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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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Gianfranco Colasante
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La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
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Italian Graffiti / "Sullo sport non si scherza, niente alibi"

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Lunedì 25 Maggio 2020

 

vela-2007 


I condizionamenti dello sport italiano non sono iniziati con la “riforma” Giorgetti-Valente del dicembre 2018. L’assalto alla sua visibilità (e alla sua autonomia) ha radici più datate.

Gianfranco Colasante

Nel mio ultimo Graffiti chiedevo a me stesso come sia stato possibile che da noi lo sport – e più specificatamente lo sport agonistico – stia soffrendo più di altri settori “impreparazione e incompetenza” di chi dovrebbe guidarlo. Impreparazione da parte di chi abita il palazzo, incompetenza di chi si trova a condizionarlo dagli scranni della politica, allargando e restringendo a piacere i cordoni della borsa, in barba all’autonomia. Senza un progetto credibile né un obiettivo condiviso, sia pure a breve termine. Un quesito che pare non avere risposte convincenti. Ma di certo i guai non sono cominciati con la cosiddetta “riforma” Giorgetti-Valente del dicembre 2018. L’assalto alla visibilità (e all’autonomia) dello sport ha radici più datate. E porta il nome di un politico di lungo corso, Walter Veltroni, oggi profeta di bon-ton.

Chi ha un po’ di memoria, e non vive solo nel presente, dovrebbe rammentare la vicenda del laboratorio antidoping di Roma e l’inchiesta che si sviluppò nell’autunno del 1998 dopo che Veltroni (allora vice del capo del governo Romano Prodi) ebbe nominato una commissione di tre saggi guidata dal defunto accademico Carlo Federico Grosso. Come testimoniavano le 65 pagine della relazione finale, sul banco degli imputati finirono la federcalcio e la federazione medico-sportiva (guarda caso, le stesse oggi sotto i riflettori per il gioco a premi “campionato si, campionato no”).

Una inchiesta dirompente – condotta con grande risalto mediatico – che finì in una bolla di sapone e che fece una sola vittima, l’allora presidente del CONI Mario Pescante. Il quale, di fronte al possibile (e minacciato) commissariamento, scelse di dimettersi. Ci fosse stato o meno un disegno, dietro quell’inchiesta, non è dato sapere. Ma c’è ancora chi rammenta con disagio l’irruzione in consiglio nazionale della fedelissima di Veltroni, l’allora giovane ministro dei Beni Culturali Giovanna Melandri – la “fatina bionda” della Gazzetta che oggi dirige il Maxxi di Roma e che nel 2006, sotto l’acqua battente, rincorreva in infradito gli azzurri reduci dalla vittoria al mondiale berlinese – che col cipiglio di una amazzone prese a schiaffi tutto l’apparato sportivo nazionale minacciando rifondazione del CONI e delle Federazioni. Come poi si realizzò con la riforma governativa dell’anno 2000. Senza che allora, come anche oggi, si levasse una sola voce in difesa del passato e del presente dello sport italiano.

Tutta questa lunga premesse per tornare al Veltroni sindaco di Roma e alle sue scelte in materia di programmazione sportiva. La più luminosa delle quali resta la Città dello Sport di Tor Vergata. Non lo ricorderanno in molti, ma la prima pietra venne interrata il 21 marzo 2007, primo giorno di primavera. L’idea era che dovesse ospitare i mondiali di nuoto del 2009, ma molto altro ancora, nei suoi due palazzi dello sport e nella coppia di laghi artificiali. Costo? Si partiva da 60 milioni, … non si sa quanti spesi, ma ne occorrerebbero almeno 600 per completare il tutto.

“Un’opera molto bella, poetica, luminosa ed efficiente”, scrisse allora il Corriere della Sera. La cerimonia, venne “officiata laicamente” nell’aula magna di economia, dal sindaco Veltroni “affiancato dal fedele assessore al territorio Morassut, dall’allora presidente del CONI Petrucci e dal rettore Finazzi Agrò”. Anche se la vera star della giornata restava l’architetto Santiago Calatrava, “spagnolo residente a New York”, che aveva firmato il progetto. Fu lui a far notare che l’asse longitudinale dell’impianto era almeno il doppio di quello del Circo Massimo. Peccato che oggi il Circo Massimo del V Secolo a.C. (600 metri per 140) è in condizioni migliori rispetto al residuale della Città dello Sport, rimasta solo un rudere.

I dettagli di quella giornata, a leggerli sul quotidiano milanese, sono illuminanti su come la politica faccia sempre aggio sullo sport, e senza fatica. “Il sindaco garantisce che in 24 mesi tutto sarà finito. Consegnato alla città, agli atleti, al Mondiale. […] Sarà un miracolo di efficienza realizzatrice, il frutto di una sinergia che raramente si realizza. La serietà dell’ambiente universitario, le parole finalmente sobrie spese durante la cerimonia, la responsabilità che pesa sulle spalle dei protagonisti, l’esposizione mondiale del risultato finale, tutti fattori che invitano a dar credito alle promesse”. Per concludere, infine, con un perentorio “sullo Sport [maiuscolo!] non si scherza, niente alibi, niente ritardi”.

Non era, quella, la prima esposizione del Veltroni sindaco nel campo delle progettazioni pubbliche per lo sport. Qualche mese prima, ai primi di ottobre 2006, ancora assieme a Morassut aveva annunciato la costruzione a Roma e dintorni di cinque palazzetti dello sport, “cinque impianti da 1200 o 1500 spettatori che saranno dotati di campi da basket, pallavolo, piscine e altri sport”. Al costo di “3,3 milioni l’uno” e tutti rigorosamente in periferia, come si conveniva a un sindaco di centro-sinistra: a Cesano, a Labaro, a Pietralata, a Casal dei Pazzi, alla Bufalotta. Come sia andata a finire, lo testimoniano oggi i disastri del Palazzetto dello Sport di viale Tiziano e lo Stadio Flaminio, entrambi affidati alla Capitale da Pier Luigi Nervi, ed oggi simbolo del degrado e del disinteresse.

Qualche giorno più tardi, il 24 ottobre 2006, il presidente del comitato organizzatore di quei mondiali di nuoto (disputati poi nella piscina del Foro Italico, costruita nel 1927, …) – Giovanni Malagò – venne nominato direttore generale del comitato promotore delle Olimpiadi 2016, d’intesa tra Veltroni e Gianni Letta, “il più ascoltato consigliere di Berlusconi". Tutto si tiene. Come concludere queste storia di commistione sport/politica nella quale perdono tutti? Accettando l’incarico, l’imprenditore Malagò che ancora studiava da presidente del CONI poteva sentenziare: “Quando ci sono di mezzo Roma e lo sport, mi faccio coinvolgere volentieri. Sicuramente con passione, spero anche con competenza”. Appunto. (foto tratta da diarioromano.it).



 

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