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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Duribanchi / Il vantaggio di essere impopolari

Martedì 19 Ottobre 2021

 

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“Vi racconto quello che mi è capitato una settimana fa e che mi ha confermato che gli oggetti hanno un’anima. E che se persevererai nel cercarli, alla fine ‘ti troveranno’. Dunque, compro da un antiquario un dipinto con dei giocatori di carte, …”.

Andrea Bosco

Nel paese dei terra-piattisti forse apparirà normale che metà dell’elettorato avente diritto non vada a votare. E che i sindaci designati rappresentino poco più della metà, di quanti hanno votato. Accade di tutto nel paese dei terra-piattisti: anche che venga resuscitata la “strategia della tensione”: Ma anche che il “pericolo fascista” sembri immanente come negli anni antecedenti a quelli di “piombo”. I no eccetera sono “neri” e sono “rossi”. Sono anarchici e sono “antagonisti”. Dovrebbero frequentare le patrie galere e viceversa scorrazzano liberi.

E visto che nessuno intende “obbligarli”, né a vaccinarsi e neppure a non rompere le palle al prossimo, finirà che in un modo o in un altro i famosi “tamponi” il governo li pagherà. E quando accadrà, io, comune cittadino che sono terrorizzato dagli aghi ma che mi sono vaccinato due volte e mi sono poi fatto rilasciare il green pass, io che mi sono sobbarcato complessive tre ore di fila, che ho avuto due volte la febbre come conseguenza dell’iniezione, che ho avuto dolori per almeno tre giorni annuncio quello che un bravo cittadino non dovrebbe mai annunciare.

E vale a dire (considerato che il governo dell’eccellente Mario Draghi mi tratta da idiota, mi discrimina e non riesce a tutelarmi dai terrapiattisti) che questo idiota è deciso a disubbidire: a 360 gradi. Evito i dettagli: quelli dovranno scoprirli. Se ci riusciranno. Sarà il mio modo di ribellarmi alla dittatura della minoranza. Che nel paese dei terra-piattisti è diventata asfissiante. Se il governo Draghi vuole che i cittadini (non terrapiattisti) rispettino le leggi deve cominciare a rispettarle. Ogni concessione a chi si “rifiuta” è una forma di sottomissione all’idiozia.

Siamo in una bolla di compiacenza e di tolleranza alla quale non riusciamo in alcun modo ad opporci. Siamo occidentali, eredi di una tradizione liberale. Ma quando si tratta di applicarle quelle leggi, così sacrosante che ci hanno portato ad essere “eccellenza” nel mondo, abbiamo difficoltà a farlo. E visto che non lo facciamo, non ci rendiamo conto di esercitare la più odiosa forma di coercizione. Quella che permette a pochi di prendere il sopravvento sui tanti. Quella che tollera – non l’inviolabile libertà del pensiero – ma l’esercizio della violenza (fisica e psicologica) in nome di questa libertà.

Siamo in una bolla di evidente pazzia. Dove si compra “l’arte che non esiste e che si deve immaginare di poter appendere”. Dove uno scrive che il sesso non esiste, perché tu maschio non copuli con una donna: pensi di farlo ma non è così. Tu in realtà “scopi” con la tua costola. Per via di quella storia biblica su Adamo e Eva. Questa roba non è stata affidata a qualche sito che inneggia alle fine del mondo entro il 2021 (ma questi Maya non si erano espressi – sbagliando – per il 2012?) ma ad un rinomato editore. Perché se vuoi una tua pubblicazione in classifica devi “stupire”. A costo di mentire, oltraggiare, schifare. Soprattutto devi “apparire”. Non importa quale sia la tua “immagine”, come venga percepita, se sia lurida o profumi di bucato. Se non appari sei privo di identità.

Lo ha spiegato in un articolo su “7” Antonio Polito a proposito dei giovani “drogati” di smartphone e di rete. Come è stato possibile? Viaggi nella metro della tua città accanto ad una umanità incollata al suo telefono. Vai per la strada e li vedi i telefonini in mano agli adolescenti (e non solo a loro): non in tasca, non in una borsetta, ma in mano, consultati compulsivamente. L’importante è essere “connessi”. La connessione mi colloca, mi fa apparire, dimostra come mi sento: la connessione permette agli altri di giudicarmi. Perché l’essenza della vita oggi è “condividere”: tutto e in tempo reale. La cosa evidenzia come gli osannati signori che hanno inventato queste infernali macchine siano da annoverare tra i grandi criminali della storia. Non hanno dato all’umanità la “libertà”. L’hanno consegnata alla più spietata delle schiavitù: quella di non aver più diritto ad una privacy. Una cosa oscena.

