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I sentieri di Cimbricus / Braccio d'oro e nozze d'argento

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Mercoledì 26 Maggio 2021

 

zelezny 

 

Era capitato il 25 maggio del lontanissimo 1996 quando un Turingia Jan Zelezny – il più grande fromboliere della storia – fece atterrare il suo attrezzo in alluminio a due passi dai 100 metri, le porte del cielo ancora inviolate.

Giorgio Cimbrico

L’uomo dal braccio d’oro ha festeggiato le nozze d’argento con il suo record del mondo: Jan Zelezny, 98.48 il 25 maggio 1996 a Jena, Turingia, Ernst Abbe Stadium, luogo dove le velociste della DDR andavano forte. È un record che ha superato in durata quello di Bob Beamon, quasi 23 anni, e che è avviato a battere l’8.13 di Jesse Owens, che tenne per 25 anni e due mesi e mezzo. Il 18.29 di Jonathan Edwards sta per arrivare alle 26 stagioni di resistenza.

Zelezny ha donato il giavellotto dell’impresa al Museo dell’Atletica di World Athletics. “Era un vecchio modello in alluminio. Se quello in fibra di carbonio fosse stato in una più avanzata fase di sviluppo, avrei potuto lanciare un metro in più. E qualcosa avrei potuto guadagnare se l’azione fosse stata migliore”. Qualche scoria di rammarico. “I 100 metri potevano essere toccati: pensavo che ce l’avrei fatta di lì a qualche giorno, a Ostrava, ma non centrai l’obiettivo”.

A Jena, Jan arrivò guidando per 350 chilometri, dalla natia Mlada Boleslav. Sentiva di esser pronto all’exploit e così portò con sé la moglie e i due bambini. Il giorno dopo fecero dietrofront e tornarono in Boemia, più ricchi di 10.000 marchi tedeschi, più o meno 5000 euro al cambio d’oggigiorno. Non un granché.

Era il suo quarto record del mondo, il terzo ufficiale: il 94.74 di Oslo ’92, che iniziava la serie, era finito tra parentesi perché quel modello Nemeth venne bandito dalla IAAF per un pezzetto di metallo che dava maggiore stabilità alla “navigazione”.

Nel pubblico c’era il padre di Rohler: Thomas, che aveva quattro anni e mezzo, era rimasto a casa. C’è chi, appassionato di congiunzioni astraili, pensa che quella gran botta nel cielo della sua città abbia portato benefici influssi sul suo futuro.

Spirava una discreta brezza contraria e Zelezny saggiò le condizioni aprendo con 87.76. A seguire, 92.88, il record del mondo (alle 18,30, visibile in un breve filmato su Youtube), 91.44, un nullo e 87.88, per una media sui cinque lanci validi di 91.68. L’incremento sul suo vecchio record, 95.66 tre anni prima a Sheffield (che ritoccava appena il 95.54 di inizio ’93 a Pietersburg, Sudafrica), risultò di quasi tre metri.

Poco più di due mesi dopo, ad Atlanta (dove, a Giochi conclusi, sostenne un provino per la squadra di baseball, i Braves), arrivò il suo secondo titolo olimpico. Ne avrebbe conquistato un terzo a Sydney. Anche in questo caso, un soffio di rammarico: non avesse ceduto per 16 centimetri a Tapio Korjus nell’88, Jan sarebbe il terzo “pokerista” olimpico, al tavolo con Al Oerter e Carl Lewis.

L’appendice statistica è così eloquente da indurre ad eleggerlo il più grande della storia, senza dimenticare una galleria di grandi che gareggiarono in altre condizioni e con altri attrezzi: Matti Jarvinen, Terje Pedersen (che strappò il record a Carlo Lievore), Janis Lusis e Uwe Hohn, che con il 104.80 berlinese dell’estate ‘84 provocò la “riforma”.

Zelezny è padrone di cinque delle dieci migliori prestazioni (limite 93.88), quattro sono di Johannes Vetter, il sassone che con 97.76 del 6 settembre 2020 a Chorzow, ha portato la più seria minaccia, e una di Rohler che, in occasione del 93.90, stava per infilzare un incauto cameraman di Doha.

Se ci si spinge sino alla trentesima (91.56), il bilancio vede ancora in testa Jan con 12, davanti a Vetter 7, Rohler, il finlandese Aki Parviainen e il tedesco Raymond Hecht 2, il kenyano Julius Yego, il russo Sergei Makarov, l’ennesimo tedesco Andreas Hofmann, il greco Konstantinos Gatsioudis e il norvegese Andreas Thorkildsen con una prestazione ciascuno.

 

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