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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Duribanchi / Chiamateli, se volete, paradossi

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Martedì 26 Ottobre 2021


cannabis

 

Non è solo questione di soldi, sprecati e richiesti. Ad ogni angolo del paese di Pulcinella incroci qualche contraddizione tra il dire e il fare. Di norma ai danni dei meno smaliziati e dei più ingenui. Ed anche nell’ex universo sport avviene che ...

Andrea Bosco

Chiamateli, se volete, paradossi. Per esempio: come fa un paese come l’Italia, con un debito pubblico galoppante e spaventoso, a permettersi redditi di cittadinanza, quote 102, investimenti per compagnie aeree bollite, già costate al contribuente miliardi di euro? Come fa a chiedere liquidità per una Banca, da privatizzare parimenti bollita e già una volta “salvata”? Il paese come un bancomat. Aziende incapaci di stare sul mercato, “salvate” per decreto. Ma non eccepite: vi diranno che non salvarle, sarebbe “macelleria sociale”. Il paradosso di un paese che ha disimparato a lavorare. Dove chi non lavora, neppure lo cerca, un lavoro. E quando magari glielo trovano, lo rifiuta.

Meglio l’assistenzialismo di Stato. Talmente facile da ottenere che vengono da altri paesi, in trasferta, per ottenerlo. Ogni giorno la GdF scopre decine di truffatori che percepiscono una indennità alla quale non avrebbero diritto. Ma guai a dire che il reddito va riformato. Ne vogliono altri, di “redditi”, oltre a quello di cittadinanza. Ne vogliono uno di “povertà”. E uno per i diciottenni. A nessuno che venga in mente di assegnarne uno alle famiglie dei disabili, spesso abbandonate dalle istituzioni. C’è chi ne vorrebbe uno per i migranti. Anime disperate che viaggiano e muoiono in mare: da accogliere e da sistemare. Ma dove? Con quali risorse, se l’Italia è rimasta sola nell’immane compito di non girare la testa dall’alta parte? “Aprite il vostro cuore” ha chiesto il Papa. Ma avrebbe dovuto dire la verità: “Aprite il portafoglio”.

Io sono favorevole ad un contributo per i migranti. Sono favorevole ad una – contenuta – patrimoniale. A patto non diventi una spremitura sui soliti noti. Perché sono gli ignoti a farla franca. Ignoti: si fa per dire. Bussano a soldi Napoli, Palermo, Roma: tutte alle prese con buchi di bilancio spaventosi. Ma poi il Corrierone ti fa scoprire che a Roma una casa con vista Piazza Navona costa 42 euro di affitto al mese, graziosa concessione di passate amministrazioni. Case “popolari”, i cui inquilini, da decenni, non pagano l’affitto. Oltre un miliardo di euro mai riscosso. E, storia tutta italiana, oltre 400 milioni, ormai non più “esigibili”. Il paradosso di un politico veneziano, “comandato” dal partito a Napoli. Che per Venezia non aveva chiesto un centesimo, ma che ora li chiede per Napoli. Quando si dice la fedeltà al partito.

Resto a Napoli. Anzi, sul Napoli. Primo con merito in classifica, sia pure in compartecipazione con il Milan. Dunque: ho un amico tifoso di Insigne. E visto che con me è stato ripetutamente gentile, voglio fargli un regalo: la maglia del fantasista partenopeo. Giro quattro negozi specializzati, senza risultato. L’ultimo in piazza Duomo mi dice: “Mai arrivate le maglie del Napoli. Provi in via Manzoni da Armani: quest’anno vestono la squadra di Spalletti”. Ci vado e mi sento rispondere: “Non ci sono e non arriveranno. Il Napoli ha deciso di vendere solo on line sul suo sito”. Ovviamente al prezzo fissato dalla società. Paradossi: come il calcio che chiede denari al governo, piangendo miseria, evitando il mea culpa per i debiti prodotti nel corso dei decenni, ma che non ci sente di fare le riforme. Si gioca troppo? Ovviamente sì, in omaggio agli interessi di Federazioni, FIFA e UEFA. Ma nessuno chieda di ridurre il numero delle partecipanti ai campionati. Risponderebbe il presidente federale che “non è il tempo”.

Paradossi. Hanno imposto la VAR a furor di popolo. Il campionato italiano è quello più “consultato” del mondo. Gli arbitri fischiano come vecchie locomotive a carbone. Assegnano un numero spropositato di rigori. Ma il paradosso è che chi aveva la “coda di paglia” e invocava tonnellate di tecnologia, sospettando complotti e “gomblotti”, oggi chiede di mitigare un regolamento, sempre più criptico, sempre più arricchito di codicilli e pandette. Per evitare vengano concessi quei “rigorini” che fino ad ieri pretendeva. Il bello è che nella jungla di ex arbitri che hanno trovato un altro mestiere discettando in tv, non ne trovi uno che vada d’accordo con un altro (ex) collega. Lo riscrivo: due “chiamate” per tempo da parte di allenatori o capitani. Il resto lasciato al caso, all’errore, al fato. La partita perfetta è una insensata utopia. Detto questo, gare come Inter-Juventus allontano i tifosi dal calcio: brutte. Anzi, bruttissime.

