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I sentieri di Cimbricus / L'uomo di El Paso: che sia l'anno dei texani?

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Sabato 15 Maggio 2021

 

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Quel che colpisce e stupisce in Marcell è la calma, la serenità, la capacità di leggersi dentro e di offrirsi senza ritrosie. Dopo il 9”95 savonese si è seduto, ha parlato di sé, offrendo quel che amanti della letteratura possono etichettare come “flusso della coscienza”.

Giorgio Cimbrico

L’uomo di El Paso sa tutto su El Paso e su congiunzioni geografico-astrali. “Mi sono informato: a El Paso, quando non avevo ancora due anni, Obadele Thompson [di Barbados, terzo marito di Marion Jones. NdA] corse in 9”69 con vento forte alle spalle, al momento il più veloce tempo mai registrato, per chiudere poi la carriera con un 9”87 regolare”. Marcell Jacobs viene da una di quelle terre di confine amate da Cormac McCarthy. Ora è attestato su una nuova frontiera: la finale olimpica ha abbandonato la dimensione dell’iperbole e la chance di recitare da protagonista ha preso il sopravvento.

Quel che colpisce e stupisce in Marcell è la calma, la serenità, la capacità di leggersi dentro e di offrirsi senza ritrosie. Dopo il 9.95 savonese si è seduto, ha parlato di sé, offrendo quel che amanti della letteratura possono etichettare come “flusso della coscienza”. Il merito, dice Marcell, è di Nicoletta Romanazzi, mental coach che è meglio chiamare psicologa. E così non resta che ascoltarlo: è raro oggi, in uno sport vuoto, stereotipato, trovarsi di fronte a qualcosa e soprattutto qualcuno del genere.

“Mio padre, ad esempio, Lamont Marcell Jacobs, come me che sono Lamont Marcell Jacobs junior, ex-marine: per me, un’assenza, un vuoto. Quando lui ha provato a mettersi in contatto, l’ho rifiutato. Ora parliamo, lui si interessa di quel che faccio, abbiamo un rapporto. C’è solo un problema: è texano, di Dallas, e i texani hanno un accento terribile. Così gli dico: pa’, parla piano, fatti capire, sto studiando ma ho ancora qualche difficoltà. Mio padre ha 46 anni, non è più sotto le armi, vive in Florida. Dopo di me, non ha avuto altri figli”.

“In Italia sono arrivato quando avevo due anni. A Desenzano mia madre lavorava dal mattino alla sera, così mi lasciava dai nonni. Avevano un grande cortile con una discesa e io correvo come un pazzo, fingevo di essere sulla motoretta da cross che non hanno mai voluto comprarmi. Mio nonno si chiamava Osvaldo, è morto nell’inverno del 2019 e dopo aver passato il traguardo ho pensato a lui”.

“Non ho ancora 27 anni e ho avuto un figlio, Jeremy, quando ne avevo 19. Il rapporto con quella ragazza si è rotto rapidamente. Poi sono venuti Jeremy, che ha due anni e Megan, che ha pochi mesi. Nomi americani …”

“Camossi ha pianto quando ha visto 9”95? Non mi stupisco. Si è commosso anche quando ho vinto il titolo europeo. Non sono stati anni facili: batoste, sacrifici, delusioni, una carriera da lunghista abbandonata. Per me, una vita da traslochi: da El Paso a Desenzano, da Desenzano a Gorizia, per star vicino a Paolo. E poi, due anni fa, insieme da Gorizia a Roma, per dare una svolta finale. Con Tortu c’è grande cordialità, ma l’ho sofferto, non lo nascondo”.

“Gareggiare è importante: serve a capire, correggere, valutare. In inverno, dieci gare, tra 6”60 e 6”47, sino al titolo europeo a Torun. Con un assetto di corsa diverso, molto efficace, bello a vedersi, alla Asafa Powell, dice qualcuno. A Savona non sono stato così bello: una buona partenza, una buona accelerazione: poi mi sono irrigidito. Ero lucido e a quel punto ho puntato gli occhi verso il tabellone: c’era l’8 che stava diventando 9 e ho capito che ero molto vicino”.

“Ogni tanto gioco: se Bromell, 6”48 sui 60, ha corso in 9”88, perché, mi dico, non dovrei arrivare a 9”88? E’ un gioco, davvero, ma mi fa riflettere sulla situazione, sullo scenario. Coleman è squalificato, Bromell è tornato, Simbine non ha un grande stile ma sa correre forte, de Grasse dà il meglio al momento opportuno. Aspettiamo i Trials di giugno per capire meglio la consistenza degli americani”.

“Camossi e io avevamo messo in preventivo la discesa sotto i 10 e anche questa tessera è finita al posto giusto nel mosaico. Ora mi aspetto di andare sotto la barriera altre cinque, sei volte. Sabato 22 sarò a Rieti, su un rettilineo veloce, e a fine mese in Coppa Europa, sulla pista di Chorzow, sperando che il termometro sia più clemente. Alle World Relays quell’8”91 in frazione è arrivato con 7° di temperatura. A seguire, Golden Gala e qualche altro appuntamento in Diamond League sperando di poter affrontare quelli che ritroverò a Tokyo”.

“Cosa spero di fare? Quando uno decide di correre, sogna di vincere le Olimpiadi, di commuoversi, di fare il giro dello stadio con la bandiera addosso”.

“Ho visto in TV Sha’Carri Richardson. Impressionante. È di Dallas, e allora mi sono detto: che questo sia l’anno dei texani?”


 

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