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I sentieri di Cimbricus / Quando il "genere" trionfa sulla biologia

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Mercoledì 23 Marzo 2022

 

thomas 


Chi ha un alto livello di testosterone ha grandi vantaggi e chi transita da un sesso all’altro, in specie dal maschile al femminile, porta con sé caratteristiche – muscolari, ossee, fisiologiche – che non possono essere cancellate.

Giorgio Cimbrico

In un mondo in cui la prudenza e l’ipocrisia sono tutto, in cui, anche di fronte all’evidenza, l’uso del condizionale è fortemente consigliato e praticato, è sorprendente imbattersi in una frase così decisa: “Il genere non può trionfare sulla biologia”. L’autore è Sebastian Coe che chissà se avrà mai la chance di diventare presidente del CIO, l’organismo che predica l’inclusione a tutti i costi. E non per spirito di tolleranza, è chiaro.

Coe ha preso spunto dalla vittoria di Lia Thomas nelle 500 yarde dei campionati NCAA di nuoto. Per la Pennsylvania University aveva gareggiato sino al 2019, ma come uomo. Ancora Coe: “Credo che l’integrità dello sport femminile e il suo futuro siano molto fragili. Come World Athletics abbiamo stabilito che un’atleta transgender debba mantenere bassi i livelli di testosterone per dodici mesi prima di poter gareggiare a livello internazionale. Ed è noto che abbiamo varato regole anche per le atlete con diverso sviluppo sessuale”.

Quello che qualcuno ha battezzato “provvedimento Semenya”, impedisce a chi ha un livello di testosterone superiore in quantità strabiliante alla media femminile di correre le distanze tra i 400 e i 1500, a meno di non sottoporsi a un trattamento per abbassare drasticamente questi livelli che, secondo biologi e fisiologi, portano vantaggi, sui due giri, attorno ai sette secondi.

Caster Semenya ha rifiutato, inoltrandosi in una battaglia che ha ricevuto l’appoggio di alcune associazioni internazionali per i diritti umani. La kenyana Margaret Wambui, terza a Rio, è sparita. Altre hanno deciso di dirottarsi su distanze nuove: è il caso della burundiana Francine Nyonsaba, passata dagli 800 (fu argento olimpico a Rio) ai 3000 e ai 5000 (con violenti progressi che l’hanno portata sotto gli 8’20” e sotto i 14’30”) e i 10.000, quinta a Tokyo.

La giovanissima namibiana Christine Mboma, non ancor 19.enne, ha “accorciato”: dai 400 (era scesa abbondantemente sotto i 49”0) ai 200: argento a Tokyo e un picco di 21”78 che la colloca non lontano dalle Top Ten. Qualche giorno fa, esordio sui 100 in 11”15. Prestazioni eloquenti sull’importanza di certi “doni”.

In realtà il provvedimento di WA, la vecchia IAAF, non risolve il problema: chi ha un alto livello di testosterone gode di forti vantaggi, qualunque sia la distanza scelta. Ma è anche vero che tutte le atlete citate sono donne, sia pure con diversi o sorprendenti profili ormonali. Chi transita da un sesso all’altro, in questo caso dal maschile al femminile, porta con sé caratteristiche – muscolari, ossee, fisiologiche - che non possono essere cancellate.

“Ricordo quando le mie sorelle, a 12 o 13 anni, battevano i loro coetanei, ma con il progredire della pubertà le cose cambiano”: ancora parole di Coe, giunto ormai ad un’età in cui il passato e il ricordo finiscono per avere un peso che non può essere trascurato. In cui questo “mondo nuovo”, immaginato proprio da un inglese, può trasmettere dubbi, timori, brividi.

 

 

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