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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Le regole si rispettano (in Australia)

Lunedì 17 Gennaio 2022

 

djokovic 

Che gli australiani tengano molto al loro isolamento e non vogliono storie, né inquinamenti, è un fatto antico e riprovato. Anche per le Olimpiadi non fecero eccezioni: figurarsi per un solo giocatore di tennis, sia pure il N. 1, e per di più bugiardo.

Giorgio Cimbrico

Stoccolma è l’unica città ad aver ospitato un’Olimpiade e un pezzetto: l’Olimpiade è quella del 1912, capace di rinsaldare lo spirito e il corpo dei giovani Giochi, il pezzetto è del 1956 quando le severe disposizioni australiane sulla quarantena, applicate ai cavalli, costrinsero a far rotta sulla capitale svedese dove si svolsero le prove equestri. Anche se gigantesca, l’Australia è pur sempre un’isola e il timore che malattie o infezioni si propaghino è sempre stato vivo.

Anche i coloni “forzati” che venivano dalla Gran Bretagna erano sottoposti a un periodo in cui venivano tenuti sotto osservazione, da passare a Norfolk, un’isola ricca di conifere e di araucarie che, secondo le buone regole del mondo downunder, hanno le latifoglie che puntano all’insù. Gli edifici dove i “convicted” erano detenuti fanno parte del giro turistico dell’isola e le severe costruzioni in pietra sono tra le più antiche dell’intera Oceania. A Norfolk, più di recente, sono finiti cambogiani, laotiani e vietnamiti che vedevano nell’Australia una nuova possibilità di vita, meno grama della precedente.


Il timore di incorrere in durissime sanzioni da parte delle autorità australiane ha coinvolto anche me e un caro amico che la sorte ha portato lontano dal mio radar ma che io continuo a sentire vicino. Il racconto non ha nulla di drammatico, semmai di farsesco.

1985, Coppa del Mondo a Canberra: grazie all’invito della IAAF partiamo per un viaggio che odora di avventura. Nel tratto tra Francoforte e Hong Kong voliamo con la Lufthansa e cominciamo a chiacchierare con una delle hostess che è di Bolzano ed è amica di Erika Rossi, al tempo la migliore quattrocentista azzurra.

Quando sta per iniziare il lungo e tortuoso avvicinamento al vecchio aeroporto di Hong Kong, che prevedeva uno slalom finale tra i grattacieli, la ragazza si avvicina con due sacchetti della compagnia: “Ci ho messo un po’ di cose. Arrivederci e buon viaggio”. Di sicuro ricordo che c’erano bottigline, da doppio bicchiere, di bordeaux e vasetti di paté. A Hong Kong siamo in transito e in ogni caso a quel tempo i controlli erano quel che erano. Ed è con il sacchetto ben stretto che dopo un paio d‘ore decolliamo per Sydney.

Alba dai colori fantastici. Atterraggio a Sydney e inizio della marcia verso il controllo dei documenti e dei bagagli. Io e Dino cominciamo a leggere lunghi cartelli che ci sovrastano: “Chiunque introduca in Australia cibi, liquidi, semi o piante di ogni tipo è passibile di pene sino a 50.000 dollari”. Al tempo, 50 milioni di lire. Ogni cartello diventa sempre più minaccioso e quello prossimo ai controlli non lascia scampo: “Questo è l’ultimo avvertimento”. Allungando il collo notiamo che gli agenti sono già al lavoro con passeggeri che ci hanno preceduto: sono dannatamente efficienti nello scovare. Nel nostro caso, nulla da scovare: il corpo del reato è appeso alle nostre dita.

Ci guardiamo negli occhi, non diciamo una parola e vuotiamo tutto, sacchetti compresi, nell’ultimo contenitore. Addio al bordeaux, addio al paté che avrebbero fatto comodo in qualche pausa, senza attaccare il frigobar. Proviamo a riderci su ma il risultato è acido. Siamo stati vigliacchi? Siamo stati prudenti? Al ritorno esportiamo il record di Marita Koch, ancora imbattuto.

Sono un dannato melomane e la prima cosa che faccio, alzandomi, è accendere la tv e metterla su Classica, canale 136. Ieri, per svegliarmi, l’orientaleggiante “Lakmé” di Leo Delibes, produzione del Carlo Felice di Genova per il nuovo teatro, in marmo e legno di cedro, di Muscat, capitale dell’Oman, sentinella sullo stretto di Hormuz e per il resto affacciato sull’Oceano Indiano.

Un sultanato prospero ma non ricchissimo, stabile e tollerante grazie alle riforme volute da Qabus bin Said al Said, ufficiale del reggimento scozzese dei Cameronians (aveva studiato all’accademia di Sandhurst), al potere per cinquant’anni dopo un colpo di stato incruento in cui depose suo padre, scomparso due anni fa e sostituito dal cugino Haitham al Said. Finita la “Lakmé”, scopro che la prossima Coppa del Mondo di Marcia – o campionato mondiale a squadre –in calendario il 4 marzo, sarà a Muscat. Un altro palcoscenico e un nuovo mondo.

 

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