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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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I sentieri di Cimbricus / Britannici, gentiluomini di fortuna

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Martedì 6 Giugno 2017

bannister 2

di Giorgio Cimbrico

L’altro giorno ho visto un documentario (tra il discreto e il buono, non male in questi tempi di effettacci e effettini) sul raid di St Nazaire: era il 75° anniversario di una delle più spericolate azioni di commando della storia, lanciata dai britannici contro la Fortezza Europa. Obiettivo: far saltare le chiuse del porto francese dove i tedeschi avevano costruito un immenso bunker per gli U-boot piantando la prua del cacciatorpediniere Campbeltown carico di dinamite nella porta della principale via al mare e attaccando le altre installazioni.

Uno degli ufficiali della squadra demolizioni era Stuart Chant che aveva giocato negli Wasps, uno dei più antichi e gloriosi club londinesi di rugby. Così mi sono messo fare una ricerca su un bel libro che avevo comprato proprio a St Nazaire e ho fatto altre scoperte: nel commando c’era Harry Pennington che aveva giocato nel Varsity match Oxford-Cambridge: avrebbe dovuto giocarci anche Ronny Swayne, pure impegnato nell’assalto, ma era stato fermato da un infortunio. Charles Newman, il comandante dei commandos (esisteva anche un comandante per la Navy), viene definito buon giocatore (ma non ho scoperto a quale livello) e dotato di un diretto formidabile che mise in mostra durate l‘addestramento in Scozia.

Che siano sideralmente lontani da noi, non è una novità e queste non sono altro che nuove prove documentali. Tra gli ufficiali, Micky Burn, giornalista al Times e Gerard Brett, conservatore al Victoria and Albert Museum e autore di un libro sull’Impero Bizantino. Tra gli arruolati, David Niven che era tornato in Inghilterra da Hollywood per fare il proprio dovere. Non partecipò al raid e toccò il suolo francese due anni dopo, sbarcando in Normandia. Nel frattempo, aveva avuto un attendente trasandato, grassoccio e molto colto: Peter Ustinov.

Sono molto diversi da noi o, come ha chiosato il direttore di questa testata dopo aver ricevuto un abbozzo, meglio dire che siamo noi ad essere molto diversi da loro. E a provare invidia per quel cocktail di ardimento, snobismo, senso del dovere, curiosità, viaggi in cuori di tenebra o sotto soli accecanti, culto per le buone letture, dubbi, turbamenti, capacità di creare mondi paralleli o immaginari, che ha prodotto Robert Graves, The Lawrence (o d’Arabia), Norman Lewis, Evelyn Waugh, Somerset Maugham, J.R.R. Tolkien, Christopher Isherwood, Paddy Leigh Fermor (che citava Orazio nella caverna sulle montagne di Creta dove teneva prigioniero il generale Kreipe e che qualcuno definì un riuscito incrocio tra James Bond, Indiana Jones e Graham Greenei), i fratelli Durrell (Lawrence poeta, Gerald naturalista, giramondo e gran difensore dei lemuri), David Stirling che rinunciò ad attaccare l’Everest per andare a fondare il Sas e portare lo scompiglio nel deserto del Nordafrica.

Facile farli finire sotto la definizione di cavalieri del sogno. Niente di più falso: erano reali, concreti, spesso doppi nel loro compito, non ben dissimulato, di lavorare per lo spionaggio o per il controspionaggio. A volte, traditori: non venivano Burgess, Kilby e McLean, le talpe del Kremlino, dalle università di élite, dove veniva allevata la ruling class?

A questa schiera, che Hugo Pratt avrebbe arruolato tra i suoi gentiluomini di fortuna, è necessario e piacevole aggiungere il nome di Roger Bannister che, un anno dopo Edmund Hillary, provvide all’ultimo sussulto imperiale in un mondo che stava per avviarsi verso una completa mutazione: se il neozelandese che pareva fatto di corteccia era salito sulla montagna più alta del mondo (offrendo l‘impresa come dono alla Regina che stava per essere incoronata), toccò allo specializzando in neurologia varcare i cancelli dei 4’ nel miglio.

Nei giorni del circense attacco alle due ore nella maratona, il vecchio sir Roger è stato citato sul Guardian come esempio di uno sport e di un mondo spariti per sempre. “La mattina del 6 maggio 1954 andò in corsia per far pratica e il pomeriggio si trasferì a Iffley Road per il suo tentativo”. Quell’immagine, simile a un quadro storico, sovrasta una poltrona su cui spesso siedo: la firma è autentica. Un regalo di cui sarò sempre riconoscente a mio figlio che l’acquistò in un’asta a Cardiff. Quando il pacco arrivò e venne aperto svelando il contenuto, le parole mancarono.  

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