Atletica / I 70 anni (dimenticati) della rifondazione della FIDAL
Martedì 31 Maggio 2016In questi giorni, e con grande enfasi, si celebrano i 70 anni della nascita della Repubblica. Anche l’atletica avrebbe avuto motivo di ricordare (ma l'ha dimenticato) quel fatidico e lontano anno 1946 durante il quale lo sport riuscì a “ricucire” gli strappi che ne avevano lacerano l’organizzazione durante gli anni del conflitto e della guerra civile. Fu Bruno Zauli – rientrato al CONI a fianco di Giulio Onesti col primo governo democratico voluto dagli Alleati – ad avviare quella riunificazione, stilando per la FIDAL un nuovo statuto che venne adottato da tutte le altre federazioni che, via via, andavano risaldando la loro unità.
Queste righe costituiscono l’incipit del capitolo XXIII (titolo: “Quel mirabolante viaggio verso Oslo”) del volume: “Bruno Zauli, il più colto uomo di sport” di Gianfranco Colasante (edito da Garage Group Srl per la “Collana di Storia e Cultura sportiva” (pag. 500, di cui 16 di foto, formato 15x21, ISBN 978-88-90-916618).
“Il 10 gennaio 1946 (un giovedì) Zauli convocò a Bologna un tavolo di trattativa, definito “commissione paritetica”, per preparare il primo congresso del dopoguerra, quello della riunificazione tra Nord e Sud dell’atletica, aperto a quanti, atleti e dirigenti, erano sopravvissuti alla guerra e stavano vivendo un disastroso dopoguerra. Si trattava dell’atto conclusivo di una paziente tessitura tra la reggenza romana (Gaetano Simoni) e il commissariato Alta Italia nominato dal CLN (Angelo Vigani) che Zauli aveva portato a termine con un paio di avventurosi viaggi a Milano. Nel secondo, incontrò per la prima volta Brera, appena arrivato in Gazzetta, che lo intervistò sul presente e il futuro della federazione. Quell’articolo segnò la nascita di un rapporto di stima reciproca, mai interrotto.
I contatti con Angelo Vigani – pioniere degli ostacoli, anima portante dello SC Italia, esponente del Comitato di Liberazione, sia pure non di prima fila – non erano stati facili, considerata la storia personale di entrambi. Zauli aveva incontrato una prima volta Vigani a metà agosto del ’45, stabilendo a fatica un calendario per la ripresa dell’attività, pur dovendo concedere di malavoglia un campionato Alta Italia che si tenne a Genova a fine settembre. Malgrado il poco tempo disponibile, venne stabilito che gli Assoluti femminili si svolgessero a Torino (18 settembre) e quelli maschili a Bologna (13/14 ottobre). In seguito, tirato da più parti, Vigani tentò di rimettere in discussione l’accordo, ma alla fine risolse di tener fede alla parola. In quel modo, gli anni della guerra portarono via all’atletica solo la rassegna tricolore del 1944. Un piccolo miracolo.
Con tali premesse, al traguardo della riunificazione la FIDAL arrivò, se non prima, tra le prime (la prima federazione a riunificarsi fu la FIGC). Lo schema era stato lo stesso di quello già utilizzato dal CONI. I lavori li aprì Zauli, in veste di segretario facente funzione. I convenuti erano sei notabili di antica militanza: Diana, Vincenzo Ferrario e Stancari per il Nord; Mattei, Massimi e il napoletano Mollichelli per il Centro-Sud. Uomini che si conoscevano molto bene e che nell’atletica avevano il comune collante. La riunione scivolò via senza intoppi, condotta con mano salda da Zauli che trovò modo di appianare facilmente le scarse e civili divergenze.
