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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
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I sentieri di Cimbricus / La diaspora di uomini e donne dell'altopiano

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Giovedì 21 Luglio 2022

 

jeruto 2


La battaglia mondiale sulle siepi ultimo capitolo della “fuga” dei corridori kenyani, atleti ed atlete, dal loro paese. Senza più alcuna remora, Norah Jeruto vince per il Kazakistan e Winfred Yavi è quarta per il Barhain.

Giorgio Cimbrico 

C’è un libro perfetto per capire cosa abbiamo fatto dell’Africa: “The scramble for Africa” di sir Thomas Pakenham, che ne ha scritto un altro, altrettanto perfetto, sulla guerra anglo-boera. Tema del primo: colonizzazione, annessione, saccheggio, spartizione, sull’onda del neoimperialismo della seconda metà dell’Ottocento, scaturito dal Congresso di Berlino. 

Proviamo a trasportare questo scenario su quel che da tempo sta capitando nell’atletica del Kenya e riusciremo a capire il motivo dei rovesci, delle sconfitte, delle sparizioni, dell’inaridirsi di corsi d’acqua che sembravano torrenti di primavera, sempre ben alimentati. Ora, immagine e metafora, le nevi del Kilimanjaro sono sparite. 

Da tempo i nuovi colonizzatori si sono gettati sul Kenya: procuratori che hanno approfittato di una federazione debole, facilmente controllabile, magari con qualche “mazzetta”. Sono nati i gruppi di lavoro, i centri di allenamento e di smistamento: le corse su strada, le mezze maratone, le maratone platinate, dorate, argentate o semplicemente senza placcatura si corrono in ogni angolo del mondo e garantiscono denaro a chi corre e a chi amministra. 

Per un’era il Kenya ha dominato le siepi e i suoi meravigliosi, estemporanei interpreti sono stati affettuosamente soprannominati saltafossi. Oggi hanno perso il feudo e, tra le ragazze, lo hanno messo in vendita: le migliori corrono per il Kazakistan e per il Bahrain. 

L’atletica kenyana è entrata in una spirale, in una caduta: oggi è una delle più sorvegliate dall’AIU, l’Athletic Integrity Unit, formata per arginare, combattere, prevenire il doping, tenere gli atleti sotto controllo con il sistema della reperibilità. Gli ultimi dati sono eloquenti e preoccupanti. 

Dalla maratona di Eugene è stato escluso Lawrence Cherono per l’uso di un medicinale – proibito – che combatte la cardiopatia. Ma il fatto più triste è che in questi ultimi anni atleti e atlete di primo e secondo piano siano risultati positivi all’Epo. Loro, quelli nati ai 2000 metri dell’altopiano, sul ciglio della grande “ferita” della Rift Valley, con un sangue naturalmente ossigenato, hanno bisogno di quell’aiuto? E chi glielo ha consigliato? 

La classifica dei 1500 ai Mondiali di Eugene è impietosa: due britannici, un norvegese e due spagnoli ai primi cinque posti. Cheruiyot e Kipsang non sono andati piano ma sono stati travolti dall’Europa del Rinascimento. Nessun kenyano ha più la leggerezza geniale di un tempo perduto, la naturalezza, il piccolo sogno di rendere più prospera la propria fattoria, di acquistare qualche mucca per metter su famiglia. La vena si sta esaurendo e consola che ogni tanto giunga la notizia dell’ingresso in scena di un giovane talento. L’ultimo è Emmanuel Wanyonyi, tra pochi giorni avrà 18 anni e nel giro di qualche ora lo vedremo in azione negli 800 dei Mondiali. 

Di recente di buona vena ne è stata scoperta una nuova, in Uganda: razza, caratteristiche, condizioni sono le stesse del Kenya. E i nuovi colonizzatori ne stanno già approfittando. 

L’abilità di uno tra i più potenti – e convincenti – di questi nuovo Rhodes è riuscita a far breccia anche in quello che era un sistema chiuso, centralizzato, l’Etiopia che, al contrario del Kenya, continua a mostrare una forte struttura tecnica, capace di sviluppare interventi anche nelle siepi, a lungo trascurate, e di lavorare in profondità nel settore femminile. Anche l’Etiopia ha conosciuto un fenomeno migratorio, soprattutto verso la Turchia e gli Emirati, ma è sufficiente dare un’occhiata ai più recenti raccolti di medaglie in competizioni globali e al numero di presenze nelle graduatorie mondiali per cogliere una certa solidità, senza le crepe che corrono sulla superficie e sulle fondamenta dell’atletica kenyana, che imparammo ad amare quasi sessant’anni fa, con la corsa pazza di Wilson Kiprugut, quando il paese era appena nato e Kenyatta spargeva benedizioni agitando lo scacciamosche di crine di zebra. 

 

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