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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Quando si sfondano i cancelli del cielo (1)

Giovedì 19 Agosto 2021

 

sacramento-100 2 


A spasso nel tempo per rivivere le grandi gare della storia: quelle che hanno spostato in avanti i confini tremolanti del gioco, per entità tecnica e per profondità del risultato complessivo. Per chi non c’era ancora e per chi c’era e amerebbe ricordare. (Prima parte).

Giorgio Cimbrico

Provare a tracciare delle coordinate per inoltrarsi in un compito ambizioso: scoprire la gara/le gare che ci hanno coinvolto e sconvolto, che hanno lasciato tracce indelebili e che possano rispondere ad alcuni requisiti: un picco fuori dal normale per il vincitore, una profondità nel risultato complessivo, un sovvertimento portato su quegli elenchi fondamentali che sono le graduatorie di tutti i tempi, tutto questo senza tralasciare il colore e il calore dei raggi della bellezza assoluta. Lo spunto, naturalmente, è la finale dei 400H di Tokyo che può assumere le sembianze della grande onda dipinta da Hokusai.

Riassumendo, la gara ha proposto sei uomini sotto i 48”, tre sotto i 47”, uno sotto i 46” (può sembrare folle ma è davvero così), ha prodotto la prima, la seconda, la quarta, la quindicesima e la ventesima prestazione di sempre, ha riscritto le posizioni di vertice: Karsten Warholm primo in 45”94, Rai Benjamin secondo in 46”17, Alison dos Santos terzo in 46”72, Kyron McMaster ottavo in 47”08 con progressi di 76 centesimi (Warholm), 66 (Benjamin), 59 (dos Santos), 42 (McMaster). Solo il qatariota di nascita mauritana Abderrhammane Samba, terzo a varcare i cancelli dei sub 47”, non ha approfittato per migliorarsi: quinto in 47”12.

Non resta che provare un’esplorazione, individuando qualche precedente. E invitando chi legge a personali riflessioni, emendamenti, aggiunte.  

• I 100 di Sacramento ‘68

Sacramento, capitale della California, ospita i Campionati dell’AAU e il 20 giugno è il giorno dei 100, ancorati, dal 1960, al 10”0 o Dieci Netti del tedesco Armin Hary, uguagliato, in un parabola di otto anni, dal canadese Harry Jerome (statua in bronzo nello Stanley Park di Vancouver), dal venezuelano Horacio Esteves, da Bob Hayes di Jacksonville, Florida (ma il 15 ottobre 1964, a Tokyo, tre cronometri manuali dissero 9”8, 9”9, 9”9), da Jim Hines di Dumas, Arkansas,, dal cubano Enrique Figuerola, dal sudafricano Paul Nash e da Oliver Ford, nativo della Louisiana.

Prima batteria, verso le 18,30: Jim Hines corre in 9”8 ed è la prima volta che un essere umano percorre 100 metri in così breve tempo. Ronnie Ray Smith e Kirk Clayton finiscono alle spalle della Freccia dell’Arkansas in 10”0. Vento a favore: 2,8. Con brezza assai più sensibile, 4,7, Bob Hayes aveva chiuso in 9”9 cinque anni prima a Walnut.

Quarta batteria, ore 19,20: Charlie Greene e Roger Bambuck eguagliano il record del mondo in 10”0. Il vento è un cm dentro la norma. Bambuck, più tardi Ministro dello Sport, aveva ottenuto il permesso di gareggiare negli USA malgrado la contemporaneità del sentito match tra Francia e Germania Federale.

Prima semifinale, alle 21,15: Jim Hines e Ronnie Ray Smith diventano i primi velocisti a varcare i cancelli dei 10”0: 9”9 con vento +0,8. I cronometri dicono 9”8, 9”9 e 10”0 per Hines; 9”9, tutti e tre, per Smith. Alle loro spalle, il capitano Melvin Pender 10”0, Larry Questad 10”0, Kirk Clayton 10”0, Ernest Provost 10”0, molto dubbio. Rilevamenti elettrici non ufficiali assegnarono 10”03 a Hines, 10”14 a Smith. Il tempo di Hines è riportato nella cronologia del record del mondo, ma in chiaro, non nel neretto che ne attesta l’ufficialità.

