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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
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I sentieri di Cimbricus / Atletica, mecca del football

Lunedì 25 Aprile 2022


       superbowl


Cementati da più che un pugno di dollari, i tentacoli tra la regina degli sport e il rude football d’oltre-oceano, sono più tenaci di quanto di creda. Qualche storiella del passato come del recente presente, può aiutare a capire.

Giorgio Cimbrico

Devon Allen non è più un ragazzino – 27 anni raggiunti a dicembre –, ma ha alle spalle l’esperienza giusta perché la sua nuova vita in NFL possa dargli gioie e denaro. Dopo i Mondiali di Eugene (è sicuro di esserci, senza passare per i Trials, dopo aver strappato una wild card come vincitore della Diamond League) Devon raggiungerà i Philadellphia Eagles. Esistono un contratto firmato e un ruolo, wide receiver, che conosce bene avendolo interpretato a lungo per Oregon State.

Allen, 13° americano ad esser sceso sotto i 13”0 nei 110H (12”99 nel 2021), due volte finalista olimpico (quinto a Rio e quarto a Tokyo), una linea di sangue samoano nelle vene, sta seguendo lo stesso itinerario tracciato da Bob Hayes: un giocatore di football che concesse una parentesi di vita all’atletica per tornare nella dimensione originaria.

Bob era il Toro di Jacksonville, era l’uomo del 9”1 sulle 100 yards, era l’improvvisato velocista che aveva costretto Lyndon Johnson a un intervento presidenziale: “Esentalo dagli allenamenti e fa in modo che non si infortuni”. Il destinatario del caldo consiglio che giungeva dalla Casa Bianca, era Jake Galther, coach della Florida University dove regnava Bob, sovrano dei touchdown nel mondo NCAA.

A Tokyo vinse i 100 su terra umida in un 10”06 “declassato” a 10”0 e offrì la sua potenza nell’ultima frazione di staffetta: più un tuono più che un fulmine, e una rimonta che si vede soltanto nella finzione cinematografica e che Bob rese reale germogliando leggenda: 8”9, ma qualcuno giura 8”6. Faceva volare zolle di terra, riassorbiva Polonia, Francia, Giamaica e URSS, vinceva con tre metri di margine. In tribuna, Jesse Owens estasiato: “Mai visto una cosa simile”. Dopo i Giochi, Hayes andò ai Dallas Cowboys, si trasformò nello wide receiver che costrinse all’invenzione di un nuovo schema difensivo, vinse il Superbowl del ’72, unico nella storia a affiancare l’oro olimpico all’anello.

Nel ’65 un altro doppio campione di Tokyo, il lunghissimo e velocissimo Henry Carr, firmò per i New York Giants dove rimase per tre stagioni come safety e cornerback. Nell’anno olimpico Carr aveva portato il record mondiale a 20”2 ma ai Trials di Los Angeles era finito quarto, dietro Drayton, Stebbins e Hayes. Infrangendo le durissime leggi delle selezioni, gli allenatori della squadra americana … inventarono la wild card e gli offrirono la chance. Sfruttata.

Se Hayes ha lasciato un segno profondo e Carr se la cavò con grande dignità, il passaggio al football di Jim Hines, primo sotto i 10”0 con crono automatico, è simboleggiato da un beffardo soprannome: Ooops. Nel senso che di solito raccoglieva la palla per perderla da qualche invisibile “tasca”. Dopo due misere stagioni con i Miami Dolphins, il campione di Mexico City finì per occupare il decimo posto nella classifica 1970 dei peggiori giocatori della NFL.

“Dolorosa” disse Renaldo Nehemiah quando qualcuno gli chiese come potesse definire la sua esperienza nella League. Il giovane che aveva infranto la barriera dei 13”0 non aveva retroterra nel football, ma più per soldi che per denaro decise di provare: finì ai San Francisco 49ers e lasciò il piccolo raccolto di quattro touchdown in tre stagioni, dal 1982 all’85. Le regole dell’epoca lo costrinsero a una sorta di abiura per poter essere riqualificato atleta amateur. Non tornò più quello dei suoi meravigliosi esordi giovanili. “Si fosse concentrato sull’atletica, avrebbe uguagliato Harrison Dillard, oro olimpico nei 100 e nei 110H”, disse Pat Connolly che ebbe parte importante in questo tentativo di ritorno.

Al football provò ad approdare anche Naas Botha, elusivo ed elegante mediano di apertura degli Springboks, ma l’invito dei Dallas Cowboys, che l’avevano individuato come potenziale kicker (calciatore), non portò a nulla. Naas, rodigino ad honorem, si consolò portando al titolo americano i Dallas Harlequins nella sfera che conosceva meglio, il rugby. Transitare da un dimensione all’altra non è facile, a meno di non essere Eric Liddell, ormai parte, più che della storia, della leggenda, ma non se la cavò male Nigel Walker, semifinalista nei 110H a Los Angeles ’84, più tardi capace di conquistare la maglia rossa con le tre piume del Galles.

 

 

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