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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

Direttore: Gianfranco Colasante  -  @ Scrivi al direttore

Italian Graffiti / "Che nessuno tocchi il CONI"

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Lunedì 3 Agosto 2020

 

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Dopo quasi due anni e un estenuante confronto con i partiti, pare che il ministro Spadafora abbia pronte le norme di attuazione della “riforma”, sia pure sforbiciate ad un’ottantina di pagine dalle iniziali 120. Se ne parlerà ad agosto o forse a novembre. Per ora solo una certezza ed un vincitore: Giovanni Malagò.

Gianfranco Colasante


Deve essere proprio nata male, questa benedetta “riforma” dello sport a cui ormai nessuno crede più. Sarà che le premesse erano già scritte nella data di nascita: 30 dicembre 2018. Guarda caso lo stesso giorno – ma di 90 anni prima – nel quale era entrata in vigore un’altra “riforma” governativa, la “Carta dello Sport” con la quale il Fascismo ingabbiò lo sport nazionale. Che le sue radici le aveva piantate nel clima liberale dell’Italietta dell’Ottocento e che le sue libertà le aveva autonomamente riconquistate nel luglio 1946, in mezzo alle macerie e senza il becco d’un quattrino, ma ben attento a tenersi lontano dallo Stato e dai suoi maneggioni (all’epoca, sia su Candido che su l’Unità, con maggior senso della realtà, li chiamavano forchettoni). E adesso, naufragata la “riforma” (ma era tanto avventato prevederne la fine, o se preferite, la non partenza?) che cosa resta?

  

Per di più col post-Covid e i milioni di disoccupati che lascerà in eredità ad un Paese che già prima della pandemia non si sentiva tanto bene? Che facciamo, parliamo di sport? Chissà perché viene in mente Vincenzo Spadafora che ha occupato finora la scena ben oltre il suo indubbio eclettismo (ma non è ministro anche delle politiche giovanili? Un campo ancora tutto da esplorare) disegnando il suo futuro a colpi ossessivi di post su facebook. Ma sarebbe sbagliato prendersela con lui. Ha fatto quello che credeva, e forse ancora crede, necessario. Alla notizia della sua nomina aveva onestamente dichiarato: “Lo sport? Non me ne sono mai occupato, ma mi metterò subito a studiare i dossier”. Gli va dato atto che non aveva assolutamente esagerato.

  

E come esordio eccolo a Monza dove correvano le “rosse” per immergersi subito dopo nelle notti magiche di Doha dove era in scena il circo milionario dell’atletica. Niente di più lontano dallo sport di base oggetto della “riforma”. Ma di certo, c’è da crederlo, stava studiando per incrementare le attività sociali, salutistiche, aggreganti, educative dello sport e dintorni. Anche se poi le prime pagine gliele ha assicurate (e ancora gliele garantisce) quel calcio pieno di debiti e crogiuolo d’ogni male.

  

Così in un crescendo rossiniano aveva finito coll’occupare la scena, bacchettando, promettendo, minacciando, riformando a destra e a manca. Sbagliato prendersela con lui, era il suo compito e si stava adeguando. Semmai restava il tragico errore d’aver creduto che bastasse aggiungere qualche pagina al contratto di governo siglato tra Lega e M5S per mettere i cattivi dietro la lavagna, riscattare i buoni e – sostanzialmente – premiare quell’indistinto e appiccicoso “sociale” la cui sola ambizione è lucrare sul pubblico denaro.

 

Che di “riforme” si rischia di morire, lo ha messo bene in chiaro proprio oggi Sabino Cassese sul Corriere della Sera ponendo il tema al centro della immaginaria modernizzazione dello Stato. Perché poi queste “riforme”, evocate ad ogni pie’ sospinto, non decollino mai e ancor meno arrivino, il costituzionalista se lo spiega con almeno tre motivi "politici". L’ultimo dei quali è – testuale – il “deficit di competenza, legato ad un carente addestramento della classe politica”. Deficit che nell’articolato specifico dell’universo sport non può curarsi col ricorso al populismo e a roboanti affermazioni di principio. Lo sport, a differenza della politica, pretende ritmi e risultati immediati.

Tornando alle nostre piccole cose, com’è noto, braccio secolare della “riforma” doveva essere la società ministeriale “Sport&Salute” – un acronimo, se vogliamo, non proprio rassicurante – creata col proposito di riportare lo Sport dentro lo Stato, anzi lo Stato a decidere in toto sullo Sport. Una sovrastruttura che ha preso il posto dell’altrettanto superflua “CONI-Servizi”, ma che si è spinta ben oltre, nel tentativo di mortificare il CONI e piegare le sue Federazioni, neppure fossero le più scalcagnate delle ASL. Impegnata a fondo in questo compito (anzi mission come dicono i top-manager), “Sport&Salute” non ha trovato mai il tempo di informare la pubblica opinione su “chi fa cosa” al suo interno, visto che anche qui si sente di decine di nuove assunzioni.


Ma intanto, in poco più di un anno, “S&S” ha già cambiato due AD, segno che le cose anche in quei corridoi non sono proprio serene. E, a sentire i bene informati, chissà che non ne arrivi presto un terzo. Per di più sta pensando lo stesso Spadafora a svuotarlo del tutto con la creazione di un “Dipartimento Sport” che ne avocherà presso la PDCM funzioni e incombenze con l’arruolamento di una cinquantina di addetti di provata professionalità.


Moltiplicazione di poltrone o meno, difficile immaginare quale futuro aspetta lo sport italiano schiacciato ora fra tre soggetti istituzionali che si guardano in cagnesco, per di più senza un’idea comune, senza un progetto credibile, senza un retroterra dialettico. Se vogliamo senza neppure una via di fuga. Era questa la “riforma” firmata da Giancarlo Giorgetti (Lega) e Simone Valente (M5S)? L’uno da tempo scomparso dai radar, l’altro tra i più critici verso il compagno di “movimento” Spadafora.


Di fronte a questi scenari anche la madre di tutte le battaglie – vexata quaestio –, la cosiddetta limitazione dei “mandati” (“stanno lì da quando c’era la lira”, Spadafora dixit) ha finito col naufragare lasciando un solo vincitore: proprio quel Giovanni Malagò che si voleva colpire ed affondare sia al Foro Italico che nella fondazione Milano-Cortina ma che, recuperato il patrimonio immobiliare e impiantistico, resterà in sella almeno fino a Los Angeles 2028. Così va il mondo.


Che sia perché il presidente del CIO – quel Thomas Bach che per ora garantisce gli unici fondi certi per i Giochi del 2026 – in tema di lesa autonomia abbia dichiarato: “Siamo fiduciosi che si trovi una soluzione nel giro di qualche settimana, ma che nessuno tocchi il CONI”?

 

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