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I sentieri di Cimbricus / "A Tokyo e' tutta un'altra cosa"

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Venerdì 18 Ottobre 2019

 

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Dopo le esperienze (previste) di Doha, pare che ora le istituzioni - CIO e IAAF (pardon WA) - ci abbiano ripensato. Per i Giochi 2020 via dalla pazza umidità e lontano dal caldo asfissiante: le gare su strada lascino Tokyo e vadano in montagna. Ma gia' piovono le proteste.

 

Giorgio Cimbrico

Hanno avuto pietà: maratone e marcia olimpiche a Sapporo, isola di Hokkaido, 800 chilometri a nord di Tokyo. Non c’è dubbio: quel che si è visto a Doha (disperati e tramortite trasportati in un ospedale da campo, ambulanze in azione, zombie che si ostinavano a correre e e marciare a zigzag, prestazioni che non possono esser commentate) ha avuto la sua importanza nella decisione del CIO, già presa e da ratificare tra qualche giorno. Dagli attriti con il sindaco e con la governatrice dell’area metropolitana qualche scintilla è scoccata.

“Quel che ci sta a cuore è la salute degli atleti che devono poter gareggiare nelle migliori condizioni”, ha detto Thomas Bach che ha avuto il pieno appoggio di Sebastian Coe, l’uno e l’altro campioni olimpici. Sarebbe stato meglio che, dopo la vittoria della candidatura di Tokyo, fosse stata scelta un’altra stagione, come nel ’64 (pioggia e umidità, ma almeno temperature non torride), ma la verità è che in Giappone è difficile far centro. Il tifone Hagibis ha ucciso gente e spazzato case, ha investito anche la Coppa del Mondo di rugby negando all’Italia il “piacere” di giocare contro gli All Blacks. I terremoti sono frequenti, in inverno la neve è molliccia (vedi Mondiali di Morioka ’93), d’estate c’è da crepare per un’afa implacabile.

Ora il CIO potrà vantarsi di avere preso le giuste misure, ma la vera vincitrice, in questo bollente “affaire” è l’Associazione Medica Giapponese che dall’anno scorso insiste e preme, fornendo dati da sudori freddi: nell’estate 2018, 300 decessi e 20,000 ricoverati, punte sino a 46° nell’area di Tokyo, con tasso di umidità “totale”; quest’anno, poco di meno, e per fortuna i morti sono scesi a 50. “Portate le prove di lunga durata all’alba”, è stata la richiesta dei sanitari. Il CIO ha rivisto l’orario, ha fissato le partenze alle 5,30 del mattino ma ha anche deciso di tenere sotto controllo la situazione per evitare che ci scappi il morto.

Meno di tre mesi fa, 2 agosto, giorno della maratona donne di lì a 365 giorni, la temperatura alle 5,30 era sui 30° con oltre il 70% di umidità. E’ stato dopo quel rilevamento che ha cominciato a farsi strada l’idea che anche l’anticipo all’alba non sarebbe servito. Spostarsi a nord per sopravvivere, è l’etichetta da appiccicare su una decisione che ha i connotati di una certa storicità. Nel ‘72 la vela era a un migliaio di chilometri di distanza, a Kiel, ma per un’ovvia ragione: a Monaco di Baviera il mare non c’era e non c’è tuttora.


Il programma sta subendo altre variazioni: eventuali batterie di mezzofondo verranno corse la sera, le partite del Rugby a 7 dovranno finire prima di mezzogiorno, il Triathlon, a meno di spostamento a Sapporo, dovrà essere governato da un capillare sistema di assistenza e di rifornimenti. Tirando le somme, tutto quello che è all’aperto, finirà sotto un regime di stretta sicurezza.

C’entrano i cambiamenti climatici, non c’è dubbio, così come non c’è dubbio che la situazione sta precipitando (forza Greta, vai avanti), ma in Giappone freschetto non ha mai fatto. Ricordo quei dodici giorni da incubo a Osaka, nel 2007: aria immobile, variazioni tra giorno e notte valutabili in un grado, umidità terrificante. L’ancora di salvezza fu una bibita che si chiamava Acquarius: ne ingurgitavamo sette, otto al giorno. Una ragazza giapponese che avevo conosciuto e parlava un italiano perfetto, mi disse: “Ma questi sono matti. A Osaka lo sanno tutti che c’è un clima terribile. A Tokyo è tutta un’altra cosa”.

 

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