- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / In morte del saltafossi Ben Kogo

PDFPrintE-mail

Lunedì 24 Gennaio 2022


kogo


Sul podio olimpico del Messico il primo 1-2 keniano sulle siepi, due giovanotti dal nome biblico. Quasi senza volerlo, ma entrambi con l’altura nelle gambe e nei polmoni e una certa sfacciata e incosciente improntitudine.

Giorgio Cimbrico

A pochi giorni dalla scomparsa di John Velzian, l’allenatore inglese che comprese gli illimitati mezzi degli uomini del vecchio Kut, Kenya-Ugnada-Tanganyka, a 77 anni se n’è andato Benjamin Kogo, uno dei primi saltafossi donati dal Kenya, medaglia d’argento a Messico quando due giovanotti dal nome biblico cambiarono la storia di un distanza e le diedero una direzione. Amos Biwott e Ben Kogo (nella foto col n. 567) erano compaesani, tutti e due del distretto non lontano da Eldoret che prende il nome dalla tribù che vi abita, i Nandi.

Dopo di loro, Kip Keino, Julius Korir, Julius Kariuki, Matthew Birir, Joseph Keter, Reuben Kosgei, Ezekiel Kemboi, Brimin Kipruto, ancora Ezekiel Kemboi, Conseslus Kipruto.

Kogo era più vecchio di quattro anni, più esperto: aveva corso a Tokyo, fuori in batteria, ai Campionati Africani 1965, primo, ai Giochi del Commonwealth 1966 in Giamaica, terzo, aveva esperienza: Amos, no: vent’anni e l’istinto, niente di più. Il racconto di Amos “Corro i 10.000 al campionato del mio distretto, finisco quarto, stanco non sono e quando vedo che di lì a due ore c’è la gara con gli ostacoli, mi dico: val la pena partire. Arrivo secondo e mi dicono: hai conquistato il diritto ad andare a Nairobi per i campionati del Kenya. Vado, vinco e mi portano ai campionati dell’Africa Orientale. Lì vince Kogo che di siepi ne sa più di me, ma io sono secondo e mi dicono che ora devo andare alle Olimpiadi. Dove? domando. In Messico, si va in aereo. Mai preso, dico io, ma va bene così”.

Il motivo per cui i kenyani sono imbattibili nelle siepi è semplice: se uno si sposta a piedi, e cinquant’anni fa era la norma, bisogna correre su argilla compatta, superare ruscelli secchi nella stagione asciutta o impetuosi in quella delle piogge, scavalcare fossi, scendere in piccole forre e risalirne. Hanno cominciato con le siepi e quando hanno cominciato a farsi vedere nella corsa campestre hanno scandito anni di monopolio.

A Messico le siepi sono ancora un feudo europeo: il campione in carica è Gaston Roelants, belga di Lovanio, giardiniere, si dice. E’ anche il primatista del mondo prima che una cometa finlandese, Jouko Kuha, glielo porti via due mesi prima dei Giochi, per un paio di secondi. Kuha era un personaggio bizzarro e ascetico: aveva preparato la stagione nel caldo umido del Brasile e aveva centrato l’obiettivo. Subito dopo annunciò che chi era nato al livello del mare lassù non aveva una chance e non si fece iscrivere ai Giochi. Buon profeta.

A quel punto Roelants, che amava spingersi anche sulle lunghe e lunghissime distanze e che finì per diventare fonte di ispirazione per Karel Lismont, pensò che, se aveva smarrito il record, aveva la forte possibilità di fare un bis che non era riuscito a nessuno. Da tenere d’occhio, l’americano George Young, l’australiano Kerry O’Brien, il russo Viktor Kudinsky. O’Brien era l’unico che aveva avuto a che fare con uno dei kenyani: due anni prima, a Kingston, era riuscito a salvare il secondo posto da Kogo per un paio di palmi. Dell’altro, Biwott, nessuno sapeva niente.

Neppure Amos sapeva niente: della gara, della capacità di interpretarla. In batteria partì come un matto, scavalcando gli ostacoli senza andare ad appoggiare il piede, volando sulla riviera e andando a ricadere sullo stesso appoggio, come nell’hop del triplo. Aveva le scarpe asciutte e un giornalista americano, che oggi sarebbe accusato di razzismo e finirebbe negli irati flutti dei frustrati che praticano l’arte masturbatoria dei social media, scrisse che sembrava avesse paura che nella fossa d’acqua lo attendessero in agguato i coccodrilli. Biwott era un divertente, folkloristico, irrazionale ragazzo che sprintava con se stesso, che lasciava gli altri a una dozzina di secondi. I 2000 metri erano il suo habitat ma non stava esagerando?

E così – balzano sì, scemo no – in finale decise di non esagerare, di stare a guardare come si mettevano le cose. Dalla coda assistette al ritiro di Kudinsky, colpito da uno stiramento a un polpaccio, e subì, senza conseguenze, l’aumento dell’andatura imposto da Roelants, seguito da Kogo e da Young. I kenyani non potevano saperlo ma l’americano, alla sua terza Olimpiade, veniva da uno dei luoghi più misteriosi della terra: Roswell, New Mexico, l’Area 51, posto da alieni.

Roelants iniziò a boccheggiare, Young attaccò a fondo e Kogo oppose resistenza all’assalto del “marziano”. Ancora in testa all’ultima riviera e all’ultimo ostacolo. Da dietro sbucò Biwott e li infilò, un metro e mezzo davanti a Kogo e Young. Campione olimpico alla quinta esperienza. Tempo trascurabile, ma era l’ultima cosa che importava.  

Era già tutto scritto nella Bibbia: Amos, contadino, mandriano, profeta; Benjamin, secondo figlio di Rachele.  

 

Cerca