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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Duribanchi / Se permettete, vorrei cinque minuti, ...

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Mercoledì 15 Luglio 2020

cochi0


Chissà se basterebbero per capire meglio da che parte stanno andando il mondo e la gente che lo abita, ma che da qualunque parte vadano lo fanno troppo velocemente. Perché ti sia concesso di farne parte.

Andrea Bosco

15 di luglio: giorno del mio compleanno. L'ennesimo. Ho vissuto e visto tante cose belle. Ma anche tante che avrei preferito non vedere e non vivere. Gli ultimi anni sono stati difficili. Puoi fronteggiare tutto: anche l'emergenza o la malattia. Quello che non puoi fronteggiare è la sensazione devastante che il mondo che ti circonda stia andando troppe veloce, per te che pure sei sempre andato quasi sempre “di corsa”. Sei diventato vecchio. Non temi la vecchiezza che il Vate definiva “laida”. Temi il tuo prossimo. Perché essendo diventato vecchio perdi, come sosteneva Goethe la possibilità di “essere giudicato da tuoi pari”. Ti guardi attorno. Ti chiedi perché “vivere al bar” sia diventato uno stile di vita.

Non ci vedi artisti, come a Parigi negli anni di Picasso ed Hamingway. Non ci vedi i pittori che bivaccavano in Brera. Non ci vedi “maghi”: amici del Cerruti Gino. Non ci vedi “pali” delle bande dell'Ortica. Non ci vedi cantastorie alle prime armi come accadeva a Milano negli anni Settanta, in certi locali in zona Magenta. Non ci vedi fuoricorso che discutevano al Bar Magenta di “rivoluzione”. Ci vedi una gioventù che beve, mangia e schiamazza. Chiamatela se volete “movida”. Io ci sono stato in Spagna, per lavoro, nel dopo Franco. La gente si era riappropriata della strada dopo decenni di buio politico e sociale. Dopo decenni di dittatura. Si erano conquistati il diritto alla movida. Ma oggi? I giovani e meno giovani che vivono al pub, neppure il diritto ad un “rutto” si sono conquistati.

Ma forse, anzi certamente, sono io fuori posto. Probabilmente aveva ragione quella linguaccia di La Rochefoucauld quando spiegava che “pochi sanno essere vecchi”. E visto che evidentemente non faccio parte della compagnia, continuo a fare domande. Perché questo è il mio carattere e questo è il mio mestiere.

Vorrei cinque minuti con il ministro dei trasporti Paola De Micheli (Pd) e vorrei chiederle di viaggiare con me da Milano a Celle Ligure dove andrò in vacanza in agosto. Sulla mia auto, non su una blu ministeriale, provvista di sirene e lampeggianti ed autorizzata a percorrere corsie d'emergenza. Vorrei stesse con me otto ore. E che bloccata da Ovada al Masone (e oltre) su una sola corsia, fosse costretta per improcrastinabili esigenze fisiologiche a mingere, alla prima opportunità, tra due porte dell'auto. Vorrei capire come si sentirebbe, “dopo”. E vorrei vedere se non ritirerebbe immediatamente quel provvedimento datato 1967 con il quale alla Società Autostrade ha imposto di revisionare, tutte (e in una volta sola), le infinite gallerie della Liguria, portando gli automobilisti all' isteria. E ad un astio che se ministro si degnasse di andare in Liguria percepirebbe come una seconda pelle.

Vorrei cinque minuti con il sindaco di Milano, Beppe Sala. Il covid ha portato a misure straordinarie. Come l'autorizzazione a molti locali di espandersi con i dehors in strada e fin sui marciapiedi. Misura ragionevole in tempi di pandemia. Ma vorrei chiedere al sindaco: quanto temporanea? In Italia, nulla è più definitivo delle misure “temporanee”. Chiedere in proposito a qualche terremotato. Io vorrei chiederlo a Sala. Che ama i ciclisti, ama le ciclabili, tollera i motociclisti, se ne infischia dei pedoni e notoriamente detesta gli automobilisti. Quanto temporanee, signor sindaco, saranno quelle misure?

