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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Non sono preoccupato

Giovedì 22 Luglio 2021

 

tv


“L’Olimpiade del silenzio, calda solo perché a Tokyo c’è un clima di merda, non fa per chi si è trovato in mezzo a carnevali che sembravano dipinti da Bosch o a mosaici in movimento”.

Giorgio Cimbrico

Proprio no. Vedrò le Olimpiadi, non le vedrò? Non lo so, può darsi, non è detto. Se ho dei soldi in eccesso, li spendo in libri, e nei periodi di relativa abbondanza, in litografie. Quando con lo sguardo accarezzo quella di Henry Moore, ritrovo momenti di serenità. Voglio dire che io i miei soldi in apparecchiature varie, in supertelevisori da collegare al computer (codici d’accesso, parole d’ordine che di solito uno dimentica), non li spendo.

E se quest’autunno i miei modesti e vecchi apparati non funzioneranno più, mi dedicherò al teatrino delle ombre cinesi, ai pupi, a dare ordine alla mia biblioteca che non sarà quella di Babele ma ha preso ormai dimensioni ragguardevoli e non sempre in quell’ordine in cui vorrei lasciarla quando andrò in lontane praterie.

Per le Olimpiadi fido nella RAI: se per le 200 ore concesse da Discovery hanno mobilitato una task force di 250 elementi, stanno pensando di fare le cose sul serio. Absit ironia verbis?

Devo dire che sono uno che si accontenta di poco: nella prima parte, il nuoto e qualche varia et eventuale. Alzo le antenne per la seconda, quando arriva l’atletica e, come diciamo noi, vecchi clerici vagantes, l’Olimpiade comincia davvero.

Avrei diversi aneddoti, diversi ricordi. Il più bello risale al 2000, a Sydney: il giorno delle prime gare, seguendo i consigli del Sydney Herald, mi calai nei panni di uno spettatore qualunque alzandomi alle 5 e finendo nella turba, stile incisioni di Dorè (in questo caso per il Paradiso, non per l’Inferno), diretta verso la stazione centrale. Tutti i binari erano occupati da treni con una sola destinazione: Auburn, il Parco Olimpico. Si formò un lunghissimo “vermone” che, con appropriata lentezza, portò la turba a destinazione. Così come, la sera, la riportò indietro.

Tanti ricordano i 112.524 della serata di Cathy Freeman e della furibonda volata tra Tergat e Gebre e spesso la ricordo anch’io. Ma hic et nunc ricordo quella mattina: batterie dei 100, qualificazioni del peso e 105.000 spettatori. E’ uno dei motivi per cui non sono preoccupato. L’Olimpiade del silenzio, calda solo perché a Tokyo c’è un clima di merda, non fa per chi si è trovato in mezzo a carnevali che sembravano dipinti da Bosch o a mosaici in movimento o spettatore di momenti di pura epica: a Barcellona conobbi la Fura dels Baus, creatrice del quadro centrale della cerimonia d’apertura, e ne venni conquistato.

Torno al nuovo tipo di comunicazione e lo confronto con quello vecchio, quando il mondo era semplice, i campioni gareggiavano poco e vederli era bellissimo perché in quei momenti davano il meglio. Erano creativi. Oggi il mondo, compreso quello dello sport, non possiede più creatività. Troppe cose, poco distinguibili. Una volta un vecchio e caro collega, Luciano Ravagnani, ha detto: “Quando hai 50.000 informazioni, non ne hai nessuna”. Mi ha indicato la via, come Budda.

Nell’estate del ‘60 – a giugno avevo finito la terza elementare – i miei fecero i conti e decisero che si poteva comprare il televisore. Era di media grandezza, non ricordo i pollici, era grigio e mi pare fosse Philco. Avevamo una grossa sala d’ingresso e lo mettemmo in un angolo. Io e mia madre guardavamo le gare, tutto il giorno; mio padre, che arrivava sempre zufolando, la sera. Quando c’era la boxe, era contento: prima che, nel giugno del ’40, lo chiamassero sotto le armi, aveva combattuto da peso medio. Non ha mai detto a mia madre: “C’è la boxe, porta via il bambino” e a volte mi parlava di La Motta e di Basilio, che era il suo preferito. Quando la televisione non l’avevamo ancora e c’era un match importante, mi portava giù al bar: lui beveva un caffè, io una gazzosa.

Finisce che a scrivere queste cose mi commuovo: è passato un abisso di tempo ma ricordo parecchio, anche i particolari. Di quel che mi capita intorno, ho sempre meno coscienza. Non sono preoccupato.

 

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