Potrei raccontare quanto oscena sia diventata anche la mia categoria: in tema di politica, sociologia, storia. E inevitabilmente di sport. Ma da tempo lo sto scrivendo: mi ripeterei. Dico solo una cosa: o chi fa il mio mestiere si dà una aggiustata, oppure il declino dei media (tradizionali e non) sarà inarrestabile. Già oggi “gli schiavi” dello smartphone non hanno bisogno di mediazione. Non vogliono essere informati: lo fanno da soli. Grazie alla rete. I giornalisti lo sanno di fare prodotti sovente irricevibili. Tanto da legittimare quella corrosiva affermazione di Arnold Bennett: “I giornalisti dicono una cosa che sanno che non è vera, nella speranza che se continueranno a dirla abbastanza a lungo, sarà vera”. Sembra scritta “domani”.

Quindi lascio ogni disciplina ai suoi dolori, togliendomi però il cappello per chi ha scelto Osimeh per il Napoli: un fenomeno.

Vi racconto invece quello che mi è capitato una settimana fa. Vicenda che mi ha confermato che gli oggetti hanno un’anima. E che se persevererai nel cercarli, alla fine “ti troveranno”. Dunque compro da un antiquario un dipinto con dei giocatori di carte. Tema che mi ha portato a mettere assieme una piccola collezione. Mentre esco dal negozio dell’antiquario sito in Brera, noto in un angolo semibuio una “seppia” che mi fa sobbalzare. C’è un vecchio uomo, nel quadretto, in abiti cinquecenteschi che sta mingendo “contro una parete del Palazzo Ducale a Venezia. Dico all’antiquario: “Mi chieda qualsiasi cifra: gliela pago”. Lui mi dice che non può, che l’opera gli è stata donata da un collega anni fa. Ma io lo metto in croce. E gli racconto la seguente (vera) storia.

Il mio primo lavoro a Milano era stato alla Gazzetta dello Sport. Non riuscivo ad abituarmi ad una città tanto diversa da Venezia. E appena potevo, tornavo a casa. La mia famiglia in quella stagione abitava al Lido. E io quando scendevo dal treno alla Stazione di Santa Lucia, andavo a piedi fino a San Marco a prendere la motonave. In campo Santo Stefano che aveva visto i miei adolescenziali amori c’era un gallerista, bravo pittore, amico di mio padre. Ci andavo con piacere perché mio papà aveva alle pareti di casa tanti pittori della “Scuola di Burano”: post-impressionisti come Neno Mori, Cherubini, Seibezzi, Novati. Quelli che commerciava anche quel gallerista. In quel fine settimana la visita al pittore Romagna mi porta davanti ad un acquarello di Cherubini che ritrae un monello in brache corte, di spalle, che fa la pipì contro un muro. Cosa abituale a Venezia dove in servizi sanitari pubblici scarseggiavano e ancora scarseggiano. Mi dice quanto costa. Io replico: “Ne parlo con il papà e domani ti faccio sapere”.

Mio padre è entusiasta, all’idea. Solo che il giorno dopo quando torno alla galleria, Romagna il quadro lo ha venduto. A una coppia di turisti friulani. Dei quali sa solo che alloggiano al Bauer in Bacino Orseolo. Ci vado: li aspetto per un’ora. E quando transitano nella hall, il consierge me li indica. Mentre la donna si avvia all’ascensore, io intercetto l’uomo. Mi scuso, gli spiego, gli dico che sono disposto a pagare il doppio di quanto lui ha versato. L’uomo mi porta al bar e mi dice che mi comprende. Che anche lui è un collezionista e che ben volentieri mi favorirebbe: anche senza sovrapprezzo. Ma sua moglie ha comprato il quadro per la loro figlia che ha un bimbo di quattro anni. E quindi se lui me lo cede il suo matrimonio va in crisi.

Me ne torno al Lido e penso che prima o dopo un soggetto simile lo incrocerò. Sbagliato: dal 1972 un uomo che fa la pipì contro un muro non l’ho mai trovato. Ma improvvisamente nel 2021 eccolo apparire nel negozio dell’antiquario situato in Brera. Il signore mi stupisce. E mi commuove per la gentilezza. Ascoltata la storia mi dice: “Glielo regalo. È giusto l’abbia lei. Si ricordi che vedere un anziano che fa la pipì contro un muro porta fortuna. La mattina lo guardi: porterà fortuna anche a lei”. La “seppia” non è firmata. Ma il tratto non mi è sconosciuto. Sto facendo ricerche per capire di chi possa essere. E facendole ho scoperto che qualche tempo fa è stato pubblicato un libro d’arte sul tema. Ignoravo che tanti artisti ci si fossero dedicati.

La storia è questa. Come direbbe Don Lisander, ai miei “quattro lettori” chiedo comprensione. In fondo non li ho ammorbati con un video o con una chat. Sono un vecchierello. E non ho il problema degli sbarbati: sarò popolare o sarò uno sfigato? Mai avuto. Mai stato – a dire il vero – “popolare”. Ma non rammento che qualcuno mi abbia dato dello “sfigato”. È il vantaggio ad essere impopolari: nessuno si azzarda a dirtelo.



 

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