Seconda semifinale, alle 21,20: Charlie Greene diventa il terzo uomo: 9”9 (10”10) con +0,88, davanti al giamaicano Lennox Miller, 10”0 (famoso per correre con la maglietta “della salute” e più tardi per aver partecipato alla venuta al mondo di Inger) e a Bambuck, 10”0 che questa volta eguaglia… solo il record d’Europa.

Finale, attorno alle 23: il vento torna a soffiare oltre i 2 metri e soprattutto gli uomini non sono macchine: vince Greene in 10”0 su Hines, 10”0. Una muta formata da Miller, Bambuck, Smith e Pender finisce nell’ordine in 10”1. E’ l’ottava e ultima vittoria di Greene su Hines in una serie di 13 scontri. Per il primo tempo elettronico sotto i 10”0 sarebbe stato necessario aspettare sino alla finale olimpica del 14 ottobre: Hines 9”95, a 2248 slm, con 0,3 di vento a favore. (Foto dalla copertina di Atletica, Luglio 1968).

• I 400, tra Echo Summit e Città del Messico

Che il “quarto” si stesse accorciando si era capito ai Trials di Echo Summit, Sierra Nevada, Californi, pista in tartan a 2249 metri sul livello del mare, uno più di Città del Messico: a un mese dai Giochi la simulazione doveva essere perfetta. E così Lee Evans 44”0 – mezzo secondo meno dell’unica irruzione sul giro di Tommie Smith –, Larry James 44”1, Ron Freeman 44”5, Vince Matthews 44”8. Il nuovo recordman non era Lee, 44”06 ufficioso, ma Larry, 44”19. Lee calzava le Brush Spikes, le bandite scarpe-spazzola a 44 chiodini che due settimane prima delle selezioni erano costate il record anche a un Matthews da 44”4.

Il 18 ottobre, poco dopo il lungo volo di Bob Beamon, altri cancelli vennero spalancati. “E così alla fine decisi di andare e corsi sino in fondo – raccontava Evans che, ferito dall’espulsione di Tommie Smith e di John Caarlos, era finito nella tempesta del dubbio: correre? rinunciare? “Corsi e corsi 401 metri perché sapevo che Larry sarebbe stato pericoloso. Solo che lui corse 395 metri”.

E’ la buona sintesi di un testa a testa tra due campioni che hanno intrapreso il viaggio da cui nessuno ha più fatto ritorno e che portò a una doppia discesa sotto i 44”0 – 43”8 a 43”9 – nel tempo in cui un secondo in più rappresentava la qualità assoluta. Nel 1974 la IAAF inaugurò la cronologia dei record con cronometraggio elettronico: il 43”8 di Lee diventò 43”86 e il 43”9 di Larry si trasformò in 43”97. In 44”41 Ron Freeman diventò il terzo di sempre. A Tokyo, oggi, Lee e Larry appena alle spalle di Steven Gardiner.

• Il triplo di Messico ‘68

Per rifarci alla poetica di Aristotele, I concorsi – o Field events – non hanno la stessa unità di tempo delle corse proponendo una dilatazione di questo canone. E così la pedana del triplo diventa il palcoscenico per due lunghi atti, per una sacra rappresentazione, per un dramma. Con un proemio, uno svolgimento, uno scioglimento, tre prim’attori, colpi di scena meglio che in Amleto, in Medea o in una ricerca del Vello d’Oro. Se nell’antica Grecia si andava avanti sin quando c’era luce, qui la durata stacca, rimbalza e atterra in un parentesi lunga dei due giorni.

