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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / Dal campo alla storia, in nome della doppia W

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Sabato 10 Luglio 2021

 

berrettini 


“Vincere qui, sotto l’arco di Wembley, arcobaleno cromato, o sul Centrale dall’erba ormai stepposa, è una festa mobile, è un racconto da tramandare a figli e proporre ai nipoti”. [articolo uscito oggi sulla pagina dei commenti del Secolo XIX]

Giorgio Cimbrico

Nel segno intrecciato di una doppia W – Wembley e Wimbledon – la Londra italiana è in attesa di inusitati miracoli: battere i Leoni in quello che fu l’Empire Stadium e uscire dai sacri cancelli di Church Road con il titolo dei Championships. Un sogno da accostare al viaggio di Astolfo sulla luna? Mica vero. Francesco Molinari fa scuola: quando mise le mani su un torneo dello Slam, era l’Open che non ha neppure bisogno di essere etichettato con l‘aggettivo “british”, quello che viene premiato con una piccola brocca neoclassica. Fatti, non miracoli.

Inghilterra e Italia, una giornata particolare, una domenica benedetta, domenica da vivere sui binari dell’emozione e della metro: da Wimbledon a Wembley, con un cambio di colore della linea, la verde e poi la argentea linea giubilare, inaugurata per il 25° anniversario dell’ascesa al trono di Elisabetta. Ora gli anni sono 69.

Londra mette a disposizione un paio dei templi che punteggiano l’atlante storico della città e dintorni, e freme, sino a vibrare, per un titolo che manca dal 30 luglio 1966, la giornata del gol-non gol di Geoff Hurst, della vittoria dei bianchi leoni che quel giorno erano in rosso. L’Italia assapora il profumo dell’erba di Wimbledon conquistata per la prima volta, in fondo a una serie vincente e a servizi al fulmicotone, da Matthew Smallcaps (fedele traduzione di Matteo Berrettini…) e aspetta di calpestare quella dello stadio che in altro formato riuscì a violare nel ’73, tocco di piatto di Fabio Capello su improvvisa sciabolata di quel buonanima di Giorgio Chinaglia. Ma questa volta in palio c’è qualcosa di più.

Sul campo, fuori dal campo, nella storia e nei labirinti che la storia sa scavare, è possibile stabilire il grado di affetto o di avversione che lega o separa? L’Inghilterra ha sempre amato l’Italia (magari un po’ meno gli italiani …), una certa parte d’Italia, non tutta, ha sempre amato l’Inghilterra. E qui può entrare in scena Genova che presta la bandiera di San Giorgio a una giovane Britannia che non domina ancora le onde e che, di secolo in secolo, accoglie poeti e assorbe costumi, atteggiamenti, modi di produrre.

Il vecchio Romanengo di via Orefici poteva esser collocato nella parte vecchia di Bond Street e certi “scagni”, oggi scomparsi, assomigliavano a quelli attorno agli India e Jamaica Docks: ordini di carico e di scarico per navi di tutto il mondo e fornitori di bordo poliglotti. Il Genoa ha i colori dell’Union jack (loro, gli inglesi, dicono che Dio abbia inventato il maestrale per farla sventolare) e c’è chi sostiene che dopo i primi palloni tondi, anche i primi ovali sbarcarono qui. Molti anni fa, quando non esistevano né Internet né i social media, la Regina venne in visita privata per un tè (e per ammirare i bei Van Dyck) nel palazzo della marchesa Cattaneo-Adorno e i marciapiedi si riempirono di genovesi che applaudivano al passaggio della limousine.

Tutti a Londra a studiare inglese, a comprare dischi da Tower (quell’antro delle meraviglie è scomparso), a praticare il rito di iniziazione al campionato inglese, che non si chiamava ancora Premiership e che con tre sterline permetteva di stare in piedi nelle “terraces” bevendo birra tiepida. C’era lo stupore della gioventù e dell’entusiasmo, una sbornia che a molti non è passata, anche quando Londra ha iniziato la sua mutazione diventando irta di strani grattacieli, proponendo un’irrefrenabile escalation nel costo della vita, dimenticando il suo passato di capitale imperiale per trasformarsi in una moderna Babilonia.

In questa orgia di cambiamenti, lo sport è riuscito a mantenere una fisionomia non assalita sino in fondo delle onde ruggenti dello stravolgimento, del profitto e dei due terremoti che hanno colpito in questi due anni: la Brexit (il Canale si è allargato e il Continente, che compariva in sapide storielle, è più lontano) e la Pandemia che ha colpito alla linea di galleggiamento.

E così questi vecchi luoghi, quei loro nomi suggestivi (Ascot, Epsom, Lord’s, Twickenham) rendono la vorticosa Londra d’oggi non troppo lontana da quella di ieri, e proprio in due di questi monumenti sta per andare in scena la domenica di Londra Italia, di London Italy, di Mancini e Berrettini, di inseguimenti, di ambizioni, di traguardi da tagliare in una città dl fascino non sottile e di storia profonda. “Se sei stufo di Londra, sei stufo della vita”, ha scritto chi la conosce bene e la ama.

Vincere qui, sotto l’arco di Wembley, arcobaleno cromato, o sul Centrale dall’erba ormai stepposa, è una festa mobile, è un racconto da tramandare a figli e proporre ai nipoti. E se si annoiano, pazienza. Chi ha vinto a Londra o ci è andato maledettamente vicino, ha diritto di esser ascoltato.    

 

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