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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Duribanchi / Una storia di Natale (che non ci appartiene)

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Lunedì 16 Dicembre 2019

 

bullos


I mali del Paese: disgustosamente troppi. E io non sono Savonarola. Invaghirsi dei Savonarola, tra l'altro, è pericoloso. Come ti distrai, scopri che stanno portando gerle di legna al rogo dei Giordano Bruno.

Andrea Bosco

Rhea Bullos ha 11 anni e va veloce. Più veloce di qualsiasi altra bambina della sua regione: Balasan, nelle Filippine. Ma Rhea Bullos è povera. Talmente povera da non potersi permettere un paio di scarpe da competizione. E allora Rhea Bullos le inventa. Se le costruisce fasciandosi i piedi con bende imbevute nel gesso. Sulla “tomaia” con un pennarello disegna lo svolazzo della Nike: quello che per lei è un simbolo di libertà. Poi va in pista e corre. Più veloce di tutte le concorrenti che ai piedi hanno scarpette griffate Nike o Adidas. Vince i 400, gli 800 e i 1500 metri: un fenomeno. Ognuna di quelle gare è un massacro: devi avere gambe, polmoni, resistenza. Le foto dei piedi di Rhea Bullos fanno il giro del mondo.

Tra qualche tempo Hollywood, si impadronirà della sua storia. Perché questa è una “storia di Natale”: se una ce n'è. Ma soprattutto, questa è una storia di coraggio: la forza e la fantasia di una ragazzina di volare assieme al suo sogno. Non importa se Rhea Bullos diventerà o meno una fuoriclasse dell'atletica. La cronaca racconta che le sue medaglie Rhea Bullos le ha vinte alle finali di atletica di Balasan. Ma non è così: Rhea Bullos ha stravinto “prima”. Prima di gareggiare. Quando ha deciso che non sarebbero state le scarpe, che non aveva, ad impedirle di correre. C'è qualche cosa di più “olimpico” di questa bellissima, struggente, volontà?

Una storia di coraggio è anche quella raccontata da Francesca Schiavone, che ha vinto la sua battaglia contro il cancro (rivelata sui social) dopo sette mesi di sofferenza. La malattia presa a pallate come, sulla terra rossa, Francesca faceva con le avversarie. Ora ha confidato di volere ritornare al tennis: come coach. Un inchino alla sua forza: un messaggio di speranza per quanti stanno affrontando un male che oggi, non infrequentemente, può essere sconfitto.

Mi inchino ancora una volta alle ragazze italiane, quelle dello sci, Goggia (per una parte di gara senza un bastoncino) e Brignone. Già per volare su quegli stretti pezzi di carbonio ci vuole fegato. Per tornare dopo un infortunio ci vuole coraggio. Per vincere ci vuole talento. Loro possiedono tutte queste qualità.

I mali del Paese: disgustosamente troppi. E io non sono Savonarola. Invaghirsi dei Savonarola, tra l'altro, è pericoloso. Come ti distrai, scopri che stanno portando gerle di legna al rogo dei Giordano Bruno.

Potrei indignarmi per i 4800 euro che lo Stato italiano riconosce alle vittime (straniere) di stupro: una miseria. Potrei indignarmi per quella insegnante (insegnante?) che maltrattava i bambini e che invece di curarli si appartava a fare sesso all'asilo con l'amante. Oppure potrei chiedere agli organi di vigilanza di Bankitalia, dopo l'implosione della Banca Popolare di Bari: ma come mai vi accorgete delle male gestioni solo quando è tardi? Per la vostra incompetenza a pagare è sempre Pantalone. Era già successo: a Siena, in Etruria, in Veneto. Ora è capitato in Puglia. E la grande idea per salvare capra e cavoli quale mai potrebbe essere? Nazionalizzazione.

Tradotto: c'è chi si è seduto sulla macchina del tempo ed è tornato agli anni Sessanta del secolo scorso. Quando lo Stato produceva pelati al sud e panettoni al nord.

Non è chiaro se la vittoria dei conservatori in Gran Bretagna, fautori della brexit sarà un bene o un male per quel Paese. Dal 31 gennaio del prossimo anno, quando gli inglesi si congederanno dall'Europa si potrà cominciare a capire qualche cosa. Per quanto conosco (dei sudditi di sua maestà) posso dire che non detestano l'Unione Europea, che tra l'altro hanno contribuito ad edificare. Quello che gli fa girare le scatole è l'idea di essere governati da un consiglio di burocrati (a Bruxelles) dove vengono partoriti i provvedimenti più surreali. L'Europa, che spiega ai pescatori italiani di quale misura debbano essere le vongole da cogliere sul fondo del mare, quanto latte possa essere prodotto, quante arance, quante olive: quanto di tutto.

Se vi sembro euroscettico, siete fuori strada: non lo sono. La libera circolazione degli uomini e delle merci è stata una grande conquista. Ma se questo sistema non avrà velocemente, un unico sistema fiscale, un solo tipo di burocrazia, un unico sistema giudiziario, una banca che per davvero faccia la Banca Centrale, è destinato ad andare a sbattere. Se l'Europa starà in piedi solo per difendersi dalla concorrenza economica della Cina, degli Usa e della Russia, che tipo di risposta potrà mai dare alla domanda (retorica) posta da Paul Valery: “l'Europa diventerà quello che in realtà è, cioè un piccolo promontorio del continente asiatico?”

