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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
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I sentieri di Cimbricus / Quando Albione perse la verginita'

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Mercoledì 15 Giugno 2022


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Dopo quel che è successo martedì sera (Inghilterra-Ungheria 0-4) sono andato a rivedere le immagini, in bianco e nero, di Inghilterra-Ungheria 3-6 del 25 novembre 1953. Il giorno che i “bianchi” cedettero la (quasi) secolare imbattibilità casalinga.

Giorgio Cimbrico

La chiamarono la partita del secolo perché la Football Association aveva compiuto 90 anni e perché l’Ungheria era la miglior squadra del mondo e, poco più di un anno prima, aveva vinto la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Helsinki: in finale, 2-0 alla Iugoslavia, gol di Puskas e di Czibor. Come diceva il vecchio Nicolò Carosio, “a Wembley i soliti 100.000”. In realtà quel giorno erano 105.000, la maggior parte in piedi, stipati come sardine. Una leggera nebbia fascia le azioni e crea un effetto sfumato. Trovo sia più affascinante dell’alta definizione. 

Erano passati sei mesi dalla conquista dell’Everest e della strana coppia nepalese-neozelandese Tenzing Norgaj-Edmund Hillary, in seguito ovviamente Sir, e dall’incoronazione della 27.enne Elisabetta e, dopo una lunga guerra, molte privazioni e una serie di avvertiti scricchiolii, si respirava una cert’aria imperiale. Gli ungheresi la spazzarono via, fecero precipitare sulla terra il calcio inglese mummificato nella sua presunta superiorità, nei suoi canoni immutabili, nella sua preparazione approssimativa. Dopo il clamoroso capitombolo con i dilettanti americani, alla prima partecipazione mondiale, i danni erano stati rapidamente circoscritti e il vecchio gioco, il WM, andava benissimo. Perché cambiarlo? 

Il manager inglese Walter Winterbottom non aveva grandi cognizioni tecniche, il contrario di Gusztav Sebes, il demiurgo di un nuovo gioco. Qualcuno sostiene che non ci fosse stata l’Ungheria, non ci sarebbe stata la rivoluzione olandese degli anni Settanta. Flessibilità e intercambiabilità contro rigidità. Persino nell’abbigliamento possono esser scorte differenze: gli inglesi avevano lunghi pantaloncini neri e una casacca che pare inamidata. Il perno della difesa, Harry Johnston, stava per vivere quello che gli inglesi chiamano un torrid day

La cronaca appartiene alla storia del calcio e alla storia del cambiamento: segna dopo un minuto Nandor Hidegkuti, riesce a rimediare l’Inghilterra con Jackie Sewell ma l’imprendibile Hidegkuti raddoppia (il centravanti arretrato, come un vascello fantasma, causò prima sconcerto, poi panico) per lasciar spazio a Ferenc Puskas dalla scriminatura perfetta: accarezza la palla con la suola, salta Billy Wright, segna e, concedendo il bis subito dopo, allarga un gap che non potrà più essere colmato.

Gli inglesi hanno un paio di palpiti dai due Stan: Matthews prova qualche serpentina e Mortensen, quello del gol impossibile all’Italia, nel ’48, fa il 2-4. Nel secondo tempo va a segno l’anima del centrocampo ungherese, Jozsek Bozsik, Hidegkuti fa tripletta e Alf Ramsey trasforma un rigore. Tra tutti quelli che lasciano il prato di Wembley, in un clima di euforia e di delusione, sarà l’unico, un giorno lontano meno di tredici anni, a conquistare un titolo mondiale. 

Il 25 maggio 1954 (tre settimane dopo l’impresa di Roger Bannister) venne organizzata una rivincita al Nepstadion di Budapest e finì 7-1, la più pesante sconfitta nella storia del calcio inglese. Il 4 luglio venne il Miracolo di Berna, per i magiari un pomeriggio di un giorno da cani. Presto ne sarebbero arrivati altri. La storia li disperse come oche selvatiche. 

Intanto il cammino dei campioni d’Europa procede: battuti dalla Macedonia del Nord ed estromessi da Qatar 2022, “scherzati” dagli argentini, ne hanno presi cinque dalla Germania. Il punteggio, se non sbaglio, ne ricalca uno analogo del ’39 quando si cantava “Camerata Richard” e non si diceva tedeschi ma germanici. 

 

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