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I sentieri di Cimbricus / Quando si squalifica anche l'inno

Sabato 24 Aprile 2021


lagodeicigni

 

Privati della bandiera e del loro storico inno nazionale, i russi celebreranno a Tokyo le eventuali vittorie rispolverando il solenne concerto per pianoforte di Tchajkovsky.

Giorgio Cimbrico

Un estratto del concerto n. 1 per pianoforte di Piotr Ilic Tchajkovsky – penso l’impetuoso incipit – sarà la musica per i russi (d’oro) che a Tokyo non avranno né la bandiera né il loro inno ufficiale, che è poi quello sovietico con testo cambiato. Quando quella musica solenne, che tutti avevamo imparato a conoscere in centinaia di premiazioni, era stata messa in naftalina dopo il Crollo della Galassia URSS, i russi erano andati a pescare nel loro vasto repertorio scovando “Una vita per lo Zar” di Mikhail Ivanovic Glinka, capostipite della scuola musicale del Paese. Ma la nostalgjja per il vecchio inno aveva avuto la meglio e con opportune correzioni era tornato in servizio. Ora accantonato per peccati chimici e complicità connesse.

A Tokyo Tchajkovsky (già molto presente nel pattinaggio artistico, o di figura, con brani dal Lago dei Cigni e dallo Schiaccianoci) troverà buona compagnia. È dalla fertile mente di Franz Joseph Haydn che nacque, nel 1797, il Deutschland über Alles, creato come Kaiserhymne in onore di Francesco II d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero prima che il titolo venisse cancellato da Napoleone, Haydn inserì il tema (con variazioni) nel secondo movimento del quartetto “Imperatore”.

Se l’antichissimo inno olandese Het Wilhelmus è conosciuto anche fuori dagli stadi o dalle piscine, è merito di Wolfgang Amadeus Mozart che, attratto in giovane età dall’armonia della composizione di Adriaan Valerius van der Veere, scrisse una serie di variazioni sia per pianoforte che per organo.

Anche il God Save the Queen (King) ha nelle sue lontane radici nomi nobili. Nomi, già, perché se la maggior parte della critica propende per il cembalista e organista John Bull, vissuto tra XVI e VII secolo, qualcuno lo attribuisce a Thomas Arne, personaggio al centro della scena musicale e teatrale dell’Inghilterra georgiana di pieno Settecento e autore dell’orgogliosa marcia Rule Britannia. Nel passato c’è stato chi ha scomodato, come autore, anche Georg Friedrich Händel, sassone come Bach e naturalizzato inglese. O meglio, londinese.

Non fanno parte di un club così illustre né Claude Joseph Rouget de l’Isle, francese del Giura, né Michele Novaro, genovese, ma entrambi hanno lasciato profonde tracce: il Canto di Guerra per l’Armata del Reno è diventato la Marsigliese e il Canto degli italiani altro non è che l’Inno di Mameli: Goffredo, genovese anche lui, caduto giovanissimo in difesa dell’effimera Repubblica Romana, è l’autore del testo.

È curioso che la musica per Star Spangled Banner, l’inno americano, sia di un inglese vissuto a cavallo tra Settecento e Ottocento, John Stafford Smith. In realtà la commissione non venne dalle ex-colonie da poco indipendenti: si tratta semplicemente di un adattamento di una sua opera, To Anacreon in Heaven. Il tema principale fa capolino nella pucciniana Madama Butterfly.  

Non è noto quale sarà l’esecuzione scelta del concerto di Tchajkowsky. Personalmente ne consiglio un paio: solisti, Sviatoslav Richter e Lazar Berman. I nomi non sembrano russi, ma loro lo erano.

PS – Sempre personalmente avrei preferito che i russi scegliessero, come succedaneo dell’inno, il momento gioioso della vittoria di Aleksandr Njevski. Musica del geniale Sergei Prokofev, morto lo stesso giorno di Stalin e così relegato sulla Pravda a un pallino o poco più.

 

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