Vennero stabilite le modalità per la partecipazione all’assemblea, i voti, le deleghe. L’ordine del giorno del congresso – che si tenne a Firenze nelle giornate del 17 e 18 marzo – prevedeva l’approvazione dello statuto, l’elezione del presidente e, subito dopo, del consiglio direttivo. Erano invitate tutte le società affiliate entro il 30 novembre 1945: se ne contavano 399. Si andava dalle 84 della Lombardia alle 27 della Sicilia. Nove appartenevano alla martoriata Venezia Giulia, il cui territorio era stato diviso a metà. Considerate le difficoltà per raggiungere Firenze, con “viaggi lunghi, dispendiosi, disagiati”, causa le condizioni penose dei collegamenti e dei trasporti, i presidenti dei Comitati Regionali avevano facoltà di rappresentare per delega le società della propria zona.
Chi erano i presidenti di quei Comitati, rinati un po’ in sordina, finalmente eletti e non più nominati? Tutti uomini dell’anteguerra. Se la forza della federazione (di allora) risiedeva nella continuità, toccava ai vecchi dirigenti mettere mano alla ricostruzione, con “sacrifizi di grado così elevato”, da non poterli superare “con la sola passione sportiva”, come scrisse Zauli.
Questi i loro nomi, riportati secondo la data di elezione:
Ottaviano Massimi (Lazio, 2 agosto ‘44), Dante Martino (Sicilia, 10 gennaio ‘45), Antonio Mollichelli (Campania, 4 marzo ‘45), Giosuè Poli (Puglie, 6 giugno ‘45), Salvatore Pica (Lucania, 24 luglio ‘45), Giulio Mattei (Toscana, 22 settembre ‘45), Angelo Loddo (Sardegna, 23 settembre ‘45), Filippo Mundo (Calabria, 11 dicembre ‘45), Francesco Diana (Piemonte, 15 gennaio ‘46), Eletto Contieri (Venezia Giulia-Friuli, 15 gennaio ‘46), Emilio Mori (Abruzzo e Molise, 25 gennaio ‘46), Elio Buldrini (Emilia, 25 gennaio ‘46), Ferrando Fortunati (Marche, 25 gennaio ‘46), Vincenzo Ferrario (Lombardia, 25 gennaio ‘46), Giulio Fozzer (Trentino, 25 febbraio ‘46), Aldo Pennacchi (Umbria, 25 febbraio ‘46), Luigi G. Origo (Liguria, 13 aprile ‘46), Gianni Montobbio (Veneto, 19 aprile ’46; Montobbio si dimise quasi subito: a sostituirlo, dopo un breve intermezzo di Daciano Colbachini, a maggio venne eletto Bruno Grassetto).
Il congresso della riunificazione, e della prima FIDAL democratica, si tenne nella sede del C.R. toscano, allora in via Ricasoli 40, con inizio alle ore 10 del 17 marzo. Aperto sotto la presidenza dell’on. Arrigo Paganelli (Onesti aveva declinato per non creare un precedente dopo i fastidi incontrati con il ciclismo ch’era stato costretto a commissariare), si svolse in un clima di eccitazione, ma di sostanziale concordia. Un applauso accomunò Simoni e Vigani, dopo che, in apertura, avevano dato lettura delle rispettive relazioni, che vennero pubblicate su Atletica.
Alla presidenza fu ovviamente acclamato Zauli, che aveva ideato e stilato il primo statuto “democratico”, uno schema che il CONI aveva adottato e diffuso alle altre federazioni. Il primo a congratularsi fu Alessandro Frigerio, commissario conservatore del CLN; la lettera di compiacimento di Onesti giunse un mese più tardi. Roghi gli scrisse: “Tu sei da molti anni un appassionato, un organizzatore, un cervello e un signore dello sport, e il successo ti si addice.” Da Torino gli scrisse un biglietto anche l’indomito Marcello Garroni, col solito tono goliardico e beffardo: “Ne sono proprio felice e non ti faccio le congratulazioni di rito essendo logico e doveroso che si affidassero a te ed a nessun altro le sorti del più complesso e disinteressato – fino a quando? – settore sportivo.”