Mattina del 16 ottobre, qualificazioni: Beppe Gentile, siciliano di Castelvetrano in cui Gianni Brera riconobbe nobiltà e linea di sangue berbero, rimbalza a 17.10 nello stupore generale, non nel suo. Sino a quel momento la storia della specialità (celtica e non greca) era stata scandita da un acuto oltre la linea di demarcazione: 17.03, datato ’60, del polacco Jozef Schmidt che veniva da Miekowice, Miechowitz, Alta Slesia, dove era nato in una famiglia di radice tedesca, e aveva il naso adatto per fender l’aria. Appena prima dei Giochi era arrivato, come uno sparo nel buio, il 17.00 del finlandese Pertti Pousi. I diciassette metri erano una dimensione incerta, un continente appena sfiorato.

Gentile aveva aperto con un nullo che aveva acceso la preoccupazione di Peppino Russo. Il senegalese Mansour Dia, l’americano Art Walker, l’australiano Phil May e il sovietico di Georgia Viktor Saneyev avevano subito staccato il biglietto e le misure dell’africano, dell’americano e dello sconosciuto aussie, 16.58, 16.49, 16.32, assestarono allo scenario le prime scosse. Il 16.22 di Saneyev venne accolto per quel che era, un tranquillo salto di qualificazione. Alle 11,10 Gentile toccò 17.10, senza un centimetro di vento a favore. Schmidt, incerottato, riuscì a entrare tra i 13 con 16.15. Di Pousi si persero le tracce: diciottesimo con 15.84. Aveva digerito l’altura più o meno come Ron Clarke. Gentile aveva portato il record italiano a 16.74 il mese prima a Wroclaw, in un fine settimana formidabile, scandito da un’escursione nel lungo che gli fruttò il 7.91 che migliorava, dopo 32 anni, il record berlinese di Arturo Maffei.

La rappresentazione finale comincia poco dopo le tre del pomeriggio: apre il sipario Gentile: 17.22, ancora record del mondo. Le condizioni mutano, il vento comincia a soffiare e qualcuno è lesto ad approfittarne, così come di quella superficie elastica che regala la sensazione di poter rimbalzare lontano. Il primo a farsi pericoloso è Nelson Prudencio, dagli arti sottili come zampe di ragno: 17.05. In quel momento è il secondo di sempre, davanti a Schmidt, dietro solo a Peppe. Terzo turno: Viktor Saneyev, nativo di Sukhumi sul Mar Nero, oggi nella virtuale Repubblica di Abkhazia, ufficialmente agronomo, sfrutta un vento propizio, due metri spaccati a favore: 17.23. Gentile cerca concentrazione ma infila il terzo nullo consecutivo. Due record del mondo e la medaglia d’argento per un miserrimo centimetro. Non andrà così.

Al quarto turno il “canguro” May sale incredulo a 17.02, trasformandosi nel quinto di sempre. Le scosse sono continue: Nikolai Dudkin 17.09 e poi da Prudencio 17.27. E’ il terzo record mondiale. Adhemar ha trovato un erede e il Brasile è vicino al terzo oro olimpico. Prima di salire lassù, aveva 16.30. Persino il malandato Schmidt si avvicina ai suoi massimi: 16.89, settimo.

Lo scioglimento è affidato al salto conclusivo: Art Walker porta l’ultima minaccia a Gentile e atterra a 17.12. Il vento è molo sensibile ma formalmente sul confine della legalità quando Saneyev allunga a 17.39. E’ il quinto record del mondo, il picco di due ore che forniscono dieci salti oltre i 17 metri contro i due di tutta la storia precedente. Ed è la delusione che Gentile dissimula con un sorriso patrizio: un bronzo unico nella storia dei Giochi, dopo due record del mondo! Per Saneyev, dal volto deciso e sfrontato, è l’inizio di una lunga stagione irresistibile che lo porterà a sfiorare lo “Oerter Grande Slam”.

[1. - continua]

 

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