferimento assoluto dello sport. E’ dura in un paese che adora il calcio e poco altro, ma in questi casi sperare che il ricordo permanga è consentito, e soprattutto non costa nulla. 

Il 1° agosto Tamberi è venuto prima di Jacobs: la gara era finita, l’intesa con Barshim, amico sottile ma non fragile, trovata, la festa iniziata con ostensione del rigido stivaletto su cui Gimbo, airone azzoppato, aveva saltellato a Rio, l’Olimpiade perduta dopo il volo a 2.39, dopo il crack che poteva cancellarlo. Tamberi era uno spirito che svolazzava sotto una curva popolata il giusto perché lui desse sfogo alle sua genuina esuberanza, alla celebrazione di quello che non era un riscatto, ma un miracolo della volontà. Fra tanti prodigi fasulli pare che questo sia possibile, raggiungibile. 

E’ in quei minuti che viene corsa la finale dei 100 che segna un terremoto statistico: in 125 anni di Giochi, zero finalisti italiani. Alla prima presenza, la medaglia d’oro. E così sicura da non destare tremori, neppure di fronte alla tardiva rimonta di Fred Kerley che con la sua forza disordinata, quasi violenta, arriva a quattro centesimi da Marcell Jacobs, quaranta centimetri avanti. Luce piena, quasi abbagliante. 

Generoso ed entusiasta come certi eroi romantici a cui è vicino per aspetto e impeto, Tamberi concede a se stesso, al suo spirito, il privilegio di essere il primo ad abbracciare Jacobs ed è in quel momento che nasce il repertorio di immagini che diventa colonna visiva di quel momento. Rivedendone qualcuna, il più eccitato, il più stravolto è proprio Gimbo. Marcell appare attonito, sorpreso da quel che ha appena combinato: in una finale olimpica solo Usain Bolt, due volte, è andato più veloce di lui. E ora tocca a lui, l’uomo illustrato, il gardesano che ha visto la luce a El Paso, linea di confine tra il Texas e il Messico, il lunghista che atterrava molto lontano ma ne usciva sempre disastrato. Non c’è, nella vita di Marcell, un momento drammatico come quello sofferto da Gianmarco, ma anche per lui non è stato facile. 

Entrambi salgono sui loro “carri di fuoco” nel segno di una calligrafia che rende questo momento ancora più prezioso: gli archi in cielo di Tamberi, l’assetto di corsa di Jacobs che riporta a Donovan Bailey, a Asafa Powell, sono i canoni che fanno di queste vittorie quasi simultanee qualcosa di intensamente musicale, sonate per tendini, improvvisi che scaturiscono da chi ha lottato e ha trovato se stesso, sino all’onda di quiete di quell’abbraccio. 

 

 

Cerca