Che il clima stia andando (per la responsabilità degli uomini) a donne di facili costumi è assodato. Ma in quel conclave dove si decide il mitico “tubo”, non dico il mondo con i suoi grandi inquinatori (Cina, Usa e Brasile) si è messo d'accordo. Neppure l'Europa, con quegli stati che pretendono di andare ancora a carbone, lo ha fatto. Tutti con una sola volontà: la salvaguardia del proprio particulare.

Guicciardini potrebbe, in proposito, ragguagliarci. Con qualche tono apocalittico lo ha fatto anche Antonio Socci nel suo “Il Dio mercato, la Chiesa e l'Anticristo”. Socci è contro la globalizzazione. Perché, spiega, l'Anticristo si è diffuso durante i secoli delle modernità. Provo a spiegare il Socci-pensiero: il diavolo si è globalizzato e l'Europa unita e sempre meno cristiana, rappresenta il palcoscenico ideale per l'umiliazione dell'uomo. Lo scenario perfetto per una umanità schiavizzata che sarà resa “uguale”. Ma al ribasso. La deregulation economica che diventa deregulation antropologica. Ricordate quella ideologia? Marxismo, mi pare si chiamasse. Beh: è stata sconfitta dal capitalismo. Ma sapete qual'è la fregatura? Che il capitalismo non è diventato liberale. E' diventato massimalista. Una umanità ingobbita sulla sua tecnologia e sempre più povera. Con i ricchi sempre più ricchi e i poveri (sempre più numerosi) e sempre più poveri.

Benvenuti nella modernità. Benvenuti nelle nostre ferrovie metropolitane: dove nessuno si guarda in faccia e dove ogni viaggiatore è un'isola con gli auricolari.

C'è una insofferenza sempre più spiccata nei confronti dei giornalisti. Da parte della politica e da parte di qualche manovratore dello sport. L'Inter per “punire” una testata rea di aver pubblicato la sulfurea mail di un lettore ha fatto saltare la conferenza stampa di Conte prima di Fiorentina-Inter. Condendo il tutto con un comunicato vagamente intimidatorio. Ripassare Bogart: “E' la stampa, bellezze, la stampa”. Non dimenticatelo.

Di un giornalismo d'altri tempi ha parlato deliziando la platea al Teatro Oscar di Milano, Massimo De Luca a lungo voce di “Tutto il calcio minuto per minuto” e conduttore della “Domenica Sportiva”. In scena ha portato “Quasi gol” dedicato alla figura di Nicolò Carosio. Avendo io scritto l'unica biografia esistente sull'uomo che in Italia inventò la radiocronaca calcistica, mi sono commosso, quando nel corso dello spettacolo De Luca ha citato il mio lavoro. Pensare che siamo diventati amici dopo un “passaggio” diciamo così, “virile”. Al “Giornale” avevo una rubrica settimanale che trattava dello sport alla radio e in televisione. E diciamo che i giudizi erano urticanti. Facevo a gara con Paolo Ziliani che inventava ogni settimana cose diaboliche sul “Giorno”.

Una domenica, la “voce” di “Tutto il calcio” Roberto Bortoluzzi (andato in pensione), venne avvicendata. Al suo posto quella di Massimo de Luca. Bravo e senza inflessioni: come una volta si pretendeva alla RAI. Ma io scrivo che ti scombussola se improvvisamente vai al cinema e senti John Wayne doppiato da un altro. Nel pomeriggio del martedì (giorno della pubblicazione della rubrica) mi arriva in redazione una telefonata. E una voce mi dice: “Sono John Wayne”. Educatamente Massimo mi spiega che ho ragione, ma che lui conta di farsi apprezzare nel ruolo delicato di chi era stato per tanti anni “uno di famiglia”. Siamo diventati amici così. Senza sfoderare le colt. E idealmente bevendo uno di quei caffè nei quali, nei film western, si sostiene galleggino i “ferri di cavallo”. Bel lavoro, Massimo. Il vecchio Nick immagino, là nel paradiso delle “voci”, avrà apprezzato.

Nel basket la partita clou della giornata è stata Reyer-Armani. Vince Messina per un solo punto 70-71 con canestro di Micov a 4 secondi dalla fine. Bella partita: il talento offensivo di Milano e la difesa di Venezia. Il basket sa essere crudele: dalla linea della carità sbaglia Brooks, ma poco dopo sbaglia anche Bramos. Non basta alla Reyer il canestro da tre di Daye più bello della stagione: iniziale doppia finta da fermo che manda al bar Brooks e piuma che si adagia nella retina. La preghiera finale di Stone (brutta scelta) finisce nel nulla. Milano vince una gara complicata dopo aver nuovamente fallito in Eurolega. Cerca rinforzi causa l'ennesimo infortunio a Nedovic. Li cerca anche la Reyer che non ha la più pallida idea rispetto ai tempi di recupero di Goudelock. La classifica di Walter De Raffaele piange: oggi i campioni d'Italia non sarebbero ai playoff. Quella di Messina trova sangue fresco, mentre Bologna continua a correre. Ma, come noto, ai play off comincerà, come sempre, un altro campionato.





 



 

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