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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
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dall’ Ottocento al Fascismo
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I sentieri di Cimbricus / Il giorno piu' infamante

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Giovedì 17 Ottobre 2019


england


La storia dei saluti irrutuali è molto variegata nel calcio e in tutte le epoche. Capitò anche ai "bianchi" d'Inghilterra che, alla vigilia della guerra, furono costretti dal loro governo ad esibirsi in un goffo saluto nazista di fronte ai loro nemici.


Giorgio Cimbrico

I giocatori turchi salutano militarmente? C’è stato di peggio ed è documentato in una foto bianco e nero che ha superato gli ottant’anni dallo sviluppo ma che è ancora molto nitida. 14 maggio 1938, prato dell’Olympiastadion di Berlino, 110.000 spettatori: la nazionale inglese di calcio (maglia bianca, tre leoni, calzoncini neri che si allungno quasi al ginocchio) alza in blocco il braccio nel saluto nazista, i volti rivolti verso la tribuna dove sedevano Hermann Goering, Joseph Goebbels e Rudolf Hess che, poco più tardi, in fondo  un volo di notte, sarebbe diventato sorprendente “ospite” del Regno Unito.

Una parte della stampa inglese lo definì il giorno più infamante. Una parte perché lord Rothermere, editore del Daily Mail, non nascondeva la simpatia per il regime di Hitler, così come il brevemente Edoardo VIII poi Duca di Windsor e i circoli di ultraconservatori che, negli anni precedenti, avevano visto di buon occhio il successo crescente del Buf, British Union of Fascists, di Oswald Mosley.

“Quando, negli spogliatoi, ci dissero che dovevamo alzare il braccio, siamo diventati lividi e abbiamo risposto che non era il caso”, raccontava il funambolico Stanley Matthews. Eddie Hapgood, il capitano, da tutti considerato un tipo molto a posto, educato, disse a un dirigente che il saluto “dovevano infilarselo dove non batte il sole” e, contrariamente alle sue abitudini, alzò anche il medio.

L’iniziativa era del Foreign Office che, subodorando l’ostilità dei giocatori, aveva incaricato l’ambasciatore a Berlino, sir Neville Henderson, di fare le opportune pressioni appoggiandosi su Stanley Rous, allora segretario della Football Association e in seguito presidente della FIFA. L’ammutinamento venne sedato e i giocatori furono convinti – costretti è meglio a prestarsi alla rappresentazione. Si consolarono infliggendo alla squadra tedesca una pesante sconfitta: 3-6. Un mese dopo, la Germania, rafforzata, dopo l’Anschluss, da giocatori austriaci, avrebbe partecipato ai Mondiali in Francia; l’Inghilterra, come capitava dal 1930, sarebbe rimasta a guardare.

Poco più di quattro mesi dopo, il 30 settembre, Neville Chamberlain atterrò all’aeroporto di Heston sventolando un foglio. “Ho portato con me la pace per il nostro tempo”, annunciò il Primo Ministro, reduce dal vertice di Monaco di Baviera quando aveva lasciato a Hitler carta bianca per l’invasione della Cecoslovacchia. Undici mesi dopo, la Gran Bretagna era in guerra. Chamberlain venne travolto dagli eventi per essere sostituito da Winston Churchill, pronto a sostenere quella che venne chiamata l’ora più buia.

Inghilterra e Germania tornarono a  incontrarsi sedici anni dopo, il 1° dicembre 1954, a Wembley e i bianchi sconfissero 3-1 i freschi campioni del mondo, reduci dal Miracolo di Berna. Il 30 luglio 1966, stesso luogo, inglesi e tedeschi si sarebbero trovati di fronte per il titolo mondiale in un clima ben riassunto da un editoriale: “Oggi, a Wembley, si gioca la finale del Mondiali di calcio, il nostro sport nazionale. Vada come vada, in questo secolo li abbiamo battuti due volte nel loro sport nazionale”. Il saluto di Berlino era stato sotterrato sotto tonnellate di macerie e milioni di morti.

 

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