- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Irena, dolce signora della corsa

PDFPrintE-mail

Martedì 3 Luglio 2018

szewinska 2


Ci ha lasciato una delle più grandi in assoluto: per lei una triplice corona mondiale e sette podi olimpici.

 

di Giorgio Cimbrico

La vacatio del direttore – breve, peraltro – capita in giorni densi come il pudding, tempestati come un puntaspilli, dolorosi come il distacco da Irena Szewinska che mi è capitato di mettere sullo stesso piano di Fanny Blankers Koen: se una è stata la Mamma Volante, l’altra è stata la Signora della Corsa, l’eroina polacca, l’interprete di una lunga e vasta parentesi che dalla metà degli Sessanta, l’ha portata a sfiorare gli Ottanta: sette medaglie alle Olimpiadi (tre d’oro), dieci europee (cinque da campionessa), una triplice corona di record mondiali dei 100, 200 e 400 che nessuno mai, prima e dopo, si è sognato di portare in testa, una poliedricità concessa solo a chi è molto grande. Lei lo era.

Prima di scrivere molte pagine di magnifica atletica, Irena dagli allungati occhi orientali aveva sentito scorrere su di sé il pennino della storia: viene alla luce nel ‘46, a Leningrado, in una città stremata da 900 giorni d’assedio. Il padre, ebreo polacco, e la madre, galiziana, avevano trovato rifugio sulla Neva, minacciati dai violenti passi della Marcia verso Oriente del Reich. Irena era la figlia di una fame che aveva trasformato la città in un inferno di lamenti.

Non è semplice scegliere il filo giusto nel gomitolo delle sue imprese. I 400 di Montreal ’76, con quel record del mondo, 49”28, che profuma di contemporaneo, rimangono un caposaldo. Tutto era cominciato in primavera, quando a Dresda la teenager DDR Christina Brehmer aveva demolito il record del mondo in 49”77. In realtà, il confine dei 50” era già stato violato, proprio da Irena: al Memorial Kusocinsky del giugno ’74 aveva chiuso in 49”9 senza che gli organizzatori della classica di Varsavia avessero approntato un rilevamento elettronico.

L’exploit della 18enne Brehmer mise le ali ai piedi della 30enne Szewinska che, poco più di un mese dopo, il 22 giugno, a Bydgoszcz (che ospitava quell’anno il Memorial in onore del campione olimpico fucilato dai nazisti), ritoccò di due centesimi il fresco record. Era normale aspettare, per la finale olimpica di Montreal, uno scontro al calor bianco. Non fu così: con un avvio degno del suo passato di duecentista (23”5), Irena lasciò subito molto lontana Christina. Un intermedio tra i 200 e i 300 sotto i 12” chiuse un’inesistente disfida: Szewinska finì in 49”28 lasciando a 50”51 Brehmer: un secondo e 22 centesimi, un distacco da cronoprologo.

Qualcuno ne parlò come il canto del cigno che aveva volato su molte distanze e molto a lungo, e aveva partecipato all’indimenticabile festival messicano di cinquant’anni fa arrendendosi alle americane Wyomia Tyus e Barbara Ferrell sui 100 ma mettendole in fila nei 200.

La grandezza di Irena, membro del CIO, della IAAF e a lungo presidentessa dell’atletica di Polska, può esser misurata grazie a una collezione preziosa: nessuna o nessuno ha stabilito record del mondo nei 100, 200 e 400, lei sì. Avrebbe anche potuto stringere in mano il poker ma il record della 4x100 venne cancellato quando Ewa Klobukowska non superò il test della femminilità.

I record mondiali sono sette, così come le medaglie olimpiche, in cinque specialità: da giovane, quando gareggiava ancora come signorina Kirszenstein e studiava economia all’università di Varsavia, era anche lunghista di primissimo livello: seconda a Tokyo, dietro a Mary Rand.

Agli Europei di Praga, quarant’anni fa, fu ancora capace di conquistare il bronzo nei 400 e nella 4x400. Era reduce dal suo ultimo capolavoro: un anno prima, a Düsseldorf, prima Coppa del Mondo, aveva domato ancora una volta le DDR Barbel Wockel e Marita Koch, dieci anni più giovani. Chi aveva ambizioni, doveva sempre fare i conti e prendere lezioni da lei, la Signora della Corsa. 


 
L'assalto della Nouvelle Vague

Dedicato a chi aveva detto che con l’autopensionamento di Bolt, sull’atletica sarebbe caduta una coltre di noia spessa come la polvere che copriva la casa degli Usher.

La nouvelle vague dei nati tra il 95 e il 99 è all’assalto dei record più vecchi, sta minando e aprendo crepe sulle antiche gerarchie. In questo gruppo all’arrembaggio, Abderhamman Samba, 23 anni, è il più attempato e interpreta anche colui che è andato più vicino a minacciare il 46.78 di Kevin Young che un anno fa aveva superato le nozze d’argento, diventando il secondo della storia a varcare i confini dei 47, lasciandosi alle spalle Edwin Moses che Rai Benjamin, newyorkese di Antigua e Barbuda, aveva pareggiato agli Ncaa. Samba ha un allusivo nome da titoli e curiose radici: genitori della Mauritania, nascita in Arabia Saudita, passaporto del Qatar. L’anno prossimo, ai Mondiali di Doha, il paese ospitante non ha più un solo alfiere (Barshim) e può prenotare due titoli.

Una bella ondata: Pippo Tortu diventa il primo azzurro sotto i 10 e strappa il record italiano a Pietro Mennea che esce dal club dei 10 dei 200 dopo i 19"69 del sudafricano Clarence Munyai e dell’americano Noah Lyles; grazie a Samba, a Kyron McMaster e a Karsten Warholm i 400hs escono da un lungo letargo; a 20 anni ancora da compiere Juan Miguel Echevarria si avvicina, a voli da gigante (8,66, 8,68, 8,83 ventoso), alla trimurti Powell-Beamon-Lewis; Armand Duplantis, quattro volte oltre 5.90, prenota i 6 metri prima di aver raggiunto il 19° compleanno; Michael Norman, dopo il 43"61, si ritrova davanti soltanto campioni olimpici e primatisti mondiali. L’atletica non muore e non rinasce come la fenice. Non muore e basta. E non annoia.      


Caster contro il tempo

Non più ricorrendo al freno a mano Caster Semenya ha sfiorato – 97 centesimi – il record degli 800, vecchio 35 anni (il più attempato della lista) e in mano a Jarmila Kratochvilova, ancor sotto bandiera cecoslovacca. Senza lepri, tutto da sola, 56 e qualcosa alla campana, 58 e qualcosa nel secondo giro: 1’54”25. Era un po’ incazzata per il nuovo regolamento IAAF sulle atlete dal diverso sviluppo sessuale, contro il quale ha presentato appello al CAS di Losanna? Sarebbe bene domandarlo a lei. In ogni caso, l’obiettivo era lasciare un segno e l’ha lasciato. A questo punto, è una corsa contro il tempo: se entro il 1° novembre scenderà sotto 1’53”28 sarà primatista mondiale. E dopo?

 

 

Cerca