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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / Nostalgija per un mondo perduto

Martedì 21 Settembre 2021

        
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A soli 58 anni se ne è andata anche Margarita Ponomaryova, misteriosa kazata che senza minimamente intaccarla aveva portato con fierezza la sua bellezza sugli ostacoli della pista e dell’esistenza.

Giorgio Cimbrico

Ricordo quando apparve: alta, sottile, dentro un cappotto di pelle ruvida da cui sbucavano ciuffi di pelliccia, stivali morbidi, una versione moderna dei comodi valenki, gli occhi allungati, enigmatici, gli zigomi alti: Margarita Ponomaryova, uscita dalle tavole di Hugo Pratt e di uno dei suoi capolavori, Corte Sconta detta Arcana, poteva essere un’avventuriera salita sul Treno dell’Oro che correva sui binari della Transiberiana, l’amante di uno di signori della guerra che si aggiravano sugli incerti confini tra Manciuria, Cina, Mongolia e Russia nel 1919, una rivoluzionaria infiltrata nell’esercito bianco e nelle sue stralunate milizie: la divisione di cavalleria asiatica della Transbajkalia era una delle più tristemente famose.

E così, quando ho saputo che è morta, a 58 anni, ho avuto un attacco di nostalgija, con la j lunga, per quel mondo perduto. Già ero stato colpito, quasi affondato, dalla morte di Yuri Sedykh, e ora anche lei, Margarita, kazaka di Balkash, che non ha lasciato le tracce delle martellate di Yuri, russo del placido Don: la prima irruzione sotto i 54”0 (capitò a Kiev, nell’84, e Margarita si lasciò alle spalle Marina Styepanova, destinata a varcare un’altra barriera, quella dei 53”0), un terzo posto ai Mondiali del ‘93, nella sera gloriosa di Sally Gunnell, ed è tutto.

Margarita era uno dei volti dell’atlante etnografico dell’URSS. Per sfogliarlo bastava leggere i nomi, scrutare le fisionomie, valutare altezza e peso di una squadra d’atletica: lanciatori e decathleti baltici e, sparsi nelle altre distanze e specialità; uzbeki, tajikii, kirghisi, tatari, buriati kazaki con i nomi russificati, uso che non era stato applicato – o imposto – ad armeni e georgiani: ucraini che finivano spesso in “enko”; russi e bielorussi di pianura, dal viso largo; gente ispida degli Urali: altri caucasici che provenivano da piccoli, turbolenti territori. Dalla Finlandia alla Cina, al Mar del Giappone: renne, cammelli, tigri, foche d’acqua dolce.

I nonni di tutti costoro erano stati ortodossi, luterani, ebrei, musulmani o appartenevano a qualche strana setta, Quella dei “vecchi credenti” era la più nota, la più diffusa. E poi c’erano i “prodotti” delle loro vicende personali, famigliari: Brumel ad esempio, nome baltico, nato in piena Siberia, cresciuto in Ucraina. Poteva capitare che una famiglia decidesse di estirparsi, andare in un altrove che erano le Terre Vergini. Per chi diventava pioniere o partecipava alla costruzione delle grandi centrali elettriche lo stipendio era molto maggiorato.

So già che qualcuno sta scalpitando: dei gulag non parli? Rinvio ai libri chetutti conoscete o avete letto, penso. Aggiungo “Vita e Destino” di Vasili Grossman: anche durante la Grande Guerra Patriottica (per loro, la Seconda Guerra Mondiale) non c’erano soltanto fratellanza, allegria, coraggio, abnegazione per salvar la Rodina, la Patria. Delazioni, sospetti, una vita su un filo che poteva strapparsi da un momento all’altro.

C’è un particolare, però: quegli enormi cavalli di Frisia di cemento che hanno alzato come monumento tra l’aeroporto e Mosca: ottant’anni fa i tedeschi arrivarono sin lì. E’ facile leggere nei libri di storia. “Nei binocoli i tedeschi vedevano le torri del Kremlino”. Vederle di persona è diverso.

Torniamo a parlare di atletica. Negli anni Ottanta il CT era Igor Ter Ovanesian, armeno, due volte primatista del mondo. L’ho conosciuto, avevamo un buon rapporto ed era molto simpatico: assomigliava a Walter Matthau, figlio di un ebreo russo e di un’ebrea lituana. Igor una volta mi raccontò che mentre erano a Tsakhkadzor ad allenarsi, notò che Robert Emmian saltava molto lungo e allora organizzò in fretta e furia una garetta e il suo giovane ed elastico paesano prese terra a 8.86. Tsakhkadzor è a 1800 metri di quota: meno di vent’anni prima e trecento metri più in basso, a Leninakan nel frattempo ridiventata Gyumri, con un nullo (misurato) Igor aveva toccato 8.67. Fosse stato buono, quel che combinò un paio di mesi dopo Bob Beamon non sarebbe stato così clamoroso.

La nostalgija non colpisce soltanto me. La novità della Champions League di quest’anno è lo Sheriff. Di dov’è? Moldavo. Ma dove della Moldavia? Tiraspol, Transnistria, repubblica indipendente non riconosciuta. Bandiera, rossa con strisciona verde al centro e falce e martello; stemma, fasci di grano e falce e martello (quello che si vedeva sulle vecchie maglie CCCP); canti usati dai tifosi: l’inno sovietico e la marcia dell’Armata Rossa. Più nostalgici di così.

 

 

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