Vorrei cinque minuti con Luca Palamara, il magistrato indagato per corruzione, già presidente dell'Anm, che novello Sansone ha deciso di schiattare assieme a tutti i “filistei”: 130 testimoni eccellenti al suo processo per dimostrare che sì, la Spectre in magistratura esisteva, ma che lui era solo una pedina: al massimo una Rosa Klebb con pugnale avvelenato sulla punta della scarpa. Il “puparo”, l'uomo che “accarezza il gatto” secondo Palamara va cercato altrove. L'ultimo sondaggio ha rivelato che meno del 20% degli italiani si fida della giustizia italica. I sondaggi lasciano il tempo che trovano, ma questo dovrebbe essere preso con serietà. Vorrei cinque minuti con Luca Palamara per chiedergli: avevamo capito che c'era del marcio nella giustizia italiana. Ma fino a che punto?

Vorrei cinque minuti con il ministro Lamorgese. Vorrei chiedere lumi sullo strombazzato accordo di Malta, relativo alla redistribuzione europea dei migranti. Perché le cifre (ufficiali) sono imbarazzanti. Degli ultimi 14.000 disperati arrivati sulle coste italiane, solo 400 sono stati accolti in Europa. Ora: l'Italia è un paese che non fa figli. Per fortuna ci sono gli immigrati. Che nei prossimi anni sosterranno il vacillante sistema pensionistico. Per i quali io farei aprire corridoi umanitari stabili che evitassero gli affari delle Ong, la speculazione barbara degli scafisti, lo stato permanente di clandestinità.

A proposito: vorrei cinque minuti con l'italiano che ha coperto di insulti razzisti Beatrice Ion, origini rumene, campionessa di basket in carrozzina e il cui padre è stato preso a testate e privato (dopo il colpo) di un dente. L'italiano si è accanito (in provincia di Roma) sulla ragazza di 23 anni per una banale questione di parcheggio. Urlando: “ho precedente penali, se ti becco da sola per strada vedrai che lavoretto ti faccio fare”. Vorrei cinque minuti con quell'italiano: per guardalo in faccia. E non solo.

Vorrei cinque minuti con i vertici del CIO. Perché se a Londra 2012, veramente 91 atleti sono stati usati come “cavie”, allora meglio cancellare i Giochi Olimpici. Meglio chiudere il circo e far uscire belve e domatori. Non azzardatevi più a parlare di sport. Avete tradito tutti e tutto.  

Vorrei cinque minuti con tutti i tifosi del calcio. Che ancora reputano che la Champion's sia una competizione dove a vincere siano i migliori. Una volta: forse. Fair play finanziario a chi? Non c'è stato reato da parte del Manchester City: gli emiri non hanno barato. Parola di TAS. La loro partecipazione alla prossima Champion's è salva. Dunque, riavvolgendo il nastro: Nissan è lo sponsor del Manchester City. Nissan è anche lo sponsor della Champion's. Quante possibilità c'erano che il City venisse penalizzato? Fate i Marzullo: dopo esservi fatta la domanda, datevi anche la risposta.

Vorrei cinque minuti con il designatore Nicchi. Quello che racconta che il diluvio di rigori per falli di mano è assolutamente corretto, perché altrettanto corretta deve essere la postura (tradotto: il modo di correre) dei calciatori. E quale è, secondo Nicchi, la postura corretta in area di rigore? Con le braccia dietro alla schiena. Quella che avevo io alle elementari quando sorpreso a lanciare in classe aeroplanini di carta, venivo severamente redarguito. Gli arbitri italiani hanno concesso più del doppio dei rigori dei direttori di gara della Premier. Sono i primi zufolatori in Europa. La Spagna è sotto di noi. Premier e Bundesliga sono a distanze siderali. Dice che noi siamo “cattolici” e quelli sono, viceversa, “luterani”. Dice che noi il “peccato” lo facciamo vedere. Mentre “loro”, il peccato, non lo considerano. Situazione rivelatrice: da loro chi fa soldi è persona meritevole. Da noi “pecunia olet”: il denaro è considerato “lo sterco del diavolo”. Da loro chi prende un impegno lo “onora”. Da noi a pagare è sempre Pantalone. Che poi siamo sempre noi.

