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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / La RAI e l'informazione matrioska

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Sabato 7 Agosto 2021

 

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E’ la struttura che, come un moloch, ha preso il sopravvento sulla normalità della cronaca, della notizia, sulla semplicità. Mentre sono in corso gare importanti taglia e tagliuzza come vecchi censori andreottiani.

Giorgio Cimbrico

Se scrivo che la RAI fa …, insomma che mi fa inquietare, cosa succede? La RAI è come l’Alitalia, una compagnia regionale, una televisione di seconda schiera che trasmette 200 ore concesse da Discovery, seguendo il caldo consiglio del CIO che vuole che i Giochi vadano in chiaro ovunque, anche a Tonga, anche nell’ex Swaziland. Medium immediato, se ne frega di quel che sta accadendo. Manda in onda 34 minuti di telegiornale, pubblicità acclusa, mentre sono in corso gare importanti (l’atletica è stata la più colpita, la più devastata), non ha vergogna a proporre differite, taglia e tagliuzza come facevano vecchi censori andreottiani: dei 1500 donne abbiamo avuto in sorte il tratto dalla campana al traguardo, dei 10.000 niente di niente.

Gare meravigliose, tempi straordinari, ma a loro cosa importa? Non c’erano italiani o italiane. Come la chiamo io, l’informazione matrioska ha la meglio. E’ la bambolina più piccola la più importante.

Annoto, prendo appunti. Nella canoa il “talent” (quello che ne capisce, si diceva una volta) che affianca il telecronista lancia urla disumane e il telecronista, a sua volta, dal tono che usa pare si prostri davanti al presidente federale. Altri tengono conti che possono essere seguiti tranquillamente da casa guardando il tabellone in sovraimpressione sullo schermo; altri si sono appiccicati addosso qualche termine tecnico; altri ancora vogliono fare della poesia, e così mi è toccato sentire che le “nostre farfalle sono diventate guerriere”. Roba del genere la potevi digerire se c’erano di mezzo Metastasio o certi librettisti che collaboravano con Gluck, Salieri, Handel, Porpora, ma oggi no, non è possibile.

E’ nato e si è sviluppato rapidamente come un virus patogeno l’uso – e il vizio – di dire “nostro”, “giochiamo”, remiamo”, “corriamo”, “vinciamo”. Sarà per far sentire al telespettatore l’afflato del tifo che parte da quella voce per diffondersi nell’intero stivale, isole comprese? Mi rivolgo a quelli della mia generazione: ve lo immaginate voi Alberto Giubilo che urla e strepita rischiando di stazzonare il suo bel completo di sartoria? Più che evoluzione della specie, adattamento all’ambiente, come certi fringuelli delle Galapagos. Eppure c’è qualcuno che ha detto che anche un mediocre d’oggi è meglio di quelli di un tempo. Bah.

Ma c’è di meglio ed è l’apoteosi serale, con quel programma in cui, come al tempo di Mike Bongiorno, echeggia l’invito “un bell’applauso”, in un caos verbale, in una macedonia di sensazioni in saldo o molto a buon mercato, in un persistente trascurare quello che sta avvenendo.

Non molte ore fa ho provato a guardare la maratona femminile ma dopo un’ora e mezza di gara prendeva il via “Tokyo Go” (ne hanno mandati tanti che qualcosa devono fare) e così mi sono rotto i coglioni e sono andato a leggere e a dormire.

Sigle e siglette, un profluvio di pubblicità, mai vista tanta, neppure nelle televisioni commerciali o a pagamento, i riassunti di quello che è già avvenuto da tempo, le celebrazioni italiche e italiote estese a famiglie tutte uguali con maglia azzurra, smartphone, maxi-schermo e sempre pronte a fornire storie esemplari o commoventi. Mai un punto, mai un bilancio, mai un’analisi.

E’ la struttura che, come un moloch, ha preso il sopravvento sulla normalità della cronaca, della notizia, sulla semplicità. Per capire quello che stava avvenendo, necessario cliccare sul sito olimpico dei risultati o sul servizio live del Guardian che non parlava solo dei britannici e per di più aveva un tono allegro, disinvolto, lontano dal gonfiore della retorica.

Il Tg2 ha avuto la meglio anche nell’ultimo giorno dell’atletica: Sifan Hassan, una specie di moderna Zatopek, la doppietta, il crollo al suolo, l’estasi. Tutto roba orange. Non interessa. Se fra tre anni sarò ancora vivo, so io quel che farò.

 

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