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I sentieri di Cimbricus / Una Polonia da amare: cause ed effetti

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Martedì 6 Marzo 2019

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Quasi un'abitudine il primo posto nei ranking degli atleti targati Polska, con storie e nomi che si rinnovano ad ogni occasione. E' capitato anche a Birmingham. 

di Giorgio Cimbrico

Alla scoperta dell’acqua calda: la Polonia è fortissima, più o meno dappertutto. A Birmingham, prima europea, 2-2-1, e il record del mondo di Karol Zalewski, Rafal Omelko, Lukasz Krawuczuk e Jakub Krzewina che correvano contro imbattibili americani guidati dal formidabile Fred Kerley. Li hanno battuti, fornendo una media attorno a 45”4 e evitando i severi flutti dei giudizi in mezzo ai quali molti, una ventina o poco più, sono annegati.

Andando appena indietro nel tempo: Mondiali di Londra 2017, Polonia prima europea per numero di medaglie, 2-2-4; Europei indoor di Belgrado 2017, Polonia prima, 7-1-4; Giochi Olimpici di Rio 2016, Polonia quarta europea, 1-1-1, ma senza il “suicidio” di Pavel Fajdek sarebbe stata seconda; Europei di Amsterdam 2016, Polonia prima, 6-5-1 (Germania e Gran Bretagna ne hanno prese 16, ma i sei successi impediscono il sorpasso), Mondiali indoor di Portland 2016, Polonia ottava europea, 0-1-2; Mondiali di Pechino 2015, Polonia seconda europea, 3-1-3; Europei indoor di Praga 2015, Polonia settima, 1-2-4; Mondiali indoor di Sopot 2014, Polonia terza europea, 1-2-0; Europei di Zurigo 2014, Polonia sesta, 2-5-5.

Non resta che fare le somme: nei quattro anni scarsi che corrono tra la settimana al Letzigrund e il fine settimana alla Birmingham Arena, 25 successi e 72 medaglie di respiro olimpico, mondiale e continentale. Nello stesso periodo, due quarti posti e un secondo in quello che chiamano campionato europeo per nazioni e che, malgrado una serie di riforme senza senso, quelli della mia generazione continuano a chiamare Coppa Europa Bruno Zauli.

Alle spalle la Polonia ha secoli di strazi e quello che uno storico inglese ha chiamato Breve è stato terribile: sanguinosa venuta al mondo, invasione tedesca e trasformazione del paese in Governatorato Generale, regime sovietico, Jaruzelski e la legge marziale, l’aria fresca soffiata da Walesa. Per non cadere in depressione, non resta che raccontare una storiella: settembre 1939, i tedeschi invadono la Polonia, la dividono a metà con l’Unione Sovietica, spazzano via l’esercito. Tra quelli che riescono a scappare in Inghilterra c’è anche un gruppo di piloti. Si arruolano nella RAF e devono superare gli esami fisici e attitudinali. Controllo della vista: “Legga qua”, dice il capitano medico. E il polacco: “K S Z L Y T. Mi scusi, signore, quelle non sono lettere, è il nome di un mio amico”.

Viene sempre in mente quando è necessario scrivere il nome di Adam Kszczot, amante dei gatti e delle gare tattiche sugli 800 che di solito risolve a suo favore. A Birmingham ci è riuscito facilmente, anche per una concorrenza gracile, senza l’ombra di un kenyano.

Nomi complicati – da incallito rifiuto di usare quella definizione così di moda: nomi che sembrano codici fiscali … in una storia sportiva e atletica dalle cause molto semplici e dagli effetti molto chiari: gli allenatori polacchi sono sempre stati molto bravi. Lascio per un attimo l’atletica: negli ultimi quindici anni la Polonia è diventata una forza d’urto nel salto con gli sci mettendosi sullo stesso piano della Germania, a volte anche meglio, e lasciando dietro Austria, Norvegia, Slovenia. Non cito la Finlandia perché è sparita. Dare un’occhiata alla tecnica di Kamil Stoch, tre volte oro olimpico, vincitore della Coppa del Mondo e dei Quattro Trampolini, significa scoprire lo stesso nitore espresso dai saltatori con l’asta, dai martellisti e da colei che trasmette l’idea stessa dell’esercizio al femminile, Anitona Wlodarzyk. Nel cognome, due vocali. Dzieki, grazie in polacco

Maglia bianca, calzoncini, aquila, Polska: dati questi quattro elementi, i più vecchi tra i frequentatori di questo giornale, che non è stampato ma è come lo fosse, ricorderanno una folla di volti, una rassegna totale di sprint-mezzofondo-ostacoli-salti-lanci-marcia. Non azzardo se dico che la più grande di tutti e di tutte è stata Irena Kirszenstein Szewinska che tra il 1964 e il ’77 – un record anche la longevità – vinse quel che si poteva vincere, abbatté barriere, strinse nelle mani la triade 100-200-400, diede sonore lezioni alle implacabili DDR.

Altri volti: il nasuto Jozef Schimdt, primo a varcare la barriera dei 17 metri; Jacek Wszola, bello come il Tadzio di Morte a Venezia; Wladislaw Kozakiewicz, irridente e sfacciato; Marian Woronin, il primo chiaro di pelle ad aver sfiorato l’ingresso nella dimensione delle tre cifre sui 100, Robert Korzeniowski che venne definito il più grande pedone del mondo.

Anche l’atletica si è trovata a che fare con la tragedia che sta sempre appesa sul cielo polacco: tre campioni olimpici morti sulla strada offrono un record nero e triste, scritto da Bronislaw Malinowski, scomparso a trent’anni, da Komar e Slusarski: Il 17 agosto saranno vent’anni da quello schianto a Ostromice, Pomerania, che portò via il brigantesco Wladyslaw e l’aereo Tadeusz.

 

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