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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Io non c'ero (1) / Quando la tragedia somiglia alla farsa

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Domenica 28 Marzo 2021


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“Confessioni di un non giornalismo”: questo sottotitolo per l’ingresso nella brigata di S.O. di una firma tra le più grandi del giornalismo italiano. Tema di questa puntata iniziale, e di quelle e quante seguiranno, cose straordinarie viste, non viste o solamente immaginate. W noi!

Gian Paolo Ormezzano

Siccome ho scritto un libro che si intitola “Io c’ero davvero” e che si riferisce in molte pagine al presenzialismo esibito, quasi trionfo dei giornalisti, specie sportivi d’antan, fra i quali io ho militato da metà del secolo scorso fino all’altro ieri mattina …
… siccome prevedo che non ci saranno a maggio ingorghi in libreria per acquistarlo …
… siccome mi accade, da sempre, di pentirmi di quello che ho scritto un minuto dopo aver superato la dead line che impedisce di tornare indietro …

… provvedo qui, puntata dopo puntata, senza sapere per quante puntate, a smontare l’”Io c’ero”, cioè oltre quel giornalismo sportivo anche il libro, cioè con il libro me stesso, due piccole entità annesse allo slogan; smonto tanto se non tutto, nel mio piccolissimo, dicendo di molte bugie che quel giornalismo permise, ovviamente evocando quelle con maggiore vis cronistica e storica. Dunque …

Dunque per anni un celebre “Io c’ero” tragicomico della nostra categoria fu quello riferentesi a una famosa corsa automobilistica su lunga distanza, lo dice il nome stesso, 24 Ore di Le Mans. In quell’autodromo l’11 giugno 1955 la Mercedes del pilota francese Pierre Levegh (cognome d’arte, all’anagrafe faceva Bouillin ma lo assunse in memoria di un suo zio protopilota d’auto da corsa) finì fra la folla dopo un tamponamento: morirono in ottantaquattro compreso Levegh in quella che resta la tragedia più grande nella storia dell’automobilismo sportivo.

Un giornalista italiano di bell’aspetto (pochi anni dopo si sarebbe cominciato a dire “un playboy”) non si era spostato per il reportage sulla gara da Parigi, lontanuccia da Le Mans, per ragioni sue, probabilmente di cuore e altre parti del suo corpo. Quando entrò in possesso, grazie ad una telescrivente collegata ad una agenzia di stampa, dell’ordine d’arrivo (la competizione non era stata interrotta), chiamò il giornale per conoscere la lunghezza del pezzo che doveva scrivere. Gli chiesero se non aveva ferite, lui chiese perché avrebbe dovuto averne, insomma riuscì ad apprendere della tragedia senza far capire che lui non sapeva niente di quanto accaduto.

Era un bravo giornalista, con l’ordine d’arrivo ed alcune telefonate ad amici giornalisti di altre testate rimediò le informazioni per stendere il pezzo, dove peraltro lui diceva soltanto della corsa, dal momento che al giornale gli avevano detto che dell’incidente si stava occupando il solerte corrispondente da Parigi. Volle stravincere, chiamò il giornale per dettare al telefono il pezzo (allora lo si affidava ad uno stenografo che lo “traduceva” e lo passava alla redazione) e chiese a dettatura finita che gli passassero il direttore, al quale disse: “Forse non ho scritto un bell’articolo, ma ti prego di capirmi e di scusarmi: un frammento della Mercedes del povero Levegh mi ha sfiorato la testa, sono ancora adesso stravolto per quanto vicina mi è passata la morte”.

Meglio quel giornalismo fasullo, o quello dell’”io c’ero” effettivo, da testimone algido, o quello di adesso davanti alla televisione? Un tentativo di chiarimento verrà eseguito nelle prossime puntate, specie se a discutere dell’”io c’ero” ci vorrà essere amabilmente qualcuno.


 

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