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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
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I sentieri di Cimbricus / La semplice filosofia di Shelly Ann

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Martedì 19 Luglio 2022

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“Benedico quel che la natura mi ha dato: è la ragione per cui non ho mai fissato una data per chiudere”. Uno dei segreti è la serenità: poteva insinuarsi il dubbio che il suo tempo fosse finito. Se è balenato, se n’è andato in un attimo. 


Giorgio Cimbrico

“Amo la competizione, mi piace correre, penso di poter andare ancora più forte. Perché l’età non conta”. Le avversarie mettano cuore e aspirazioni in pace: Shelly Ann Fraser-Pryce – il comodo acronimo è SAFP – non chiude qui, con il quinto titolo mondiale dei 100: il primo, a Berlino 2009, oscurato da Usain Bolt, simile al barone di Munchhausen quando cavalcava una palla di cannone. Il gigante e la piccolina. In autunno SAFP raggiungerà i 36 anni.

“Quel che ha fatto è formidabile: una cosa è centrare tempi simili in un meeting, un’altra in un campionato, alla terza prova”, dice Dina Asher Smith, la londinese nove anni più giovane che ha scritto una specie di spiacevole record: quarta in 10”83, record britannico, suo, uguagliato, in fondo a una di quelle gare che verranno ricordate per una qualità sublime e una somma di fattori: la vittoria di SAFP, naturalmente, la sconfitta della doppia doppietista olimpica Elaine Thompson dal viso di maga, il titolo di vicecampionessa conquistato da Shericka Jackson che, come Fred Kerley, è passata dai 400 allo sprint, il formidabile livello generale che ha espresso sette finaliste su otto sotto gli 11”0 e due eliminate in semifinale sotto una barriera che ha sempre un forte significato. 

SAFP è sposata dal 2011 con Jay Pryce, è mamma di Zyon, nato con parto cesareo, ha una laurea honoris causa in giurisprudenza assegnatale dall’università di Kingston. Quand’era ragazzina, molto povera (non lo ha mai nascosto), dava una mano in un salone da parrucchiera. L’esperienza le è rimasta dentro: con quante acconciature si è chinata sui blocchi in questi anni di tuono, sempre fasciato da un sorriso gentile? Una, floreale, aveva un gusto vagamente tra il caribico e il botticelliano. A Eugene ha optato per una parrucca di capelli lunghi, lisci e lilla. 

Se la Carlsberg è probabilmente la miglior birra del mondo (la citazione viene dallo slogan dell’azienda danese), SAFP, conosciuta anche come Pocket Rocket, il razzo tascabile, è probabilmente la miglior velocista della storia per quanto ha raccolto nei grandi campionati e per i segni cronometrici che ha lasciato (e sta lasciando) nei sacri testi: nove prestazioni tra 10”60 e 10”72. 

“Benedico quel che la natura mi ha dato: è la ragione per cui non ho mai fissato una data per chiudere. Sento di essere quello che ero a vent’anni, a trent’anni”. Uno dei segreti è la serenità: di fronte al salire in scena di Elaine Thompson e alla raffica di successi olimpici, poteva insinuarsi in lei il dubbio che il suo tempo fosse finito. Se è balenato, se n’è andato in un attimo. 

“L’età non conta”, dice SAFP. E le sue parole riportano a un’altra immagine, ancora fresca: le lacrime di Tiger Woods alla 18ª di St Andrews, in fondo a un secondo giro lontano dal vertice, con una gamba che non rispondeva ai comandi, capace solo di offrire rimanenze di un repertorio formidabile. Nel 2000, quando il suo dominio era un sigillo reale, sull’Old Course di St Andrews – sullo sfondo le case in pietra cruda e l’edificio georgiano che conserva le sacre leggi del golf – andarono in 238.000 per rendere omaggio a quel giovane, singolare sovrano, incrocio di etnie lontane da quella che inventò il gioco. 

Tiger ha attraversato una vita di trionfi, di tormenti, di eccessi. Ha provato a risollevarsi e in Scozia è andato claudicante, a raccogliere gli ultimi commossi applausi. L’età non conta ma il tempo è il più severo dei maestri. 

 

 

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