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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Il profilo di Brera / Paola: ed ora vediamola correre!

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Sabato 12 Giugno 2021

 

pigni 


(gfc) Ho incontrato per la prima volta Paola Pigni quando era ancora una giovane velocista della “Giuliano Dalmata” e la corsa più lunga per le ragazze si arrestava al doppio giro. Da allora non ho mai cessato di seguirne la strada e le imprese. Con rispetto ed amicizia. È stata lei, caparbia come pochi altri, in una perenne sfida contro sé stessa, la prima ad avventurarsi con coraggio su spazi inesplorati, aprendo alle donne di tutto il mondo le distanze lunghe in pista e le corse su strada. Una ragazza della frontiera, una grandissima atleta, una splendida persona. Mancherà a tutti noi. Per ricordarla ho preferito riproporre questo articolo che Brera mi consegnò per Atletica, la nuova rivista della cui redazione Pasquale Stassano mi aveva appena incaricato. A quel tempo, Paola aveva poco più di ventidue anni ...

Gianni Brera

Voi non credete, beceri, ma Paola Pigni ha mosso piedi fatati su un’orbita che protervamente ci negava la rampa sdrucciolevole della storia. L’evento è memorabile. Ne sono così convinto che adesso scendo nella hall dell’Hotel Balcan, dove mi trovo esiliato, e prendo a calci due o tre pedatori di quelli grossi … Scrivevo da Sofia, in Bulgaria (pardon). Non avevo la valigia da due giorni, non i toscani già dimezzati, non le pipe pronte per l’uso. Ma il rovello era un altro. Io faccio di mestiere il giornalista-artigiano.


La domenica vado per pedate negli stadi vicini: rientro di corsa in redazione, compulso il taccuino, corroboro la memoria, rivedo opinioni, traccio consuntivi mediante statistica, alla fine scrivo quattro cartelle esatte, valutando le prestazioni dei ventitré uomini in campo (undici più undici, e l’arbitro). Correggo le cartelle e vi appongo le indicazioni della giustezza e del corpo – rispettivamente 14 e nero 6 – mando in tipografia e aspetto che i redattori e il segretario di redazione mi raccolgano elementi cronistici e critici per scrivere l’articolo di prima pagina: nove cartelle esatte di 24 righe di 72 battute l’una.

Quando mi sono giunte le informazioni sulla giornata, per il solito sono le 21: rumino un poco, non molto, poi mi attacco al cartello e via: i tasti rollano, fervidi polpastrelli maltrattano la realtà, la deformano, la illustrano pure (così mi illudo). L’argomento non è mai uno solo, per fortuna: posso scrivere di pedate e di corse di cavalli, di ricchi scemi e di olimpiadi senza negri, di allenamenti ciclistici (in caso di sconfitta) e di propositi per il Giro imminente.

Posso scrivere di tutto, perfino di atletica: se vi sono state gare, se è avvenuto qualcosa che interessi il fedele parrocchiano da catacomba pedatoria che io sono ormai rispetto all’atletica. Ebbene: quattro giorni prima che io mi recassi a Sofia per Bulgaria-Italia di calcio, una ragazzina apparentemente fragile, direi linfatica, del mio paese ave va sgominato le renne sovietiche nel “Cross de l’Humanité”, a Parigi. Il mondo se n’era sinceramente sorpreso (magari fingendo nulla): agenzie di stampa radio e televisione avevano trasmesso notizie ed immagini dell’evento: ma la sera, in redazione, nessuno dei miei solerti compagni aveva ritenuto di dovermene informare.

L’articolo di prima pagina avrebbe avuto un attacco entusiasta: sono riparato in catacomba ma la fede rimane, e quando posso lo dimostro: è un dovere morale, anzi un obbligo gentile, quasi sempre gradito … Niente! Paola Pigni non esisteva per i miei informatori – stipendiati – della domenica. Me ne sono accorto scorrendo un giornale quotidiano, dopo un paio di giorni: la radiofoto era banale: Paola Pigni vi appariva sorridente, ma non troppo, il viso lievemente inclinato per pudore: aveva messo le braccia al collo delle due femminote russe pur mo’ staccate sull’erba umida della banlieue parigina. Le due femminote avevano a loro volta accennato a un sorriso: erano state battute e ne apparivano onestamente sorprese.

Esaminando quel sorriso mi sentii invadere dall’orgoglio, poi dalla rabbia. Queste sensazioni trascrissi nel mio diario, che si intitola “Arcimatto”. Paola Pigni su un’orbita proibita – fino a ieri. Paola Pigni come la vergine Cammilla: di quest’umile Italia fia salute. E subito sconfino nel ditirambo. Scendo e prendo a calcioni i pedatori (oh istinto presago): a uno a uno li abbranco e a bruciapelo domando: “chi è Paola Pigni?” Li vedo sbattere le palpebre, atteggiare le boccucce abatine a stupore distaccato e pravo.

