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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
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Italian Graffiti / Lasciamo che lo Stadio Olimpico resti olimpico

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Venerdì 12 Novembre 2021

 

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Il presidente della federcalcio (e membro del governo olimpico) Gabriele Gravina vorrebbe dedicare lo Stadio Olimpico a Paolo Rossi, l’eroe di Madrid ’82. Una idea proprio in linea con quella visione che ci ostiniamo a chiamare cultura sportiva?

Gianfranco Colasante

Anche se negli ultimi tempi si vanno moltiplicando gli appelli al “santo subito”, in politica e fuori, fa un po’ impressione – ma, a ben pensare, neppure tanto – la faccenda delle (ri)nomine per gli impianti sportivi. Non bisogna andare troppo all’indietro per ricordare il connubio Napoli-Maradona: dopo aver concesso all’ex “pibe-de-oro” la cittadinanza sfrattando il malcapitato generale Enrico Cialdini per fargli posto (revisionismo storico lo chiamano gli acculturati), i napoletani hanno addirittura rispedito San Paolo sulla via di Damasco per poter intitolare a San Diego lo stadio cittadino (stadio ch’era stato costruito dal CONI per i Giochi di Roma, ma chissà se qualcuno lo ricorda).

Sulla stessa lunghezza d’onda, ora il mainstream vorrebbe intitolare lo Stadio Olimpico a Paolo Rossi, il goleador di Spagna ’82 scomparso da un paio d’anni. Come se “olimpico” non fosse già per di sé una dedica, sia storica che culturale. Una voce che gira da alcune settimane, ma che ha fatto una certa impressione dopo che a rilanciarla è stato addirittura il presidente della FIGC Gabriele Gravina all’inaugurazione di un “mezzobusto” (si dice proprio così) a “Pablito” nel suo quartiere di Prato. La notizia, come dire, non è di giornata, ma qualche riflessione io credo la meriti comunque.

Come è noto, Gravina, presidente della Federcalcio dal 2018, è l’assoluto dominus del calcio italiano, specie dopo le recenti dimissioni del capo storico della Lega Dilettanti, Cosimo Sibilia, ch’era nominalmente il solo a poterlo contrastare dopo averne favorito l’ascesa portandogli in dote il suo 34% di voti “dilettanti”. Ma queste sono vicende che esulano dalle (ri)nomine. La leggenda di Gravina, concittadino di Rodolfo Valentino, nato nel 1953 – proprio l’anno di inaugurazione dell’Olimpico “ricostruito” nel dopoguerra da Bruno Zauli –, nasce col miracolo del Castel di Sangro, la squadra di un paesino arroccato tra le montagne abruzzesi arrivata 25 anni fa a disputare la serie B. Al centro e alle spalle di quel miracolo (cui il giallista americano Joe McGinnins ha dedicato una ponderosa ricostruzione) c‘era proprio Gravina, presidente e mecenate.

Non furono in pochi a sperare, all’epoca della sua elezione al vertice del sistema calcio – sistema che per il vero non se la passa tanto bene, schiacciato dai cinque miliardi e passa di esposizione –, lui uomo di importanti relazioni bancarie ed economiche, che quel miracolo potesse ripetersi in via Allegri. E sul piano sportivo in parte è accaduto con la vittoria agli Europei in casa degli inglesi. Nel frattempo Gravina era stato eletto nella Giunta del CONI col compiaciuto assenso di Giovanni Malagò, dimentico che al momento della sua ascesa al soglio del Foro Italico il calcio lo vedeva come il fumo negli occhi. Non proprio una cosa da nulla, ricordando la frequenza con la quale il CONI per decenni ha commissariato la FIGC. Acqua passata: ora c’è Gravina che ha promesso una serie di riforme, a cominciare da quelle dei campionati. E tutti le aspettano fiduciosi, anche se si sa che da noi, quanto a riforme, le strade sono sempre scivolose e piene di buche. Chiedere a Draghi, per competenza.

Ora, in attesa di queste benedette riforme, se il presidente Gravina i suoi auspici su Paolo Rossi e l’Olimpico (“sarebbe un grande gesto”), al di là degli aspetti procedurali e giuridici, li avesse espressi da presidente della federazione, si potrebbe capire. Ma da membro super-autorevole del governo olimpico italiano, la faccenda assume ben altri contorni e coinvolge ambiti diversi. Tanto che qualcuno, i bastian contrari non mancano mai, si è chiesto: “e allora perché non dedicarlo a Totti, che per di più è romano?” Anche lui campione del mondo e autore di quel notevole contributo al pantheon letterario nazionale con i libri sulle barzellette, si potrebbe aggiungere. A riguardo, tanto per restare al Foro Italico, c’è il precedente del Centrale del tennis intitolato a Nicola Pietrangeli in vita piuttosto che a Giorgio de Stefani, da anni defunto.

Tutto ciò premesso, va anche detto che al CONI la proposta di Gravina (che comunque, come riserva potrebbe intitolare a Paolo Rossi lo Sport Village sulla via Salaria) non ha sollevato entusiasmi. Anzi, considerato l'imbarazzato silenzio del Foro Italico. Anche perché i soliti malpensanti si sono affrettati a ricordare quella mai chiarita faccenda del Totonero che costò a “Pablito” due anni di pesante purgatorio prima che il buon Bearzot lo riportasse in paradiso. Se ne può dedurre che lo Stadio Olimpico, pur con gli sfracelli di Italia ’90 pronubo Franco Carraro, resterà “olimpico” almeno nel nome. E di questi tempi un po’ magri e così avari, se vogliamo, questa è già una buona notizia. O almeno lo vogliamo sperare.

 

 

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