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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Piste&Pedane / Tendenze dell'atletica nel terzo millennio

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Lunedì 27 Giugno 2022


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La velocità di cambiamento delle nostre società non può che coinvolgere gli sport, intervenendo sulle regole che ne costituiscono tradizione e garanzia. Siamo proprio certi che questo sia un vantaggio o non piuttosto un rischio?

Massimo Magnani

Era il 25 giugno del 1972 –, 50 anni fa esatti, quando Renato Dionisi, grande atleta e personaggio mai banale, portò a 5.45 il record italiano maschile di Salto con l’Asta, prestazione allora ai vertici mondiali della specialità. L’occasione fu il meeting della Quercia di Rovereto, ancora oggi uno dei Meeting più importanti della nostra atletica. Era il 18 giugno 2022 –, quindi qualche giorno fa –, quando Roberta Bruni ha migliorato il record femminile dell’Asta femminile, a Barletta, nel magnifico scenario del Castello della Città, conosciuta per la famosa Disfida e per le gesta dell’indicabile e indimenticato Pietro Mennea.

Cinquanta anni, tanto tempo, ma anche tante altre differenze fra quell’atletica e quella dei giorni nostri. Differenze e diversità che hanno segnato anche una certa e centrata evoluzione, ma anche segnali di un’atletica che, pur nel tentativo ancora in atto di portare una certa innovazione, sembra fare fatica a trovare nuove identità

Non sono proprio un pischello, ma neppure uno che non guarda al futuro nel segno di un rinnovamento vero, ma che non snaturi il senso, la storia e la tradizione del nostro sport, ma da addetto ai lavori e da appassionato, non posso non osservare diverse contraddizioni che accompagnano oggi il mondo dell’atletica.

Il fattore economico è uno dei temi centrali, ma utilizzato come fine, rischia di far perdere di vista la natura, la storia e la tradizione della nostra disciplina.

Ci si trova, di fatto, di fronte a campionati istituzionali (Europei, Mondiali, Olimpiadi) che producono molti ascolti, moltissimo interesse e la visibilità anche fra i non addetti ai lavori, ma ci si trova anche ad assistere a One day Meeting (Diamond League e/o altri esempi similari) che fanno fatica a trovare la giusta attenzione (indici di ascolto molto bassi e quasi esclusivamente gli spettatori consueti).

Meeting con regole strane o non sempre comprensibili che, a volte, non consentono a chi guarda di capire chi sia il vero vincitore (concorsi, nella fattispecie) o a specialità che –, in nome del portare l’atletica verso la gente –, si tengono in location, apparentemente suggestive (Parchi, Stazioni, Musei, ecc, …), ma che attirano a mala pena gli addetti ai lavori o un pubblico interessato solo momentaneamente, o casualmente, a quella prova e che comunque, poi, non va allo stadio a vedere le altre gare.

Location, va detto, che costano soldi, per la predisposizione di impianti e pedane e non producono nemmeno le risorse per coprirne i costi della preparazione, … Location per le quali sono state adeguate anche le norme di installazione e di omologazione delle pedane, ma che di fatto non rendono uniformi le condizioni di gara e quindi le prestazioni (si pensi alle pedane sopraelevate e quindi più elastiche per i salti, per esempio).

Questo fenomeno è ancora più evidente nelle corse su strada, dove le etichettature delle gare sono ormai all’ordine del giorno: quindi, un’opportunità di incoming e da tempo non vige più la regola delle Migliori Prestazioni Mondiali, ma dei veri e propri Record del Mondo, per prestazioni che non sono fra di loro totalmente confrontabili. E’ vero che i criteri e le procedure per la misurazione, certificazione ed omologazione dei percorsi (ma anche delle pedane dei concorsi al di fuori dagli stadi) sono uniformi e sono le stesse in tutto il mondo, ma quante e quali altre variabili, climatiche, ambientali, umane, tecnologiche e di interesse entrano in gioco a differenziare una prestazione dall’altra?

Senza parlare poi delle nuove tecnologie nelle attrezzature, scarpe in particolare. Sia chiaro che nessuno vuole fermare il progresso tecnologico o il miglioramento delle performances, ma come è possibile mettere a confronto prestazioni ottenute con una tecnologia realmente a disposizione di tutti, con quelle conseguite con innovazioni non disponibili per tutti o con scarpe che non davano alcun vantaggio?

Solo qualche spunto di riflessione: qualcuno ha mai considerato che quando gli atleti vestono le maglie delle Squadre Nazionali, l’audience televisiva aumenta? E allora perché non rinforzare questo ambito? Ancora: la politica delle più importanti aziende produttrici di prodotti sportivi prevede abbigliamento uguale per tutti coloro che sono sotto contratto con loro, rendendo, di fatto, irriconoscibili gli atleti, in particolare quelli africani nelle gare di mezzofondo o gli sprinter nella velocità. Non si potrebbe tornare a vestire le maglie dei propri club, magari sponsorizzate? Può darsi che riconoscendo meglio gli atleti, ci si “fidelizzi” un po' di più.

In tutte le tappe dei meeting più significativi, il campo dei partecipanti è (quasi) sempre lo stesso, facendo perdere di fatto il significato dello scontro diretto, in particolare quando poi gli stessi atleti si ritroveranno nelle competizioni istituzionali. E ancora, possibile che non si possano correre gare di 10.000, ormai ridotte al lumicino nel calendario internazionale (e di qualsiasi paese), perché lunghe e noiose (???), ma che, invece, offrono molta visibilità a chi acquista pubblicità interna allo stadio, visto che gli atleti percorrono la pista per molti giri? E’ possibile che in nome della stessa (pubblicità) si debba dedicare un “minutaggio” minimo alle dirette dei concorsi, ma ci si deve arrangiare con le differite (le pedane non sono mai nei pressi della cartellonistica, …)?

Non credo si tratti di essere puristi, ma piuttosto sembra che la necessità sia prima di tutto quella di promuovere e “vendere” il prodotto e di adeguarsi al mercato, trasformando, in questo modo, l’atletica in un grande supermarket.

E’ davvero credibile uno sport come il nostro? Questi nuovi criteri avvicinano davvero, o piuttosto allontanano, gli appassionati e soprattutto, ne attraggono di nuovi?

Sembra che questo non dispiaccia a chi ha interessi personali, aziendali ed economici che, anzi, continua a spingere in questa direzione, in barba alla natura, allo spirito e alla sacralità decretata dai Padri Fondatori dell’atletica. Quella vera, quella che è stata un modello per gli altri sport e da sempre ha ispirato – o dovrebbe ispirare – soprattutto le nuove generazioni.    

 

 

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