Italian Graffiti / Grandi eventi e rispetto delle priorita'

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Mercoledì 19 Giugno 2019

 

napoli

 

Organizzare, che passione! Una vocazione che da noi pare irrefrenabile, in contrasto stridente con le condizioni economiche/sociali del Paese. Da questa ottica, le ambizioni per i Giochi 2026 costituiscono solo un aspetto.

 

Gianfranco Colasante

 

Come è noto, il prossimo 24 giugno, un lunedì, dall'urna di Losanna uscirà il nome della prescelta (da Thomas Bach?) tra Milano e Stoccolma, località cui toccherà l'onere dei Giochi Olimpici del 2026. Quasi un gioco del cerino, considerate le diverse situazioni di cassa tra il nostro e il paese dalle ombre lunghe - per non parlare di valutazioni storico/tecniche - che dalle nostre parti consiglierebbero quanto meno l'approntamento di un Piano-B. Vedremo come andrà: ma tant'è, la frenesia che da almeno un quarto di secolo muove i massimi dirigenti del nostro sport si traduce in una ossessiva necessità ad organizzare. Vocazione che di norma si arresta al primo tempo.


Gli esempi recenti sono a portata di mano. Si va dal golf (Ryder a Roma) al tennis (Masters a Torino), non proprio discipline da periferie, poi Mondiali ed Europei in ordine sparso neppure avessimo il PIL della Svezia, fino alla candidatura di Taranto [sic!] ai Giochi del Mediterraneo o alla bizzarria delle Universiadi che tra una ventina di giorni si apriranno a Napoli. Alla modica cifra di partenza di 170 milioni messi sul tavolo dalla Regione Campania per una città - come ricorda un report del Corriere della Sera (10 giugno) - che per i quasi sei milioni di eco-balle inevase è costretta a pagare all'UE una multa GIORNALIERA di 120.000 euro dopo aver dovuto versare 20 milioni una tantum.


I più maligni ricordano (dati rilevati dal Ministero delle Finanze a fine 2018) che il Comune di Napoli ha debiti verso i fornitori pari a 466 milioni 738.399,39. In queste condizioni ci sarebbero altre priorità, ma pare proprio di no. Risolto il problema degli alloggi ancorando due navi da crociera nel porto, con quel che ne consegue in termini ambientali e di traffico, che Universiadi siano.


Voi direte, ma che c'entra? Provo a spiegarmi. C'è un filo rosso che unisce tutte queste iniziative. La mancanza comune di un piano di programmazione e di bilanciamento delle "ricadute". Meglio dire, quell'insieme di elementi che dovrebbero presiedere alla valutazione, non tanto di costi e benefici, esercizio pur importante se non proprio decisivo, quanto dell'impatto di ciascun evento a tempi medio-lunghi, economico e produttivo ma anche culturale e infrastrutturale, in senso lato di rigenerazione urbana.


Cioè, il bilanciamento tra quanto si investe (ripeto, non solo in soldoni) e ciò che alla fine rimane come eredità per la città e per il suo territorio. Una esigenza di cui si è convinto anche il cinico Bach proponendo la costituzione di una fondazione in ogni città sede di Olimpiade che continui a far "vivere" l'evento e se possibile ne amplifichi l'impatto. Un po' come è avvenuto - su iniziativa privata - per Los Angeles 1984. Si dovrebbe partire, a quanto si sa, da PyeongChang, sede degli ultimi Invernali, ma dalle nostre parti non se ne è accorto nessuno.


In questa direzione, un contributo lodevole (sicuramente inedito anche se parziale) lo ha fornito un convegno tenuto a Fabriano nei giorni scorsi. Tema: il rapporto tra grandi eventi internazionali e le città che li hanno ospitati negli ultimi quindici anni. Non solo in termini sportivi, anche se poi l'interesse si focalizza più facilmente sulle Olimpiadi (Torino 2006, Vancouver 2010, Londra 2012 i casi esaminati), ma anche sul G8 all'Aquila nel 2009, sull'Expo a Milano nel 2015, sui Mondiali di sci alpino di Cortina nel 2021.


Il convegno, tenuto nell’ambito della XIII Conferenza annuale delle città creative UNESCO, è stato animato da Mario Kaiser (principal designer advisor dei Giochi di Londra 2012 e consulente per Milano Expo), Renato Quaglia (European Festival Association EFA-AEF e Fondazione FOQUS), Susanna Sieff (Sustainability & VIP Hospitality Fondazione Cortina 2021), Sonia Pallai, consulente per il Centro Studi Turistici Firenze. Al centro la presentazione del libro "Event-able, Host cities of world events", analisi dedicata al rapporto tra gli eventi mondiali e le città ospitanti, "con particolari ricadute sull’eredità e la trasformazione fisica dei luoghi". Ultimo esempio virtuoso: pensate a Roma e ai Giochi del 1960.


La pubblicazione esamina alcuni casi italiani di livello internazionale, 20 delle 79 grandi manifestazioni analizzate, con dati consultabili sulla piattaforma https://event-able.org. Così si rileva un notevole impatto per Genova, nel 2004 capitale europea della cultura: a fronte di 38 milioni di investimento e 2,8 milioni di visitatori, il ricavato è valutabile in circa 250 milioni. Meno brillante il riscontro per Milano Expo: per 721 milioni di euro spalmati in sei anni, i ricavi non hanno superato i 736 milioni.


In chiave olimpica, risultano meno confortanti - anzi, negativi - i dati finali su Torino 2006 che sottolineano ancora una volta come sia stato deturpato "il versante di San Sicario senza nessuna sicurezza sulla gestione futura di Pragelato". Ricadute non solo ambientali, alle quali si potrebbero aggiungere valutazioni diverse, non dimenticando la triste sorte toccata al Villaggio Olimpico.


Come tutti gli studi, anche su questo si possono avanzare interrogativi e riserve. Ma resta indubitabile che accurate analisi preventive potrebbero evitare brutte sorprese. Non so se si possa leggere in questa ottica il Comitato dei Sette nominato a Palazzo Chigi dal sottosegretario Giancarlo Giorgetti, uomo di pensiero e di governo, sempre difficile da attaccare sul piano delle idee. Ma è indubbio che un po' d'ordine nella materia delle "organizzazioni" più che opportuno, appare necessario. Non fosse altro che per il rispetto dovuto alle città coinvolte e ai loro abitanti.