Ho cercato di spiegarlo (inutilmente) ad un amico che trasuda 5 Stelle: i vari redditi di cittadinanza, povertà e similia, (tutti fatti – tra l'altro – in debito) li paghiamo noi. Persino quelli che percepiscono, li pagano. Noi, i nostri figli, i nostri nipoti e pronipoti. Ogni italiano nasce con un debito di oltre 20 milioni di euro: dopo il primo vagito.

Vorrei cinque minuti con Donald Trump, per spiegargli che il Sultano che si è “ingoiata” Santa Sofia facendola ridiventare una moschea sta correndo su un terreno minato. Che quella zona del mondo, si dovesse mai incendiare per una questione religiosa, farebbe sembrare Indocina, Vietnam ed Afghanistan, guerricciole locali. Da quelle parti, abbastanza vicino a Santa Sofia, c'è Gerusalemme: la madre di tutte le contese. Vorrei cinque minuti con Donald Trump, per spiegargli che il sultano turco ha in mente una sola idea: il Grande Islam. Il ritorno ai fasti del passato. Quando Londra era un letamaio e nella Cordoba islamica c'erano due chilometri di luce a “pece greca”. Armeni, curdi, Libia, libertà individuali soppresse, libertà di stampa archiviata, laicità depennata: ora Santa Sofia che torna una moschea. Si è lagnato anche il Papa. Si sono incazzati (e hanno promesso conseguenze) gli ortodossi. Donald, difensore del “mondo libero”: niente da dire?

Vorrei cinque minuti con Andrea Agnelli, presidente della Juventus per chiedergli: siete una monarchia costituzionale. Avete avuto come premier molti conservatori. Molti liberali. Alcuni riformisti. Persino un radical che “prima” di allenare vendeva champagne. Mai avete avuto un ayatollah. Che, peraltro, ha una risorsa. Quella che Gene Gnocchi attribuiva a Sacchi. Risorsa che potrebbe fargli vincere scudetto e Champion's. L'ho scritta: andate avanti voi perché a me viene da ridere.

Non ho bisogno di cinque minuti per fare gli auguri a Renato Pozzetto che un giorno prima di me ne ha compiuti (ben portati) ottanta. Renato che con Cochi (e tanti altri) furoreggiava al “Derby” a Milano. Il candido Ragazzo di Campagna dal surreale umorismo, che spiegava che serviva “orecchio” e che per capire che la vita era “bela”, bastava avere “l'ombrela”. Non era vero, ma era bello far finta di crederci. In quelle indimenticabili serate ridendo con loro che si muovevano come Nureyev su quel piccolo palcoscenico, per un paio d'ore dimenticavi tutto. Ti lasciavi alle spalle i problemi.

E una Milano che avevi scoperto non sempre ti si avvicinava con il “cuore in man”. Ma era la città dove avevi deciso di vivere. Dove avevi trovato il lavoro che ti piaceva fare. Dove saresti cresciuto tra dolori e gioie. Tra delusioni e momenti irripetibili di soddisfazione professionale ed umana. Con quel Renato che avevi conosciuto da “cliente” di quel “Derby”. Che avresti qualche volta, per lavoro, successivamente intervistato. E che ogni volta sembrava essere il tuo vicino di pianerottolo, incrociato tardi alla sera, quando tu tornavi a casa dalla redazione e lui usciva a far passeggiare il cane. Direbbe Renato: “Madonna, quanto tempo è passato”. Madonna: troppo. E troppo velocemente.



 

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