Poi mi coglie un dubbio di antica origine come le mie ricorrenti delusioni di patito. Paola Pigni affannoso cocker con glutei radenti: il codino ribelle: la sorpresa di un ringhio fuggevole. Attenti al carrello, mi dico: e impreca: “Divina puledra – Io canto allora la tua criniera al vento è un lusinghevole flabello per il mio orgoglio di padano pansu (per poco). Abbiate fiducia di questo sanguaccio stinto: non appena lo corrobori la diva proteina, perdio, fiammeggia come neanche immagina chi non distingue un gluteo compresso super pancam da un gluteo vibrante, quale muscolo vero, attivo, alternamente impegnato nell’esercizio del correre secondo stile e veemenza agonistica”.

Detto, scritto e magari anche pensato (capita). La coscienza, per il momento, è placata. Posso ordinarmi uno yogurt, che è l’elisir di lunga vita, secondo i Bulgari. Ho smesso di bere liquori e molto ridotto il vino. L’epinicio verrà, Paola Pigni. Lo sento granire dentro secondo ritmi che detta la speranza. Intanto andiamo a vedere come è questa ragazzina. Corre per il Circolo Giuliano-Dalmata, di cui è mecenate un industriale farmaceutico, Bracco. La allena il prof. Bruno Cacchi, originario di Forlimpopoli. L’orario di allenamento è dalle 18 alle 20. Campo Giuriati, Milano, Città Studi.

Vado. Bruno Cacchi mi aspetta. Ha il naso da pugile, gli occhiali spessi, un sorriso buono, la voce tipica dell’insegnante. Bisogna conoscerla questa voce: magari essere cresciuto sentendola fin da piccolo, non solo a scuola.

E questa è la Paola Pigni, nata a Milano il 30 dicembre 1945, da un soprano di Barcellona a nome Monserrat e da un tenore di Milano a nome Renzo. Un ciuffo di capelli castano rameici, due occhi fin troppo grandi, iridi marrone; un bel nasino che tende a incurvarsi atticamente (ma poco); due labbra tumide sopra denti bianchi da roditore. È in tuta, ma senza parere, la squadro: meno male, carrello alto. Non vedo le gambe, le indovino. Somiglia a una mia nipote, e questo mi intenerisce. Mi ricordo del leprotto di Disney che arrossisce di piacere sotto la carezza di Biancaneve. I due incisivi superiori sono quelli.

Vediamola correre, ora. Giri e giri in scioltezza: il piede sinistro scappa all’infuori (valgismo, dice Cacchi). Tre, quattro volte i cento metri a balzi per tonificare la spinta e perfezionare le aderenze. Si indovina la velocista che era. I balzi sono energici ma tagliando il passo non indugia abbastanza con il ginocchio sospeso e batte sgradevolmente il piede. Cacchi la richiama. Lei fa una smorfia. Cacchi la rimprovera. Lei chiede scusa.

E adesso duecento metri. Parte dondolandosi, all’impiedi, come fanno i mezzofondisti che rifuggono dall’all four. Progressivo perentorio. Il piede sinistro scappa un po’ meno all’infuori. Le braccia, al contrario un disastro. Spalle legnose, e sfido: gomiti all’infuori. “Prima, dice Cacchi, pareva che stringesse addirittura il manubrio d’una bicicletta”.

Annoto e, d’improvviso, mi appare il viso stravolto di Zatopek impegnato allo stremo: le sue gambe possenti e armoniosamente impiegate: le braccia folli, contratte, agitate da pugile che tenti il cross destro per finta e prepari l’uno-due arretrando fin troppo il sinistro. Postulato numero uno (in reazione allo stilomane Comstock): “lo stile migliore è propriamente il modo di adeguare per il meglio la corsa alle proprie convenienze morfologiche e dinamiche”.

Paola Pigni è leggermente affetta da valgismo e frena il piede il più possibile ma non se ne dispera affatto; allarga i gomiti ma proprio questo deve consentirle equilibrio nell’alternare le spinte. L’inclinazione è buona. Al diavolo l’estetica. Lei corre: e ci ha dentro la birra per scendere sotto i 2’0”: che è un modo prudente di dire che può anche avvicinarsi al record del mondo, di poco superiore ai 2’01”.

Il Cross dell’Humanité era sui 2 km. Ai 1200 metri, Paola è andata via in allungo. Le sovietiche si alternavano per fare l’andatura dandosi la voce. Lei si è stancata e ha preso il largo: sentiva applausi e grida stupite: tien, la petite italienne vas y.

“So io quel che ho goduto a trenta metri dal traguardo”, ed insiste “Le prove di scatto sono una nostalgia sbruffona, le corse lunghe si possono costruire; si gode anche intellettualmente a farsi la gara: come ti danno i passaggi, il calcolo è quasi immediato e consente il piacere di decidere: si, le corse lunghe sono una conquista.”

