- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

Direttore: Gianfranco Colasante  -  @ Scrivi al direttore

Italian Graffiti / L'atletica italiana e' solo un arcipelago

PDFPrintE-mail

Martedì 31 Agosto 2021


running 2 


E’ trascorso già un mese da quel magico 1° agosto giapponese, quando per qualche ora abbiamo creduto che nulla sarebbe stato più come prima. Una ubriacatura d’entusiasmo dalla quale, purtroppo, ci stiamo riprendendo in fretta.

Gianfranco Colasante

Giorni scorsi, scartabellando tra vecchie carte, m’è capitato tra le mani un ritaglio a firma Giovanni Arpino vecchio di quasi mezzo secolo. Ve lo riporto: “L’atletica è ‘mater et magistra’ di ogni sport. E’ scienza, è uno strumento conoscitivo del limite umano. Merita attenzione e spasimi pari ad infinito rispetto. E’ fatale e in egual tempo sublime”. [La Stampa, 12 luglio 1975]. Come tutti i vecchi, ho la perversa tendenza a credere che la mia epoca, oltre che irripetibile per biechi motivi anagrafici, resti di una valenza un tantino più elevata rispetto a quella che viviamo.

Veri o meno che siano questi concetti, nel contempo non posso fare a meno di chiedermi quale sia la percezione che i giovani di oggi hanno dell’atletica (pur convinto che nessuno tra loro, o quasi, saprebbe dire chi sia stato Giovanni Arpino, o quel folle Gianni Brera che teorizzava Atletica = Culto dell’Uomo). I fatti di Tokyo – chiamiamoli così, per la loro assoluta imprevedibilità, se vogliamo dal riscontro quasi onirico – potrebbero aver aggravato in senso negativo questa diversità in un tempo dove la priorità assoluta sta nella “cultura” del calcio. Pur tra i suoi beceri eccessi, la volgare chiassosità, il mercato sempre aperto, l’insondabile abisso debitorio, oggi tutto lo sport, ma proprio tutto, viene filtrato attraverso la lente deformante del calcio e della sua mitologia (quella che un tempo era il “romanzo popolare”). Ancor più da parte dei giovani, portati per loro età a sintetizzare gli obiettivi in like e follower.

Per di più (almeno per me) risulta insopportabile l’equiparazione che viene proposta tra la vittoria della nazionale di Mancini, in una delle più modeste edizioni degli Europei di calcio che si ricordino, con gli ori olimpici di Tokyo nell’atletica, guarda caso in due gare simbolo, i 100 metri e il salto in alto, entrate trionfalmente nella storia. Tutti assieme appassionatamente, questa è l’essenza del pensiero prevalente che oggi nello sport si ammanta di una cialtroneria un po’ stracciona. Una equiparazione che dovrebbe di contro spingere ad allargare ancora di più quel fossato sanitario che separa, o dovrebbe separare, l’atletica dal calcio e dai suoi virus. Ma poi, è proprio così?

Parrebbe di no, visto che il presidente della FIDAL più che dei progetti immediati e futuri post-Tokyo fa sapere che i suoi precordi fremono notte e dì per le sorti dello Spezia, sulla breccia aperta dal vice-presidente vicario del CONI, la signora Silvia Salis in Brizzi, a sua volta ex-atleta, che alle partite della squadra del cuore, la Sampdoria, ci va fasciata con maglia blu-cerchiata con tanto di numero e nome sulla schiena. E che tiene imperterrita a comunicarlo sui social, a mio (datato) modo di vedere con scarso rispetto per il ruolo che le è stato affidato. Se questo è il vertice, figuriamoci il resto. A partire dalla faccenda dei soldi, parametro tra i peggiori mutuato proprio dal calcio dove resta la sola religione. Come sta accadendo al povero Marcell Jacobs la cui leggenda, come informa la Gazzetta dello Sport, dovrebbe ridursi a vedere il cachet lievitare ad almeno 75.000 euro. Altro che “spasimi ed infinito rispetto”. Facciamocene pure una ragione.

Tutto ciò premesso, resto ingenuamente convinto che sarebbe missione prioritaria per il gruppo che oggi – casualità, accidente o circostanze fortunate – si trova ad impugnare la barra della federazione di atletica, dover difendere (non dico valorizzare) l’essenza e il lascito delle cinque medaglie d’oro di Tokyo, non consentendo che ad appannarle siano personalismi o rivendicazioni di merito. Ma per farlo bisognerebbe essere uniti. Cosa che non parrebbe a guardare più da vicino quel che accade – o non accade – nella palazzina di via Flaminia. Dove, faccenda nota, due fazioni l’una contro l’altra armata si confrontano a forza di niet e di incrociati sgambetti mediatici.

Sgambetti mediatici? Come chiamare diversamente quel foglio telematico che ogni mese approda su centinaia di computer (anche sul mio, confesso) a difesa della purezza del gruppo “Insieme per l’Atletica”? Gruppo in cui si riconoscono sette consiglieri federali – ma guai a farne i nomi –, opposto a muso duro alla pattuglia dei sei/sette governativi (cinque consiglieri più il presidente oltre, occasionalmente, il “membro di diritto” della WA, non meglio identificato) riuniti sotto le insegne di “Orgoglio del Riscatto”, in una querelle senza fine e, purtroppo, senza contenuti. Passi per le sigle dal sapore post-scolastico, ma questo dissidio (ingovernabilità?) ha la parvenza di una mini disfida di Barletta da osteria, dove ogni proclama dovrebbe far fremere le coscienze, purché tutto resti opportunamente protetto da un salvifico anonimato.

Come paradosso, la più vincente federazione italiana risulta oggi penosamente spaccata a metà. Detto che ci sarebbe ampia materia perché il CONI formuli almeno qualche domanda, in questo scenario di veleni e trincee non pare imminente, o allo studio, una qualche forma “unitaria” di valorizzazione dei risultati giapponesi. Semmai, come m’è capitato di leggere per la trionfante 4x100, si avanzano pedanti rivendicazioni da farmacista, del tipo un tre/quarti è mio, solo un quarto è tuo. Nel frattempo, è già passato un mese da quel magico 1° agosto e alla fine di settembre andranno in scadenza gli impegni contrattuali col settore tecnico. Motivo in più per mettersi attorno a un tavolo e partorire qualche idea invece di azzuffarsi su chi e per come dovrà sedere nella vecchia/futura (?) Fondazione Roma 2024, guarda caso anno delle nuove Olimpiadi.

Al tirar delle somme, mi pare che l’atletica italiana post-Tokyo somigli sempre più ad un disperso arcipelago, dove ogni atleta di livello se ne sta asserragliato nella sua isola, col suo allenatore e lo staff di riferimento, disegna e segue i suoi programmi, fa le gare che meglio gli aggradano, tratta con gli sponsor e gli organizzatori, in totale autonomia tecnica e gestionale. A guardare bene e valutando gli effetti, non è poi detto che sia un male. Tutt’altro, … Anche se poi resta sempre sullo sfondo, irrisolto, il nodo federazione con le sue fazioni contro, sempre più estranea al “mater et magistra” di arpiniana memoria. In quanto ai giovani, … com’è noto, a far da scuola basta l’esempio.

 

 

Cerca