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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
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I sentieri di Cimbricus / Maradona, la frode e il capolavoro

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Mercoledì 25 Novembre 2020


maradona-20 


Due piedi solisti, specie il sinistro, con variazioni: quelle finte in corsa, appena percettibili, sono state sezionate fotogramma per fotogramma. In cinque minuti, la “Mano de Dios” e il “Gol del Secolo”.

Giorgio Cimbrico

C’era ancora qualche luminaria accesa: un mese fa, Pelé 80 anni, Diego Armando Maradona 60. E ora lui se n’è andato e le prime parole che affiorano sono: ha attraversato e riempito quarant’anni della nostra vita. Come Alì, come il personaggio di un libro che è bene rileggere senza stufarsi mai. Un racconto di meraviglie, di mutazioni, di ascese, di cadute. C’è stato un tempo in cui Diego diventò un mostro marino, un dugongo, Informe, le braccia come pinne.

Mangiava, beveva, si drogava, lievitava. E così si sparse la notizia che era morto. Non era morto, lo stavamo sgonfiando, disintossicando, ripulendo. Quando riapparve, aveva addosso i segni di quelli che perdono cinquanta chili in tempi sincopati. Invecchiato, un po’ moscio, vivo però.

Diego, il diavolo, quello che ha sempre dato il cattivo esempio, anzi, il peggiore. E a Rosario hanno fondato la Iglesia Maradoniana e l’intellighenzia partenopea creò il Te Diegum. Lucifero, prima di essere precipitato verso il basso, non era uno dei cocchi del Padreterno?

Il moralismo, specie quello a comando, con Diego Armando non c’entra. Oppure funziona come con Mozart che diceva le parolacce, faceva aria da dietro, buttava i soldi al gioco, era licenzioso e irriverente, ma sono sufficienti tre battute, anche di una composizione minore, per commuoversi e dire: sublime.

C’è qualcuno che ha avuto la fortuna di assistere alla creazione di un’operina di Diego ed era il tempo in cui il Napoli, ancora di Corrado Ferlaino, si allenava a Soccavo e lui si allenava quando ne aveva voglia, magari con i ragazzi e faceva la telecronaca. “E ora Diego Armando Maradona ve farà un golazo”. Cross, sforbiciata volante, palla all’incrocio. Diego seduto sul prato, stile Paolina Borghese: “Carmando, portame una bottiglia di agua mineral”. Fine dell’allenamento. E presto anche fine dei suoi giorni napoletani. Positivo alla cocaina nel famigerato (allora) laboratorio dell’Acquacetosa e ricercato dal fisco italiano.

Diego era amato dai suoi colleghi (“non c’è Pasqua, non c’è Natale che non arrivi la sua cartolina”, raccontò Carlo Ancelotti quando era ancora il tempo delle cartoline, non dei cinguettii) ed era amato dai suoi descamisados, argentini, catalani, napoletani e sparsi ovunque, e da chi sostiene che tra il diabolico e il genio esiste uno stretto rapporto. Un peccato che il professor Umberto Eco non ci abbia lasciato una Fenomenologia di Diego Armando Maradona. Sarebbe tutto lì e non ci sarebbe bisogno di snidare dalla memoria immagini e ricordi per quest’addio. In ogni caso di Diego hanno scritto in tanti. Osvaldo Soriano, ad esempio, che oggi è il caso di riprendere in mano.

Non era gradito a chi non è capace di commuoversi: un inventore fulmineo, un naturale, un figlio della sua terra, e qui viene voglia di aprire una parentesi per trovarci dentro Alfredo Di Stefano e Leo Messi. Tre dei più grandi sono argentini. Casi? Congiunzioni astrali?

Gli inglesi lo trasformarono in uno gnomo cattivo dopo che li aveva fatti fuori con l’astuzia, dimenticando quel che aveva combinato subito dopo con quell’improvviso per due piedi solisti, specie il sinistro, con variazioni: quelle finte in corsa, appena percettibili, sono state sezionate fotogramma per fotogramma. In cinque minuti, la “Mano de Dios” e il “Gol del Secolo”, la frode e il capolavoro. Dodici anni dopo, Francia ‘98, il Sun stampò un tappetino di preghiera per i tifosi inglesi calati a St Etienne (Inghilterra-Argentina, partita ad alto rischio) in cui i volti di Galtieri e di Diego venivano accostati per esser calpestati e per stendere un’altra mano di orgoglio per l’ultima guerra imperiale, quella per riconquistare le Falkland. Malvinas, viste dall’altra parte.

Un altro fotogramma rimane: è il fermo immagine del suo volto dopo un mirabile gol (zampata dopo dialogo tutto al volo) alla Grecia, il suo ultimo gol per l’Argentina che in questo caso fa rima con efedrina, la sostanza che venne rinvenuta nei “campioni” del campione. Chi ama l’analisi – a quel tempo il complottismo non era ancora così sviluppato – pensò che la Fifa, constatato che il soccer funzionava e che gli stadi di Usa ’94 erano massicciamente frequentati, si liberò di un personaggio che era servito ma che alla lunga poteva risultare scomodo.

Maradona religioso e rivoluzionario (nel suo continente, ricco di orrori e di martiri, è capitato spesso che santità e rivolta camminassero al fianco), amico di Castro, che gli diede una mano quando era molto male in arnese, di Chavez, di Menem, di Christina Kirchner. Peronista? Chissà. Forse solo maradonista, nelle sue tenebre, nelle sue nascite e rinascite, nel suo cattivo gusto nel vestire, nei suoi vezzi: quando andò in Dubai volle un jet a disposizione. L’avventura nel Golfo Persico durò poco e il suo peregrinare lo portò in un mondo che sentiva più vicino, più polveroso: serie B messicana con i Dorados. Quel nome gli ricordava i pescioni fluviali da ricchi che, dopo aver fatto i primi soldi a Barcellona, riuscì finalmente a far pescare a suo padre.

No, non dev’essere stato un grande nonno l’ex pibe, l’ex pelusa, ma tutte queste storie, e le molte altre che eruttano da un cornucopia, meritano di essere raccontate ai figli che ha sparso come certi disinvolti prelati del Rinascimento, ai nipoti, a tutti quelli che possono capire. Lui se ne va, ma rimane.

 

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