“Ho dovuto prepararla alla fatica secondo le norme del marathon training", dice Cacchi, “corsa lenta e lunga”.

“Fino alla noia” si lagna Paola.

“Adeguamento cardiaco alla resistenza”.

“Fatti anche venti chilometri una mattina”.

“Un test necessario”.

“Una noia, dico”.

“Adeguato l’organismo alla fatica, poi bisogna adeguarlo al ritmo. Lo scorso anno a Formia, Paola ha corso i 5000 in 17’45”. I tecnici ne erano stupiti e allarmati; dopo 2’, cuore perfettamente a posto, ritmo normale. Sabato 13 aprile, i 5000 sono stati coperti in 17’15”; e ieri 16 aprile, i 2000 in 6’06”.

“Perbacco!” Esclamo.

E Cacchi: “Sui 2000, il lavoro aerobico è almeno del 65%, lo anaerobico del 35. Sugli 800, tutto il lavoro o quasi tutto è anaerobico; deve dunque allenarsi a contrarre debiti di ossigeno senza avvelenarsi anzitempo. Deve acquisire il ritmo.”

Paola sbatte le palpebre e accenna un sorriso disinvolto: “Correrò anche i 400, dei quali ho un brutto ricordo. In batteria, alla preolimpica del Messico, trecento metri da primato mondiale (nessuno mi dava i passaggi); poi rotoloni pietosi. Venti minuti di svenimento.

“L’haltura” dico io. “No, ritmo sbagliato, suicida”. “Come si trovava al Messico?”. “Bene”. “Non le fa niente l’haltura?”. “Mi da solo fastidio il nome, haltura. Come dire moroso. “Dica fidanzato, allora.” “Ce l’ha?”. “Ma no. In ogni caso non è … ma lasciano andare”. “Allora ce l’ha?”. Paola non risponde. Mi sento giornalista da rotocalco e provo quasi ribrezzo di me stesso: giornalista mondana, dico.

Chiedendo scuso, tento un diversivo: “Come le è venuta l’idea di correre?”.

“Andavo al Liceo Tedesco e per giunta studiavo il piano. Una barba. Allora sono scappata all’Arena e mi hanno subito provato sui 100”. “Ricorda il tempo, il piazzamento?”. “Non ricordo” si ribella Paola. È chiaro che mente. In questi casi, o si vuol evitare di passare da fenomeni (prima corsa, prima vittoria) o si preferisce dimenticare una magra. Glielo dico, quasi a provocarla. Paola argomenta come chi ha imparato da tempo a guardarsi da fuori, senza paraocchi né lenti deformanti.

“Sogna mai di correre?”. “Mai – risponde secca – sogno l’amore, che è una conquista (e dàlli), non la corsa, che è un obbligo, anzi un’evasione che mi posso prendere quando ne ho voglia”.

Astuta, vigile, anche nell’essere bizantina. “Volevo sapere se qualche volta si vede sul podio olimpico, in sogno”. “Debbo dire che non mi è mai capitato. Eppure riesco a sognare perfino a puntate. Da studentessa mi ripetevo in sogno le lezioni studiate a memoria: poesie, formule algebriche. È un trucco abbastanza agevole, sebbene singolare, non trova?”.

Come no!?, trovo; e me ne compiaccio. Anche il suo allenatore ne è compiaciuto: direi addirittura estasiato. Ogni poco tenta un’obbiezione; sembra la protesta di un innamorato timido. Paola è sicura di sé fino a negare pronostici. Corre, corre, corre. “Che disgrazia – dice – se fossi già perfetta stilisticamente: non mi rimarrebbe altro da fare che vincere. Invece, così, lavoro a migliorarmi. Mi realizzo come atleta e come brava impiegata: traduco dal tedesco e dall’inglese. Mi piace”.

“Pensa di metter su famiglia e avere bambini?”.

“Mia madre era l’ultima di dieci fratelli. Io vorrei avere due o tre figli al massimo. Mi piacciono i bambini. Davo lezioni di lingue straniere prima di impiegarmi. Sono portata all’insegnamento: è come plasmare, creare: un trasfert pieno di fascino. Al punto che, quando avrò smesso di gareggiare, vorrò avere allieve nella corsa: allenerò e costruirò atlete. A meno che non abbia i bambini: perché allora avrei altro da fare”.

La voce di Paola è sicura ma dolce, per nulla affettata. La saluto contento di averla vista correre e di aver cenato con lei: “Sarà una brava moglie – mi dico – ma prima di metter su famiglia andrà a medaglie olimpiche. Garantito che andrà a medaglie”.

 
Articolo tratto da Atletica, Maggio 1968.

 

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