Italian Graffiti / Se non vi basta una candidatura, eccovene tre

Print

Venerdì 6 Aprile 2018

go-2026-1

Lo scorso 31 marzo si sono chiuse le candidature ai Giochi 2026: senza imbarazzo alcuno il CONI ne ha presentate tre.
 
di Gianfranco Colasante

Martedì scorso il CIO ha reso noto l'elenco delle città candidate ad ospitare i Giochi Invernali del 2026, la sola casella rimasta ancora vuota fino al 2028. Dal punto di vista di Losanna, si tratta di un innegabile successo, in tempi di carestie e di scarso appeal olimpico è certo un raccolto copioso. Dal momento che nella rete di Thomas Bach sono imaste impigliate, volenti o meno, sette città. I cui cittadini, nella gran parte del casi, neppure lo hanno saputo o, meglio, non ne sono stati pienamente edotti. Per mettere allora un po' d'ordine, partiamo dalle località che sono state presentate dai rispettivi Comitati Olimpici: Calgary (Canada), Erzurum (Turchia), Graz (Austria), Sapporo (Giappone), Sion (Svizzera), Stoccolma (Svezia) e, sempre per distinguerci e senza senso del ridicolo, ben tre città italiane: Milano, Torino e la rediviva Cortina d'Ampezzo, un triplete come non era mai accaduto prima ad alcuna latitudine.

Anche se il CONI - l'ente proponente - ha provato ad imbrogliare le carte presentando come un'unica sede l'accoppiata Milano/Torino (nel suo comunicato ufficiale, spudoratamente la definisce "città Milano/Torino"). Costretto poi a fare rapida marcia indietro per imbarcare anche Cortina, sotto l'incalzare del potente governatore leghista del Veneto, Luca Zaia. Ce n'è a sufficienza per dare un'immagine un po' confusa della proposta che, come al solito non tiene conto nè dell'interesse dei cittadini coinvolti nè nelle possibili spese che dovranno sostenere, quanto meno di un progetto organico. Che, comunque la si voglia rigirare, dovrà conteggiarsi in nuovi miliardi (che non ci sono) da impegnare a carico delle future generazioni.

Un'analisi molto articolata sullo stato dell'arte l'ha fatta in queste ore Robert Livingstone che nel documentato GamesBids ha preso in esame tutte le proposte. Con riscontri poco confortanti per il CIO. Partendo dalla considerazione che nei desiderata di Bach - dopo due edizioni asiatiche - toccherebbe ora all'Europa ospitare gli Invernali che qui mancano da vent'anni. Ma, ... e non è sbagliato dare un'occhiata a quanto accaduto in passato, nel mare profondo tra intenzioni (di pochi) e realtà quotidiane (dei più) naufragano molte ambizioni. Come è capitato per il 2022 quando tra ritiri e rinunce nelle mani del CIO sono rimaste alla fine solo Pechino e Almaty, la sperduta capitale del Kazakhistan.

Fermandosi poi ad esaminare le possibilità europee, Livingstone ricorda come per Stoccolma il sindaco Karin Wanngard abbia già fatto notare che non si sono fondi e che, comunque, bisognerà attendere le elezioni politiche di ottobre per avere risposte più certe. Stoccolma, tanto per ricordare, fu la prima località a ritirarsi dalla corsa per il 2022.

Quanto a Graz e al suo comprensorio, va ricordato che i cittadini avevano già respinto lo scorso anno la proposta di Innsbruck. Le cose vanno un po' meglio per la città austriaca, anche se è già stato proposto dai partiti della sinista un referendum per cancellare la candidatura. In ogni caso, malgrado la grande vocazione "invernale" della Stiria, tutto dovrà filtrare attraverso lo studio di fattibilità che verrà presentato a giugno. Ma, per quanto se ne percepisce, non sembra che spirino venti favorevoli.

Resta la minuscola Sion, capitale del Vallese svizzero, località che sul piatto può gettare una serie di infrastrutture e impianti già pronti e, soprattutto, una collaudata familiarità con gli sport invernali. Basterà? Pare di no. Fonti di stampa riferiscono di un generale disinteresse, alimentato dal timore di spese insostenibili. Tanto che è già stato fissato un referendum per il prossimo 10 giugno, sempre che non sia il parlamento federale a chiudere la pratica. Anche se va detto che a Bach non spiacerebbe proprio - a coronamento della sua inevitabile rielezione - assegnare almeno un'altra edizione olimpica al paese che ospita da un più d'un secolo la sede del CIO e che l'ultima l'ha avuta nel lontano e cencioso dopoguerra.

Restano le tre località italiane, pur sempre in Europa. Con un raccordo molto meno agevole di quanto racconti la stampa rosa del nostro paese, da dove è scomparsa da tempo qualunque voce dissonante o critica. Dopo aver ricordato meriti e demeriti, Livingstone opportunamente rammenta che in Italia si sono avute da un mese le nuove elezioni politiche: che, mi permetto di dire, - se pure difficilmente porteranno a un governo in tempi brevi - hanno profondamente mutato le prospettive a breve e lungo termine. In pochi lo ha notato, ma oltre l'80% degli elettori si è espresso contro il partito (il PD) che ha governato negli ultimi nove anni e a cui il CONI di Giovanni Malagò ha guardato con sempre crescente simpatia, srotolando periodicamente il tappeto rosso sotto i piedi dei vari Napolitano, Letta (Enrico, l'altro era già in casa), Renzi, Lotti, Gentiloni, ecc.

Vedremo come se la caverà ora il CONI che sull'altare delle varie candidature olimpiche da almeno vent'anni ha bruciato molte energie e denari (se non sbaglio, sono ancora in corso le cause risarcitorie per la candidatura 2020 "stoppata" dal professore Mario Monti che il meglio di sè, da commissario dell'UE, lo aveva dato quando spiegò che lo stesso calcio italiano andava fermato).

C'è poi un dettaglio non trascurabile. La scelta della città olimpica 2026 il CIO la farà nel settembre 2019 a Milano. E, in base alle norme vigenti, in quella Sessione non potrà designarsi una delle città italiane. E allora? Ci viene in soccorso la solerte stampa rosa informandoci che il problema non sussiste: se le regole non ci piacciono o ci danneggiano, si cambiano. Semplicemente. Sottacendo che i membri del CIO degli altri paesi interessati potrebbero non essere d'accordo e, soprattutto, che il nostro peso politico all'interno dell'organismo olimpico è oggi di poco superiore al nulla.

Ma che ci importa? Quel che conta è sognare. Tanto, mica paghiamo noi.