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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / Il profeta dell'eufemismo

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Sabato 17 Novembre 2018


casa italia-rio 


Scomposte o appropriate che siano, le reazioni del CONI alle decisioni del Governo rischiano di risultare controproducenti.


di Giorgio Cimbrico

L’Italia è uno strano paese. Attualmente ha un premier che, un paio di mesi fa, ha confuso l’8 settembre con il 25 aprile e, se è per questo, offre anche un presidente del CONI che, sovrano dell’eufemismo, ha detto, lanciando i suoi strali contro la riforma Giorgetti, che “il fascismo, pur non essendo estremamente elastico nell’acconsentire a tutti di esprimere le proprie opinioni, …”:  rivolgersi per precisazioni a Matteotti, Gobetti, i fratelli Rosselli, Gramsci etc etc. Valutato lo stato della cultura spicciola che ronza alle nostre orecchie, è bene precisare che sono tutti morti. A parte Gramsci, morti ammazzati.


Nella foto: la vista mozzafiato della lussuosa Casa Italia a Rio de Janeiro.

 

Riforma, rivoluzione, occupazione, stretta dei cordoni (sino al soffocamento, dicono al Foro Italico), assegnazione del ruolo appropriato: la preparazione olimpica, e cioè degli atleti per l’Olimpiade. Senza fronzoli, senza barocchismi, senza Case Italia degne della reggia di Eliogabalo. Ricordo che a Londra 2012 Casa Italia occupava un intero palazzo di fronte all’abbazia di Westminster, occupato a sua volta da una folla di indefessi forchettoni, di visitatori incantati di fronte a questo antro della Lucullo & Trimalcione Corporated, e Casa Nuova Zelanda era una stanza d’albergo dove offrivano una birretta, dalle parti di King Cross. Tutto coperto dagli sponsor, rispondevano gli italiani, non i ruvidi kiwis, per promuovere il made in Italy, gli spaghetti, o’ caffè, la pizza, la mozzarella, il capocollo.


Ne ricordo altre, sontuose, come la villa alla Scarlett O’Hara di Atlanta 1996: ci sono andato una volta per intervistare Di Donna e non mi trovai a mio agio. Questi sono particolari marginali, lo so, però abbastanza eloquenti su certi tipi di comportamento molto italiano che il CONI ha sposato e adottato in pieno. L’Italia è spesso questo nulla infiorato.

Sempre accompagnato da un visitatore segreto che una sera, in un vicolo di Edinburgo, mi venne affibbiato dallo spettro di Robert Louis Stevenson, non voglio correre il rischio di cadere nel moralismo che si accompagna al populismo, molto di moda, Cos’è, poi,il populismo? E’ dire quel che la gente vuol sentir dire. Che poi abbia un fondamento, una logica, un fine, questo è da discutere.

Non essendo la Pizia, non so come andrà a finire. Per ora, da una parte siamo agli alti lai, al disconoscimento dei grandi meriti accumulati in lunghi anni di onorato servizio; dall’altro all’esposizione di un programma mutuato da “modelli di eccellenza”. Parole di Giorgetti che penso si riferisca alla Francia e alla sua struttura statalista. Che poi in Italia possano essere riproposte  le fasi di sviluppo, a vasi comunicanti, che investono tecnici e atleti, dalla regione al dipartimento, sino allo status di tecnico e atleta di interesse assoluto, ho qualche dubbio. In questo senso Kevin Mayer e Martin Fourcade sono i sensazionali prodotti di un’organizzazione che può rasentare la perfezione. I dubbi svolazzano come i corvi di Van Gogh anche sulla capacità di attivare un processo di “sport per tutti” alla base della nuova srl. Non si nomina per caso la salute, vero?

L’altro modello si cui si parla spesso è quello britannico. Privatistico e mirato all’ottenimento di risultati di alto livello. Se lo possono permettere perché in Gran Bretagna esiste lo sport nella scuola e lo sport nelle università: una struttura gigantesca, quest’ultima, che non alcun contatto con le federazioni, si interessa dell’attività fisica nel tempo libero dagli studi e promuove campionati e competizioni in almeno 25 discipline diverse. La programmazione per l’alto livello non dipende dal Comitato olimpico ma da UK Sport, che per pensare e realizzare le strategie si avvale dei fondi della National Lottery, più o meno come capitava al tempo del grasso Totocalcio. Il risultato è che la Gran Bretagna, uscita tramortita dai Giochi di Atlanta, poco più di vent’anni fa, è tornata a recitare il ruolo di potenza a Londra 2012, confermandosi a Rio 2016, e nel frattempo organizzando tutto quel che si poteva organizzare, riempiendo cornucopie di denaro e redistribuendolo per lo sport di base.

Domanda da un penny: perché i britannici dominano il ciclismo che sino a non molti anni fa, da quelle parti, era uno sport per originali, per non conformisti? Perché a Sheffield, a Manchester e a Glasgow hanno costruito i più moderni velodromi del mondo. Dalla base è stato costruito un edificio.

Un’altra delle domande che è lecito farsi in questo momento è: esiste un’unità di intenti nello sport italiano? Esiste una volontà di resistere al cambio di direzione imposto dal governo? O è più semplice e realistico pensare che, all’entrata in vigore della riforma, verrà proposto uno scenario simile a quello della morte di Alesando, quando i diadochi, i generali, si spartirono l’Impero? Nei panni di Tolomeo, di Perdicca, di Lisimaco, di Eumene, di Seleuco non è difficile riconoscere i presidenti federali.

 

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