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I sentieri di Cimbricus / Una storia esemplare

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Mercoledì 11 Maggio 2022


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Il duello tra Gian Marco Tamberi e Mutaz Barshim ricomincia da Doha, prima tappa della DL, dove il fuscello, fortunato incontro di sangue qatariota e sudanese, è nato e dove il marchigiano, dall’aspetto di eroe romantico, si sente a casa.

Giorgio Cimbrico 

“Sono andato al matrimonio di Mutaz, quest’inverno mi sono allenato a Doha e ho sempre provato la sensazione di essere il benvenuto”. Gimbo, un po’ Lord Byron, un po’ Tamberi d’Arabia.  “Non siamo più amici, siamo fratelli”, confessa Tamberi svolgendo un nastro che non si ferma a quel che capitò nove mesi fa allo spontaneo accordo di Tokyo, ma allunga le sue spire lontano nel tempo, sino ai Mondiali under 20 di Moncton, Canada.

Da ragazzi a campioni maturi: Barshim, che conduce 10-4 negli scontri diretti, toccherà tra non molto i 31 anni, Tamberi – con quel carattere, inevitabilmente nato sotto il segno dei Gemelli – i 30. Quell’intesa, diventata abbraccio, è il simbolo di una volontà di non soccombere a quelli che Amleto chiamava gli strali della sorte: un legamento della caviglia strappato, come una cima in una tempesta, una sentenza di fine carriera annunciata e evitata, un doppio ritorno, un doppio trionfo. La via della fratellanza imboccata e percorsa. 

“Tutti quelli che incontro vogliono confidarmi cosa stavano facendo in quel momento e le sensazioni che hanno provato, sino alla commozione, alle lacrime”, racconta Barshim. Una volta quel momento sarebbe diventato una t-shirt, come il podio dei pugni chiusi a Mexico ’68; oggi è un’immagine incisa nella memoria di chissà quanti smartphone, da affiancare a un altro abbraccio, quello tra Tamberi e Marcell Jacobs, uno dei magic moment dello sport italiano e di un’atletica che non vede più la carrozza trasformarsi in zucca. 

Salteranno in alto, molto in alto? Nessuno dei due sa quanto. L’improvvisazione è un’arte più italiana che qatariota: il 2.31 di Belgrado è una prova solida. Dopo il secondo faccia a faccia (il 9 giugno, al Golden Gala, “in un Olimpico che voglio pieno”, ordina Tamberi il motivatore, il tribuno), l’obiettivo è il Mondiale di metà luglio a Eugene, Oregon, dove sette anni fa Barshim è già schizzato a 2.41. Per lui sarebbe il terzo titolo di fila, per Gimbo il completamento del Grande Slam nella combinata tra campionati all’aperto e al coperto. 

E’ una storia esemplare, che va avanti da tempo e che prevede la continuazione di un monopolio: senza russi, senza il bielorusso Nedasekau, abile giocatore d’azzardo, il cerchio si stringe, allargabile, oggi, solo al piccolo coreano Sanghyeok Woo. E l’ipotesi di assalti a inusitati empirei è remota. 

Tamberi ammette che un approdo può essere rappresentata da 2.40 (meglio non nominare i 2.41 che gli furono fatali quella sera bella e crudele a Montecarlo), per entrare a far parte di un circolo di cui fanno parte 17 membri: quattro russi (Ivan Ukhov, Vyacheslav Voronin, Aleksey Dmitrik, Danil Lysenko, il primo e il quarto finiti nelle panie del doping), tre ucraini (Rudolf Povarnitsyn, Bohdan Bondarenko, Andryi Protsenko), due svedesi (Patrik Sjoberg, Stefan Holm), due americani (Hollis Conway, Charles Austin), un kirghizo (Igor Paklin), un tedesco (Carlo Thranhardt), un romeno (Sorin Matei), un canadese (Derek Drouin), un qatariota (Barshim, appunto) e un cubano, quel cubano, giunto ormai a poco più di dodici mesi dal trentesimo anniversario del volo di Salamanca oltre 2.45, bis di un altro record del mondo centrato sempre nella vecchia Castiglia cinque anni prima, due centimetri più in basso: tra l’88 e il ’94 Javier Sotomayor raccolse e offrì otto prestazioni tra 2.45 e 2.41. 

Nella galleria storica delle prestazioni che hanno lasciato un profondo segno i tardi anni Ottanta e la prima parte dei Novanta fanno la parte del leone e il grafico del nuovo millennio mostra sussulti specie tra il 2014 e il ’15 quando Barshim si avvicina come nessun altro a Sotomayor (2.43 e sei prestazioni tra questo vertice e 2.41) e il bizzarro Ukhov e il filiforme Bondarenko approdano un centimetro più in basso. 

La sensazione è che il giorno in cui un uomo salterà 8 piedi e un pollice, 2.46, sia ancora lontano. Così come per la barriera, un tempo accarezzata, dei 9 metri. Per un altro tipo di salto, da quando è arrivato in scena Armand Duplantis, ogni previsione è possibile. 

 

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