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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Fatti&Misfatti / Sotto il segno del capricorno

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Lunedì 31 Maggio 2021

 

basket-barcelona 


Dopo il terzo posto in Eurolega, ora Milano spera nello scudetto da aggiungere a Supercoppa e Coppa Italia, anche perché la storia recente dice che negli anni dispari il titolo va a casa Armani.

Oscar Eleni

A spasso nel deserto di Sonora per chiedere al crotalo impertinente e alla tartaruga invidiosa se anche loro hanno visto nuvole su Marte e gente che davvero pensa allo sport senza ragionare come chi toglie i freni e fa crollare una funivia, un ponte, una casa, una strada, un palazzo per fare più soldi, per chi dice di pensare alla gente e non vede l’ora di licenziarla confondendo troppe volte destra e sinistra legate al centro come gli amanti scoperti nel parco reale dai fanciulli in fiore.

In queste giornate fare del moralismo su chi farebbe di tutto pur di guadagnare un dollaro in più aumenterebbe l’esercito degli eremiti a Little Finland che non sta al Nord, ma è una cattedrale di arenaria rossa nel deserto del Nevada. Perché stupirsi che Donnarumma, diciamo il suo agente, se ne sbatta della fedeltà ad una maglia, del debito di riconoscenza? Alzi un piede chi vorrebbe che i giapponesi, Tokyo e il CIO, facessero come l’Argentina che ha rinunciato alla Coppa America di calcio per il nuovo assalto del Covid? Pochi, magari i cittadini giapponesi, ma non certo chi ha investito tanto, a Tokyo, ma anche al Comitato Olimpico Internazionale.

Stiamo allegri, più o meno come l’acciughino tornato a guidare la Juventus, come gli allenatori che nel loro valzer di panchine creano orgasmi nelle comunità, nei giornali. Così saremo più sereni condividendo soltanto a metà l’entusiasmo per il secondo posto dell’Italia di atletica nella Coppa Europa. Meglio del vuoto intorno alle piste, ma non esageriamo, diciamo che la squadra azzurra di La Torre è andata oltre i suoi limiti europei. Viva, viva il direttor, anche se chi governa lo ha spinto a ricordare che ai tempi del sindacalismo li avrebbe presi tutti a calci e non sopportati e supportati.

Oltre i limiti è andata anche l’Armani che a Colonia ha vissuto bene la sua finale a quattro nell’Eurolega del basket che in Renania ha visto il passaggio di consegne, con crudeltà impreviste, fra Eurosport, confuso dal matrimonio con Discovery, e Sky che dall’anno prossimo ci proporrà i suoi “super competenti” dovendo ammettere che la NBA sarà pure il loro pane quotidiano dell’iperbole, ma certo questa Eurolega nata meglio di quella abortita dal calcio in queste settimane, è il massimo che può offrire il basket e per questo va coccolata, anche se non tutto è perfetto, dagli arbitri a certi giocatori.

Intanto, ringraziando Eurosport per tutto il basket che ha regalato a pochi euro, dobbiamo ammettere che in questo caso a Colonia ha vinto l’Efes, hanno trionfato Ataman e Micic, nati sotto il segno del capricorno in gennaio, ma ha vinto, per una volta, anche la giustizia. Eh sì, la squadra turca guidata da Ergin il Maturo, dall’Ataman che portò a Siena una coppa Saporta, che la Fortitudo, non ci stupisce, fece fuori dopo 16 partite, nell’anno in cui prima lapidarono Frates e poi l’uomo di Istanbul, chiudendo con Oldoini, questo squadrone nato da una birra, il nobile Sport Kolubbu di Istanbul che duella col Fenerbaçhe, forse meritava la coppa già l’anno scorso quando tutto fu sospeso per il Covid.

Dal 2019 è sempre al vertice. Due anni fa perse la finale col CSKA mandato dietro alla lavagna fra i vetri scintillanti del palazzo di Colonia. Oggi è regina, come lo fu il Fener di Obradovic, guidata da un geniale turco che ha studiato in Italia, un viaggiatore viaggiante che ha vinto titoli con 4 squadre diverse a casa sua, uno che in estate avrebbe anche voluto subentrare, con i suoi soci, nella proprietà del basket a Torino. Forse gli è andata bene. Qui non si sa mai come organizzare una società, come lavorare per il bene comune. Lega e Federazione si fingono sorelle, ma la prima non ha certo ragionato serena tenendo il cappio della retrocessione e quello dei play off nello schema originario, sempre a porte chiuse, anche se andando contro i propri interessi, panchina lunga per sopportare turni ravvicinati, Milano aveva proposto i quarti al meglio delle 3 partite, tenendo semifinali a 5 a finale a 7. In Spagna lo hanno fatto, addirittura riducendo a tre ogni serie.

