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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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Saro' greve / Quei ragazzi del '68 e il mito della non violenza

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Lunedì 9 Aprile 2018

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Cinquant'anni fa i Giochi del Messico, ma anche (e soprattutto) la svolta per i diritti civili nel nome di Martin Luther King.

di Vanni Lòriga

Questa volta non debbo essere “greve” e cercherò invece di essere “bravo” e soprattutto serio. Non posso infatti dimenticare che mezzo secolo fa, proprio nella prima decade di aprile, avvennero fatti e si verificarono situazioni che sono passati alla storia. Il 4 aprile 1968 a Memphis venne ucciso Martin Luther King, leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani. Il 7 aprile venne dichiarato giorno di lutto nazionale e due giorni dopo si celebrarono i funerali dell’Uomo che era il simbolo della “non violenza”. Parteciparono centinaia di migliaia di persone, così come era già successo il 28 agosto del 1963 a Washington nella famosa marcia che fu eternata con la storica frase: “I have a dream…”

Ci si potrà chiedere cosa c’entri tutto questo con lo sport e con le Olimpiadi. C’entra e come … Ricordiamo tutti che il 1968 fu anche l’anno dei Giochi di Città del Messico nel corso dei quali gli atleti afro-americani che rappresentavano gli USA vinsero, stabilendo anche primati mondiali, le gare dei 100, 200, 400, 4x100, 4x400 e lungo. Ed alcuni di loro, in particolare Tommie Smith, John Carlos, Jim Hines, Lee Evans, Larry James e Ronald Freeman assunsero atteggiamenti polemici durante le cerimonie di premiazione, scalzi e con guanti o baschi neri. Furono severamente criticati e duramente puniti. Come si lega il loro comportamento, certo non ortodosso, alla dottrina di Martin Luther King?

Ce lo spiegarono in varie occasioni sia Tommie Smith che Lee Evans, il tutto con l’aiuto prezioso di Eddy Ottoz che con quei “ragazzi del 1968” ha continui e cordiali rapporti (in questa recentissima foto è ritratto in compagnia di Tommie Smith). Ricordiamo che al Messico Eddy vinse il bronzo dei 110 ostacoli e che terzo fu anche Giuseppe Gentile (con due record mondiali …) nel salto triplo.
 
La protesta che scosse il mondo

I protagonisti di quelle imprese ci ricordano quanto affermo Martin Luther King: “Siamo stanchi di essere segregati ed umiliati. Non abbiamo altra scelta che la protesta. La nostra è una resistenza passiva”. E Smith e Evans ci confermarono che quella di Città del Messico era stata l’unico tipo di protesta che ritenevano positiva.

Li incontrai a Los Angeles 1984, reintegrati nel sistema dopo oltre un decennio di ostracismo. “Ci impegnammo al massimo in gara – raccontarono – e demmo al nostro Paese successi e primati. Ma volevamo segnalare a tutto il mondo, in forma plateale, che non eravamo trattati come gli altri”. All’obiezione che comunque il loro comportamento appariva a molti come Vittimistico, rispondono a tono. La prima lezione di diritto costituzionale viene impartita da Lee Evans con una semplice domanda:

“In Italia quando diventate elettori?”
“Quando compiamo 18 anni.”
“Per voi quindi è sufficiente essere maggiorenni. Da noi non basta. È necessaria la registration. Operazione che varia da Stato a Stato. Non è facile, soprattutto per gli afro-americani e per i latinos. Infatti su 220 milioni di aventi diritto al voto i registrati sono solo 140 milioni”.

Ventuno emendamenti per il suffragio universale

E vengono anche ricordate le vicende del suffragio. Vale la pena riassumerle. Nel 1776 il diritto di voto è concesso ai soli maschi adulti bianchi e, dal 1909, con un certo reddito. Nel 1920 è la volta delle donne, ma sempre bianche e con il pagamento di una tassa e dopo test di cultura. La iniqua poll tax sul voto (che escludeva tutti i poveri) viene abolita solo nel 1964 con il XXIV emendamento e finalmente nel 1971 con il XXVI emendamento si porta a 18 anni l’età per votare.

“Ci vollero 21 emendamenti – scrisse nel 1978 A. Grimes in Democtratic and the Amendments to the Contisitution – per affermare il principio del processo democratico”. Nonostante che già nel 1868 il XIV emendamento avesse stabilito il Civil Right … I “ragazzi del 1968” contribuirono con la loro silenziosa protesta al realizzarsi di questo invocato processo democratico.

“Sfilammo a piedi scalzi – raccontò Carlos in conferenza stampa, come riporta la preziosa Enciclopedia della Gazzetta – per simboleggiare la miseria ed i guanti neri a ricordare i lutti dei neri”.

Grandi passi avanti da allora sono stati compiuti: proprio con la non violenza alla fine si vincono tutte le battaglie, come Gandhi dimostrò. Ne restano altri da fare, soprattutto tenendo presente che la vera discriminazione è quella culturale.

Le migliori università statunitensi erano, sino a poco tempo fa, riservate ai bianchi. E’di questi giorni la notizia che “un ragazzone nero di 17 anni”, tal Micheal di Houston (sappiamo solo che la mamma si chiama Berthinia Rutledge-Brown) è stato ammesso a frequentare una delle migliori venti università statunitensi. Ha solo l’imbarazzo della scelta.

Da parte mia invece sono imbarazzato sul come definire un atleta che non sia bianco. So che non si può usare la parola negro né il giro di parole “atleta di colore”. Definirlo black non è consentito dalla Crusca; così come brother, fratello.

Allora? Diciamo per comodità che sono stati i bravi ragazzi del 1968. Che non erano violenti ma che correvano e saltavano come fenomeni. Il tutto ricordando uno dei sacri principi di Martin Luther King: “Sarei disposto a sacrificare la mia vita pur di aiutare una sola persona”. Questo era il radioso aprile di cinquanta anni fa.

 

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