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I sentieri di Cimbricus / “Oh Uganda, Land of Beauty”

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Martedì 29 Settembre 2020

 

cheptegei


Tra una settimana Joshua Cheptegei tenterà a Valencia di fare doppietta sui diecimila dopo il favoloso record sui 5000 riscritto nel Principato. In attesa di Tokyo passando per la Mezza iridata di Gdynia.

Giorgio Cimbrico

Al tempo dell’Impero la sigla era KUT, Kenya, Uganda e Tanganyka. Dopo l’indipendenza, ad inizio anni Sessanta, provarono ad andare avanti assieme ma non durò. In atletica il Kenya ha combinato e continua a combinare quel che sappiamo; il Tanganyka, divenuto Tanzania con l’appendice insulare di Zanzibar, ha brillato grazie alla classe sublime di Filbert Bayi che avrebbe meritato più di quel ebbe in sorte. Dell’Uganda i più vecchi possono ricordare Amos Omolo, 45”33 nella semifinale di Mexico City. Nella finale, molto americana e molto africana (oltre a lui, il senegalese Amadou Gakou e, sorpresa assoluta, l’etiope Tegegne Bezabeh), Amos aveva finito la benzina, ultimo in 47”61.

Quattro anni dopo, la danza selvaggia di John Akii Bua, record del mondo in prima corsia (“quando me lo dissero, pensai: sono fregato”) che pare avesse 41 fratelli e sorelle grazie alla politica della famiglia molto allargata di suo padre, poligamo convinto e praticante. Poi venne l’Ugand adi Idi Amin, una lunga tenebra, una follia sanguinaria degna di Eliogabalo.

Con un atleta dal nome del tutto kenyano e con una bandiera molto simile (tanto da indurre in errore i distratti), l’Uganda si riaffacciò nel 2012 ai Giochi di Londra: Steven Kiprotich, oro nella maratona e un anno dopo campione del mondo. Solo in due hanno incassato la duplice corona: lui e l’etiope Gezahgne Abera.

Kiprotich è nato a Kapchorwa, est del paese, 2000 metri di quota, il laboratorio senza pretese dove opera Addy Ruiter, l’olandese viaggiante che da quelle parti ha gettato l’ancora. “C’è una pista che deve essere 405 o 406 metri, è in erba ed è abbastanza strana: sale, scende, risale” Poco male: gli allievi di Ruiter molto spesso corrono altrove, su percorsi argillosi, con dislivelli mozzafiato, anche il 25-30% che è quel che succede da tempo al di là del confine nei campi d’allenamento dei kenyani, posti spesso ad altitudini vertiginose.

L’allievo più famoso di Ruiter è Joshua Cheptegei che dopo il clamoroso 2019 in cui ha lasciato segni su tutte le superfici (vittoria nel mondiale di corsa campestre, vittoria nei 10.000 di Doha, record mondiali nei 5 e 10 chilometri su strada), ha privato Kenenisa Bekele del record dei 5000 di cui l’etiope era padrone da sedici anni: due secondi di progresso, ora è 12’35”36, arricchendo la principesca collezione di Montecarlo, nuovo tempio del mezzofondo.

Joshua, 24 anni da meno di tre settimane, ha capito che nuove frontiere possono essere esplorate e così ha annunciato per il 7 ottobre, a Valencia, l’attacco al record del mondo rimasto a Kenenisa: 26’17”53 a Bruxelles, quindici anni or sono. In purissima teoria, un primo 5000 in 13’10” e un secondo in crescendo, da 13’05” garantirebbero la riuscita del tentativo. “Joshua ha un passo economico, non dilapida energie”, dice Ruiter che ha a sua volta un record: prima di stabilirsi in Uganda, ha visitato e vissuto in 97 paesi rinverdendo la tradizione degli olandesi giramondo, in questo campo predecessori dei britannici. Forse non tutti sanno che nel Seicento il Brasile era sotto la sfera orange, che la città sorta tra Hudson e East Rivere governata da Peter Stuyvesant si chiamava Nuova Amsterdam o che prima di prendere il nome di Djakarta la capitale delle Indie Olandesi era Batavia.

Vada come vada a Valencia, a metà mese Cheptegei andrà a Gdynia, appena a ovest di Danzica, per il mondiale di mezza maratona, “una distanza che non ha mai corso – dice Ruiter – ma che può rappresentare una prima tappa verso un futuro sui 42 chilometri”. A Tokyo in pista e a Parigi 2024 su strada? Scenario plausibile. “Di certo – assicura Ruiter – c’è che Joshua rappresenterà qualcosa di nuovo”.

L’Uganda ha un potenziale vasto come il lago Victoria, questa specie di mare interno su cui il paese è affacciato. A Doha Halima Nakaay, seguita da Ruiter, ha bruciato le americane e messo le mani sul titolo degli 800 e Winnie Nanyondo ha sfiorato il podio. E questa stagione ha segnato l’esplosione di un giovassimo atleta della Casone Noceto: Jakob Kiplimo, 11 novembre 2000 (e già presente ai Giochi di Rio prima dei 16 anni) ha “giustiziato” due formidabili coetanei, prima Selemon Barega sui 5000 e poi Jakob Ingebrigtsen sui 3000, sfiorando, con 12’48”63, l’ingresso tra i primi dieci di sempre e ottenendo, con 7’26”64, un posto in questa ristretta élite. Oh Uganda, Land of Beauty, inizia l’inno nazionale. I fatti confermano i commossi versi.

 

 

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