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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / Marcell, apollineo e dionisiaco

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Martedì 22 Marzo 2022

 

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“Non è possibile, se non con un’operazione di fantasia o creando parametri più o meno attendibili, affermare con sicurezza che quel 6”41, il suo terzo record europeo, valga un tempo attorno a 9”75. O qualcosa in meno”.

Giorgio Cimbrico

Perché guardiamo, studiamo, amiamo lo sport? Esistono, come in tutte le disposizioni d’animo umane, un atteggiamento apollineo e uno dionisiaco. Il primo privilegia la bellezza assoluta, nella forma, nel gesto, sino a confluire in aspetti non esteriori. L’etica, ad esempio, una componente che l’età moderna e contemporanea hanno sempre più accantonato, limitato, trascurato. Il secondo pone in primo piano le emozioni, anche violente, che possono essere suscitate per un’impresa, da un protagonista, dall’ambiente che circonda ed è cornice dell’una o dell’altro.

Nelle arti plastiche Apollo è sempre bello, radioso, quasi ieratico, Dioniso può anche essere barcollante, beatamente sorridente, disposto ad allungare le mani. Lo sport è capace di legare queste due visioni. La tentazione è di non piazzare il punto interrogativo in fondo a questa breve frase. Può, in un inseguimento non agevole.

Riflessioni che affiorano e offrono buone vibrazioni dopo la vittoria di Marcell Jacobs nei 60 mondiali, un successo che da qualcuno è stato sbrigato all’insegna di un “tiè” rivolto a chi aveva dubitato, sospettato o a chi, semplicemente, aveva parlato di sorpresa, di meteora. Reazioni normali (?), logiche (?) e anche un poco livorose: se il mondo di ieri non era un pranzo di gala, quello d’oggi, c’è un lungo aperitivo al fiele. Valutazioni personali, ben sostenute da una realtà sempre più disarmante.

La ricerca della perfezione, obiettivo di Jacobs, di Paolo Camossi e del gruppo di lavoro che sta appena alle spalle della coppia in scena (vengono in mente Albert Finney e Tom Courtenay, Vittorio Gassman e Salvo Randone o, più alla leggera, Jack Lemmon e Tony Curtis), risulta evidente nell’azione di chi comincia a possedere una cospicua collezione e non fa mistero di voler completare, entro fine agosto, un Grande Slam, preludio all’avvicinamento a Parigi 2024.

La corsa di Jacobs, specie nella fase lanciata, ricorda quella di Donovan Bailey e soprattutto quella di Asafa Powell ma, specie per il giamaicano, senza l’accentuato arretramento delle anche e senza il marcato avanzamento di ginocchia portate in alto. E’ una corsa che da calligrafica sa trasformarsi in aggressiva.

Come a Tokyo, Jacobs ha migliorato turno dopo turno e, specie nella semifinale, più che nella finale corsa nella seconda parte con le logiche concitazioni di un turno decisivo, ha offerto particolari che meritano di essere visti, rivisti, misurati. Quello che lascia la maggiore impressione è la fulminea rapidità nel contatto sul terreno, altrettanto fulmineamente abbandonato.

La velocità è un dono insito nel nostro DN: correre una gara di velocità è, specie oggi, uno studio che va a pescare sino a dettagli che possono apparire insignificanti (per Belgrado Jacobs e Camossi avevano deciso di spostare all’indietro uno dei blocchi. Di quanto? Qualche centimetro, per liberarlo allo sparo con più fluidità); è un’esplorazione resa possibile dai dati forniti dalla video-analisi, è una dimensione in cui l’alimentazione, il sonno, la psiche devono essere sottoposti a costante controllo.

A Belgrado Jacobs ha battuto, su quello che lui stesso ha definito il loro terreno di caccia, Christian Coleman e Marvin Bracy, dietro per tre millesimi e per tre centesimi. Non è possibile, se non con un’operazione di fantasia o creando parametri più o meno attendibili, affermare con sicurezza che quel 6”41, il suo terzo record europeo, valga un tempo attorno a 9”75. Di sicuro i 40 metri “mancanti” erano terreno di caccia più suo che loro.

Apollineo in semifinale, Marcell è stato dionisiaco nei secondi 30 metri della finale, quando la perfezione ha aperto le porte alla furia. Decisiva, ma così passeggera da abbandonarlo nell’attesa del risultato: Coleman aveva un volto segnato da pieghe, Jacobs aveva ritrovato la serenità che ha conquistato ed è come un’aura.


Foto: trackandfieldnews


 

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