La Federazione, poi, si preoccupa soltanto della Nazionale, anche se davvero ci ha sbalordito il numero di convocati per il primo raduno che arrivano dalle esperienze statunitensi. Forse qui non si lavora più sui vivai, magari c’è confusione nel borgo se si propone per le scelte NBA il Procida, ultimo talento lanciato dalla Cantù retrocessa per il dolore finto degli stessi che in questi giorni piangono l’immensa Carla Fracci messa all’indice, sbertucciata e insultata, con l’indice sul telefonino, qualche mese prima sugli stessi canali che oggi svelano cene segrete, incontri misteriosi e vietati. Ma chi li consiglia questi ragazzi? Possibile che a dirigere davvero la barchetta siano tanti simil Ràiola, anche se il Mino vero è uno soltanto? Valla a capire questa palla al cesto che ora torna alle semifinali dei play off riprendendo dai 2-0 che vedono Milano in vantaggio su Venezia, ma con 2 partite da giocare al Taliercio dopo le fatiche all’eurocarnevale di Colonia, la Virtus Bologna con il fattore campo su Brindisi battuta due volte al Pala Pentassuglia.

La Milano che torna a casa dalla Renania ha meritato applausi. Come ha detto Messina è andata oltre i propri limiti e ora deve soltanto augurarsi che gli stessi dei che hanno ridato all’Efes quello che la pandemia aveva tolto non facciano la medesima cosa per il campionato italiano perché allora la Virtus potrebbe dire che l’anno scorso è stata fermata quando era davanti a tutti.

Vedremo, scherzare con i fanti ma lasciare stare i santi protettori. Le quattro semifinaliste ne hanno tutte uno, guai mettersi contro, sarebbe come andare dal dentista convinto di avere una mutua che copre le spese ed uscire sapendo che se vorrai ancora masticare dovrai spendere come per comperare una automobile. Inutile urlare, chiedere ma dove sono finiti tutti versamenti fatti in oltre 50 anni di professione?

Dicevamo di Milano, dell’Armani che ha chiuso al terzo posto come l’ultima Olimpia ad una finale a quattro, quella di D’Antoni che nella finalina sconfisse l’Estudiantes così come questa di Messina ha messo sotto il CSKA Mosca reduce dalla stagione dei tormenti, società solida che ha comunque confermato il suo generale, cosa che da noi stupirebbe la loggia dei tagliateste, quelli che hanno sempre preferito punirne uno sena educare una rosa sfiorita.

Ora Milano vuole essere invitata sempre alle finali, per questo sta già pensando al futuro, ma tenendosi stretti anche quelli che l’hanno portata fino a questo punto. Certo non tutti, ma se in giro dicono che sta provando a riportare in Italia Melli, perduto per incompetenza, che ha messo gli occhi su Candi, magari anche Tonut, ma questo sarebbe irregolare e allora facciamo silenzio, o, almeno, lasciamo che siano i camerieri del palazzo a creare confusione. Lo fanno da molto tempo. Si vede che la cosa piace. Non importa. Diciamo che l’Armani di Colonia è piaciuta come squadra dopo i primi 20 minuti contro il Barcellona che facevano pensare alla mattanza, senza rimbalzi, senza ricambi decenti nei ruoli chiave.

Certo sarebbe stato meglio avere contro il Mirotic e il Gasol in grigio della finale piuttosto che i matamoros del venerdì renano. Sarebbe servito lo Shields del finale contro Mosca e non quello visto col Barca e per due tempi anche col CSKA. Certo che li applaudiamo tutti, anche i borbottanti che andavano in campo per uscire un minuto dopo con quella faccia da vittime che andavano invece prese a calci. Dura la vita degli allenatori. Pensate ad Atman che in semifinale aveva visto il suo genietto Larkin fare cose da licenziamento in tronco dopo le partitacce nei play off di qualificazione. Lo aveva lasciato fuori dal quintetto col Barcellona, lui era nella variante di Luneburg, nel Codice Inverso come i protagonisti dei bellissimi libri di Paolo Maurensig, lo scrittore goriziano che ci ha lasciato, lo zio della psicologa Magda Marconi, ex cestista, la moglie di Riccardo Sales. Alla vigilia disse a tutti: “Sarà lui a farci vincere”. Così è stato anche se non da solo, ma con Micic ed il ragazzo della Tracia, il Sanli pivot della nazionale turca, paese dove hanno soldi, ma non dimenticano, forse, di insegnare, costruire, ai Tanjevic stendono tappeti meravigliosi mentre qui si finge quasi di non sapere cosa hanno fatto.

Dicevamo di Milano e allora un sette più collettivo, anche se sappiamo bene che non tutti hanno fatto il loro meglio. Diciamo che si premia il concetto squadra, la mentalità imposta al gruppo, poi per le confessioni, le penitenze, gli esami di coscienza ci sarà alla fine. Milano spera con lo scudetto da aggiungere a Supercoppa e Coppa Italia, le altre con un titolo strappato a quelli che sono i favoriti dal primo giorno anche perché la storia recente dice che negli anni dispari il titolo va a casa Armani. Scongiuri concessi alle sfidanti che ora sanno, comunque, che anche la portaerei del re non è sempre pronta a far decollare i suoi dirigibili.

A vigilare a proteggere tutti, persino Gandini e Petrucci, ci saranno i grandi che sono nella casa della gloria del nostro basket raggiunti in questi giorni dal giudice Viola, uno che sapeva stare in trincea, ma sapeva difendersi con ironia, stile, lo stesso che gli ha permesso di portare Reggio Calabria ai massimi livelli, di farci conoscere il primo Ginobili, di svezzare il Santo Versace che poi ha anche aiutato la società, dando un porto di quiete. all’irrequieto paron Zorzi che è stato su tanti mari, ma due volte anche su quello.



 

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