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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Le ombre lunghe e sottili dei Masai

Venerdì 1° Ottobre 2021


masai

 

La strada è di argilla rossa che spesso scompare: il fondo diventa di roccia dura, levigata, accarezzata da un’acqua che non c’è, il fondo di un fiume asciutto. Colline appena accennate, ognuna con un’acacia a ombrello.

Giorgio Cimbrico

Mi sono smarrito e commosso davanti a un documentario senza effettacci e effettini. Solo le ombre lunghe e sottili dei Masai, la loro Olimpiade rituale che ha sostituito la caccia al leone perché chi vive nella natura, batte tutti gli ambientalisti: corsa sull’erba, a occhio 800 metri, lancio della mazza coronata da una sfera di legno duro e della lancia e, prova finale, l’innalzarsi verso il cielo in posizione eretta, in un esercizio che è anche una danza, andando a sfiorare con la fronte un’asticella che sale, appoggiata su rustici ritti. Starter e ospite d’onore, David Rudisha che lo status di guerriero raggiunse già dopo l’impresa di Londra.

Per la corsa indossano tutti maglietta e calzoncini (senza sponsor), per le altre prove c’è chi preferisce quella loro tunica rossa a quadrettoni che li rende degli scuri e magri scozzesi. Le squadre sono i clan delle tribù. Chi ha le scarpe le calza, chi non ce l’ha, gareggia scalzo. C’è molto tifo e molta allegria: i toto (i ragazzini) sgusciano da tutte le parti, le ragazze hanno indossato i loro vestiti migliori con migliaia di perline e ridono mostrando i loro grandi incisivi, i moran, i giovani guerrieri, hanno portato la lancia dalla lama lunga che può essere usata come una spada e la zucca per l’acqua, i vecchi ricordano quando il gioco era più pericoloso. Chi vince, porta a casa un toro da monta, una ricchezza. I masai sono allevatori e sono nomadi.

Guardo e mi ritrovo da quelle parti, seduto sul trolley mentre il villaggio al confine tra Kenya e Tanzania si sta risvegliando: primi fuochi, primi rumori. Da Nairobi in piena notte, incontrando solo qualche struzzo, qualche impala. Ogni tanto, uno scossone: il passaggio dall’asfalto alla terra battuta e poi di nuovo all’asfalto della strada che porta ad Arusha e poi a Dar es Salaam. “Aspetta qui”, dice l’autista dopo avermi scaricato e subito iniziato il viaggio d ritorno verso Nairobi. Aspetto.

Il van Isuzu arriva dopo mezz’ora: un autista, una guida, una famiglia di olandesi che vengono da Tsavo e mi raccontano subito, eccitati, che hanno visto i leopardi. Una delle figlie è molto bella. Bevono il tè. Per me la punta di un cucchiaino di Nescafé rimediata, dopo lunghi raschiamenti, dall’indiano padrone della locanda, cerimonioso come gli indiani da barzelletta.

La strada è di argilla rossa che spesso scompare: il fondo diventa di roccia dura, levigata, accarezzata da un’acqua che non c’è, il fondo di un fiume asciutto. Colline appena accennate, ognuna con un’acacia a ombrello. Qui, seguendo tracce che iniziano in Etiopia e si spingono sino in Sudafrica, i primi uomini hanno camminato e così questo è l’Eden. Silenzioso, pieno di rovi, verde quando una vena d’acqua riesce a farsi largo.

La tribù appare all’improvviso. “Masai”, dice la guida. Le capanne, smontate, sono state caricate sui somari. “Si stanno spostando dove c’è più acqua”. Vecchie, donne, bambini, capre, qualche mucca con le costole in vista e i giovani guerrieri con le treccine striate di argilla che danno un’occhiata a quel traballante mezzo che sta rompendo il silenzio. La polvere dissolve loro, dissolve noi.

 

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