Milano sta ancora trattando per il suo nuovo stadio. Da realizzare in “società”. Mezzo dell’Inter, mezzo del Milan. Il problema sono le cubature accessorie. I Verdi in giunta con Beppe Sala non ci stanno. Il sindaco nicchia. Vedremo. Anzi, vedranno. Perché io, milanese d’adozione (che a Milano ho trovato lavoro, comprato una casa, visto nascere la mia unica figlia, che a Milano ho amici ed interessi, dove, residente dal dicembre del 1971, sono invecchiato) ho deciso di tornare a Venezia. L’ho deciso qualche giorno fa: dopo aver visto comparire in Corso Magenta due mega pubblicità (sulle facciate di abitazioni in ristrutturazione) inneggianti alla Cannabis libera. Non faccio la verginella: negli anni Settanta è capitato anche a me di consumare qualche pakistano. E non sono un moralista. Mi sta bene che la droga leggera sia stata “liberalizzata”: specie per scopi terapeutici. Ma una (smaccata) pubblicità di quel tipo è indigeribile. Lo dovrebbe essere per tutti: anche per quelli che della Cannabis hanno sostenuto la legalizzazione.

C’è un limite, al cattivo gusto. Quindi: cosa ci potrei ancora fare in una città governata da un sindaco che permette cose del genere? Non sarà facile: mia moglie non ne vuole sapere. E mi allontanerei di 275 km da mia figlia e dal suo cane. Ma devo farlo. Quando in un posto non ti ci ritrovi più, meglio andarsene. I miei amici lagunari mi hanno avvertito: dehors in ogni strada. Ma almeno in Laguna, niente monopattini. Erano in tre, in Piazzale Baracca, sabato pomeriggio: tre ragazzini sfreccianti sul marciapiede dal quale si accede alla farmacia. Ho protestato: “Siete incoscienti ...”. Mi hanno risposto: “Taci, vecchio, fatti da parte”. Capito, sindaco?

Paradossi: alla 14.sima manifestazione No Vax del sabato (non autorizzata), i commercianti che hanno denunciato decrementi al fatturato di oltre il 20%, hanno inondato di proteste i giornali. Non basteranno. Prefetto e Questore continueranno solo a monitorare. La linea Lamorgese è quella della tolleranza. Quindi a mio parere, i commercianti hanno una sola possibilità per farsi ascoltare: scendere a loro volta in piazza. Di sabato pomeriggio. Pacificamente e in tanti. Poiché la libertà di manifestare è garantita dalla Costituzione, la adoperino. Vadano per strada fino a Piazza Scala. Non serviranno né cartelli, né megafoni. Se le boutique della Galleria, di Via Montenapo e di Via della Spiga saranno chiuse e con le luci spente, Beppe Sala, capirà. Fecero così i 40.000 colletti bianchi di Torino quando lo scontro sociale in città era diventato insostenibile, con la FIAT picchettata e i dissidenti impediti ad entrare in fabbrica. Quella marcia fece riflettere il PCI, fece riflettere Enrico Berlinguer e soprattutto Luciano Lama. Scendano in piazza i commercianti di Milano. A rivendicare la libertà di lavorare.

Gli estremisti neri e rossi, minoranze, che ogni sabato occupano le strade di Milano, possono essere sloggiati solo dai cittadini. Non lo faranno le autorità. Per le quali, ormai, il termine “legalità” è spesso una astrazione. Altrimenti le “movide” nelle varie zone della città sarebbero da tempo “educate”. Magari con qualche decibel in più. Ma senza lo schifo illustrato dai cittadini esasperati, verificatosi (come ogni fine settimana) in Via Lecco e strade adiacenti. Da quanto si invoca una Polizia Metropolitana che abbia reali poteri di Polizia e non solo di Vigilanza? O l’immancabile ricorso al TAR (e poi ancora e ancora fino alla Corte Costituzionale) terrorizza il legislatore? I padri costituenti (tornassero in vita), prenderebbero a calci in culo i loro eredi, davanti allo scempio perpetrato nei confronti della Carta.

Tornando a Venezia: credo che magari un salto al Penzo lo farò a vedere la comunità internazionale di Zanetti (giocatori di 16 differenti nazionalità …). Se non altro per curiosità. Di sicuro andrò al Taliercio: brutto, scomodo, disertato dal pubblico. La Reyer di De Raffaele sta vivendo una fase di involuzione. Determinata anche dalla scarsa qualità di alcuni nuovi giocatori. Che avevano illuso, ma che si stanno rivelando, viceversa, scommesse di complicata riscossione. Ma la Reyer femminile sembra ancora competitiva. E, cosa confortante, sono sempre le italiane (in questa stagione più che in passato) a fare la differenza. Anche se, a dire il vero, la gemma del diadema resta Anderson: il tipo di play (capacità di attaccare il ferro, tiro da fuori, regia) che servirebbe a De Raffaele.

Infine: i più sentiti ringraziamenti all’Orso che via mail ha diffuso un bellissimo ritratto su Paolo Vittori. Giocatore straordinario (a Milano e a Varese). Visto con la maglia dell’Ignis alla Misericordia. Tirava da “casa sua” e nessuno era in grado di contrastarlo. Elegante e bello la sua parte. Fisicamente, intendo. La mia morosa (che sarebbe diventata mia moglie) era una tifosa sfegatata della Reyer. Lei e una sua amica (morosa di un mio compagno) ogni domenica ne dicevano di “ogni” agli avversari e agli arbitri. Tranne quando arrivavano l’Ignis e Vittori. Perché Vittori era “proprio bello”. Ancora nessuno diceva “figo”. Ma il concetto era quello. E allora vai con gli elogi. E un pizzico di (nostra) giovanile gelosia. Del resto, anche noi maschietti, alla fine, dopo aver ingoiato amaro per la (scontata) sconfitta, ci dicevamo: “Mai visto uno segnare da così lontano”. Non Lombardi, non Bertini, non “Nane” Vianello, non il “pelato” Cedolini. Solo, lui Paolo Vittori: in una stagione nella quale ancora ignoravi. Che un giorno, sul parquet sarebbe apparso “tale" Curry.

 

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