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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / A casa di Kip, il re pastore

Martedì 3 Maggio 2022


keino 


Kip Keino è sempre stato uno che saltabeccava sulle distanze, che aveva il magic touch della classe pura, che sapeva spargere come una polvere magica. E l’eleganza e, quando ce ne fu bisogno, la spietatezza.

Giorgio Cimbrico

Circondato da una tribù di figli, naturali e adottivi, e da un’infinita schiera di nipoti, Kip Keino siede da lunghi anni sul suo trono di re pastore producendo miele, burro, formaggio e ricevendo omaggi: due scuole e lo stadio di Eldoret portano il suo nome. Nella fattoria sono appese la laurea honoris causa in legge e la cittadinanza onoraria, entrambe concesse dalla città di Bristol, non prodiga a dispensare titoli. L’ultimo, prima di Kip, era stato Winston Churchill, un altro sovrano senza corona.

Un giovane Kip compare sulla banconota da venti scellini. Accanto, è stampato lo stadio di Kasarani, dove sabato va in scena il “Kip Keino Classic”. A guidare l’organizzazione, Martin Keino che al padre ha sottratto i record di famiglia dei 1500, del Miglio, dei 3000. Ma al raccolto olimpico di Kip (due medaglie d’oro, due d’argento e una è placcata oro), Martin può rispondere soltanto con i titoli NCAA in campestre e nei 5000.

A gennaio il vecchio King, nato nelle generose Nandi Hills, ha raggiunto gli 82 anni. Ne sono passati quasi sessanta da quando apparve per la prima volta. Capitò nel drammatico finale dei 5000 di Tokyo, quando Bob Schul piegò l’ossuto Harald Norpoth nel momento della resa senza condizioni di Michel Jazy. Solo un’occhiata per quel giovanotto dalle gambe lunghe e dalle caviglie sottili che finì quinto. In realtà, non era la prima volta che Kip si allontanava da Kipsamo: due anni prima il Kenya, che a Tokyo era appena nato dalla smobilitazione dell’Impero, lo aveva incluso nella squadra per i Giochi del Commonwealth di Perth, Western Australia: undicesimo nelle 3 Miglia. L’esperienza era poca o nulla.

A Tokyo, fuori per poco dalla finale dei 1500 e quel piazzamento sui 5000. Kip è sempre stato così, uno che saltabeccava sulle distanze, che amava giocare su più tavoli. Aveva il magic touch della classe pura, che sapeva spargere come una polvere magica. E l’eleganza e, quando ce ne fu bisogno, la spietatezza. Meno di un anno dopo entra nell’albo dei primatisti del mondo: a fine agosto ’65, a Helsingborg, con un passo metronomico (3’49”6 più 3’50”) distrugge per 6”0 il record dei 3000 del DDR Siegried Hermann: 7’39”6, prima discesa sotto una barriera.

Il ’65 è l’anno dei suoi record: a fine novembre, a Auckland, dà una piccola spallata al mondiale dei 5000 di Ron Clarke, 13’24”2. Qualche mese dopo l’aussie, che nei grandi appuntamenti non ha mai cavato un ragno dal buco, risponderà con un tonante 13’16”6. Ma a Kip dell’inseguimento ai limiti non è mai importato molto. E’ in pista a Los Angeles, nel luglio del ’67, quando Jim Ryun corre in 3’33”1 e lui prende 4” senza fare una piega. Visto a posteriori, sembra aver preso le misure al giovanissimo americano.

A Messico si presenta da campione del Commonwealth del Miglio e delle tre Miglia e con ambizioni troppo sconfinate: corre i 10.000 e si ritira per problemi allo stomaco, dà vita a un furibondo finale con Mohammed Gammoudi, 54”8 sull’ultimo giro, e raccoglie la sua prima medaglia olimpica, secondo nei 5000, e tre giorni dopo, il 20 ottobre 1968, più che domare Ryun, lo smonta contando sulla fedeltà di un gregario di extralusso, Ben Jipcho (scomparso due anni fa) che lassù, a 2248 metri, imprime un ritmo assassino: 56”, 1’55”3. Kip rifila 20 metri e tre secondi a Ryun e firma il suo vero record del mondo: 3’34”9 in altitudine. “Se muoio, muoio qui”, sono le parole memorabili che scrive su quella giornata. Il giorno dopo nasce sua figlia Milka. E Olympia, naturalmente, all’anagrafe di Eldoret.

A Monaco ’72 ha 32 anni e decide di allargare ancora i suoi confini. “Sugli ostacoli ho una tecnica da animale ma mi diverto a farli”, sorrideva a chi gli domandava il perché di quella scelta. Le siepi non furono un grande problema: ad affiancarlo nel finale il fedelissimo Jipcho che più che altro badò a controllare il finlandese Tapio Kantanen. Ma un altro finlandese era sul filo dell’orizzonte: Pekka Vasala aveva l’aspetto del predicatore di certi drammi del profondo Nord, magro, ieratico, con gli occhi di ghiaccio. Esistono immagini bellissime di questo duello: in una di esse Pekka e Kip corrono alla stessa frequenza e la loro magrezza e la loro eleganza li rendono una coppia di fenicotteri di diverso colore. La seconda parte in 1’49” assegnò il verdetto al campione di Suomi, per alimentare in seguito dibattiti sulla liceità del suo sangue.

Kip era giunto all’apice della sua parabola e chiuse lì. Dopo, solo onori e una … puntata nello spazio: un asteroide porta il suo nome.  

 

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