Quali vicepresidenti vennero eletti Giuseppe Alberti e Dino Nai, due veterani. La carica di tesoriere fu affidata a Massimi. Nel C.D. entrarono Nicolò Bertagnoni, Elio Buldrini, Eletto Contieri, Ernersto Delucchi, Francesco Diana, Lino Grigliè, Dante Martino, Giulio Mattei, Giosuè Poli, Gaetano Simoni, Angelo Vigani. (Solo ad ottobre l’evanescente Giovanni Guabello, recuperato nel gruppo, verrà nominato segretario generale). Infine, all’unanimità e con un po’ d’emozione, Roma venne confermata quale “sede perenne” della federazione. Zauli aveva vinto la sua battaglia – avviata nell’autunno del ’43 – e riportato in vita la federazione. Ma senza rinunciare alla sua storia.
Se è vero che la vita comincia a quarant’anni, per la FIDAL – fondata nel 1906 – quell’assemblea segnò davvero un nuovo inizio. Di lì a poco, nel mese di aprile, tornò in possesso dei modesti locali sotto le scalinate dello Stadio, “finalmente deriquisito dalle autorità militari” alleate. Si poteva ripartire. Anche se in cassa, a conti fatti, c’erano poco più di ottantamila delle svalutate lirette del tempo. Per avere un termine di paragone, si può rammentare che in quel primo dopoguerra un litro di vino costava 70 lire, un chilo di pane (sempre con la tessera) non meno di venti, per un paio di scarpe ce ne volevano più di duemila. Un operaio non arrivava a trentamila lire l’anno, per una bicicletta ne occorrevano circa ventimila, una “Topolino C” era addirittura in vendita a 720.000 lire.
Grazie a “un piccolo matrimonio con il bollettino dei cronometristi”, nel gennaio 1946, dopo una sosta di due anni e mezzo, aveva ripreso le pubblicazioni Atletica. Si trattava di una sola pagina, dal formato ridotto rispetto a quello imperiale degli anni precedenti. Per la prima vola in molti anni, quel giornalino non l’aveva pagato di tasca propria Zauli. Il quale, nel breve editoriale, aveva scritto: “I tempi sono duri, le finanze scarse, e quindi bisogna adattarsi alla momentanea situazione. Anche poche parole bastano talvolta a cementare l’armonia dell’ambiente federale, a suscitare l’interesse sui maggiori problemi, a diffondere notizie utili.” Assieme al provvisorio indirizzo federale – via Santa Eufemia 19, lo stesso del CONI – il primo numero portava l’indicazione di anno XII. L’ultimo precedente, uscito nel luglio ‘43, recava l’indicazione XI.
Una continuità apparente, ma non di sostanza. Dei trenta mesi di angoscia e di dolore che dividevano i due giornali non c’era traccia. Ma ne restavano gli effetti devastanti. Tanto che con un garbato senso della realtà, dove il pudore cedeva alla necessità, si invitavano quanti volevano, o potevano, a “versare le loro offerte volontarie” per dare seguito a quella modesta iniziativa editoriale. Tra i primi contributi arrivarono le 100 lire di Bruno Bonomelli e le 200 di Giosué Poli, due uomini in seguito separati da una rivalità insanabile (a 500 lire ammontava il contributo di Zauli).
Per chiudere il tema pubblicistico, si può ricordare che il 6 gennaio di quell’anno era apparso il primo numero di Atletica Laziale, il giornale del comitato regionale diretto da Massimi, quattro pagine contro le due dell’omologo federale. In prima, un articolo sulle … campestri dell’ex granatiere Matteucci, appena rientrato dalle spiagge della Corsica. Nell’editoriale, affidato a Cate Messina, si leggeva: “L’atletica leggera è lo sport che può radunare trecento uomini su un campo e trenta sulle tribune.”
Vero anche ai giorni nostri.
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